Caso di spionaggio politico ai danni
del Partito democratico, venuto alla luce nel 1972 negli Stati Uniti, nel quale
risultarono coinvolte personalità del Partito repubblicano e lo stesso
presidente R. Nixon. Il 17 giugno 1972 vennero arrestati cinque funzionari
organizzativi del Partito repubblicano per essersi introdotti nel palazzo del
Watergate di Washington, sede nazionale del Partito democratico, allo scopo di
installarvi microfoni per intercettare le attività del comitato. Dopo il
processo, che portò alla condanna dei cinque e di altre due persone
legate al comitato per la rielezione di Nixon, e dopo le rivelazioni del
"Washington Post", il Senato istituì (febbraio 1973)
un'apposita commissione che mise in luce una vasta rete di attività
illegali in cui risultarono coinvolti i più stretti collaboratori di
Nixon (rieletto presidente nel novembre 1972) che furono costretti a dimettersi
(30 aprile 1973). L'attenzione si focalizzò poi sul presidente, il quale,
dopo che più volte lo aveva smentito, dovette ammettere il suo
coinvolgimento nello scandalo e, minacciato di
impeachment dalla
commissione giustizia della Camera, l'8 agosto 1974 rassegnò le
dimissioni. Il suo successore, G.R. Ford, concesse la grazia a Nixon, ma non ai
membri dello staff, alcuni dei quali, processati, vennero quindi incarcerati.