Branca della biologia che, come già la
batteriologia con i batteri, ha per oggetto una specifica categoria di organismi
submicroscopici: i virus. Quando i virus vengono considerati come organismi in
sé, e perciò rilevanti per la comprensione di numerosi problemi di
biologia generale e genetica (struttura e ricombinazione dei geni, mutagenesi
fisica e chimica, sintesi enzimatica, ecc.), si è nell'ambito della
cosiddetta
v.
di base; quando sono studiati in relazione alle
patologie cui danno origine, sia a carico del regno vegetale sia del regno
animale e dell'uomo in particolare, si è nell'ambito della
v.
clinica. • St. della scienza - Nonostante fin dall'antichità
l'uomo si fosse interrogato intorno a malattie riconosciute come contagiose
(quali ad esempio il vaiolo e il morbillo), fino a tempi molto recenti non si
riuscì ad individuarne gli agenti etiologici. La
v. è
infatti una scienza relativamente giovane che, tradizionalmente, si vuole nata
al principio dell'Ottocento con gli studi di E. Jenner e con la realizzazione
del suo empirico vaccino antivaioloso. In realtà, solo tra la fine del
XIX secolo e il principio del XX gli scienziati riuscirono a provare l'esistenza
di un microrganismo (nella fattispecie responsabile di una patologia della
pianta di tabacco) più semplice e più piccolo rispetto ai
già noti batteri: infatti, l'estratto delle piante malate, benché
passato attraverso i filtri in grado di fermare i batteri, risultava ancora
infetto. I virus non erano visibili al microscopio ottico (divennero osservabili
direttamente con l'introduzione del microscopio elettronico, intorno al 1940) e
perciò potevano essere individuati solo mediante prove indirette: la
già citata filtrabilità (i composti infetti rimanevano tali anche
dopo il passaggio attraverso le apposite membrane che bloccavano i batteri) fu
presto rilevata anche per gli agenti patogeni di una malattia bovina, l'afta
epizootica, e di una a carico dell'uomo, la febbre gialla. Gli studiosi
osservarono inoltre la presenza, nei tessuti cellulari infetti, di formazioni
intracellulari (i cosiddetti
corpi di Negri) che ancora oggi vengono
utilizzati come elemento di evidenza diagnostica. Durante i primi decenni del
secolo scorso i biologi (tra cui citiamo, per ricordare solo alcuni nomi, S.
Prowazeck, F. D'Herelle, G. Sanarelli, F.W. Twort) individuarono, nel mondo
animale, numerosi esempi di patologie trasmissibili da attribuire non a batteri
ma ai più semplici virus; la più importante scoperta, tuttavia,
riguardò l'esistenza di virus
batteriofagi, capaci cioè di
infettare i batteri, con la quale si provava che tali organismi erano parassiti
attivi non solo a carico di ospiti animali o vegetali ma anche del regno dei
procarioti. Lo studio sperimentale dei virus, fu intrapreso con efficacia solo
dopo l'introduzione delle colture
in vitro di tessuti animali (in
particolare di mammiferi). Particolarmente efficace furono gli studi condotti
mediante l'osservazione di uova fecondate di pollo opportunamente infettate,
grazie a cui si comprese l'univoca natura parassitaria dei virus, che possono
moltiplicarsi
solo all'interno delle cellule viventi. A partire da queste
prime evidenze, il progresso degli studi consentì di individuare diverse
tipologie di virus responsabili di differenti patologie; l'isolamento in
laboratorio di numerosi virus, l'estensione delle conoscenze relative ai batteri
e alle tossine allo studio sulle proprietà immunologiche di questi
microrganismi, determinarono da un lato lo sviluppo della diagnostica di
laboratorio delle malattie virali, dall'altro attribuirono alla
v. la
dignità di disciplina autonoma nell'ambito della più vasta scienza
biologica. Alcuni studiosi si impegnarono in ricerche relative alla struttura di
questi agenti patogeni: Schlesinger stabilì già nel 1933 che essi
erano composti da DNA e proteine; solo nel 1956, però, i due scienziati
J. Watson e F. Crick fornirono la moderna definizione della natura dei virus
come microrganismi parassiti cellulari obbligati, dotati di un livello di
struttura subcellulare (essenzialmente acido nucleico contenuto in una sacca
proteica). Nei decenni seguenti le ricerche hanno progredito a ritmo assai
sostenuto sia per quanto riguarda la fisiologia di questi organismi, sia la
sintesi in laboratorio di alcuni virus batteriofagi. Sono stati individuati
numerosi agenti patogeni di malattie ad elevata incidenza epidemiologica, quale
il virus dell'epatite A (Krugman, 1960), dell'epatite B (Blunberg, 1963), delle
epatiti C ed E (rispettivamente Houghton e Bradley, 1989). Assai rilevanti, per
quanto riguarda anche la
v.
clinica, l'isolamento dei virus
responsabili di alcuni fenomeni neoplastici (Bishop e Weinberg, 1980-1990) ma
soprattutto del virus responsabile dell'AIDS, l'HIV (Gallo e Montagnier,
contemporaneamente, a metà degli anni '80, ma indipendentemente l'uno
dall'altro). Le applicazioni delle nuove conoscenze acquisite mediante gli studi
della
v.
di base, hanno permesso la realizzazione di farmaci e
vaccini antivirali. In particolare le strategie di profilassi che la
v.
clinica ha individuato per quanto riguarda le malattie virali, ora che è
noto il ciclo molecolare di replicazione di molti virus, si esplica o mediante
la vaccinazione o evitando il contatto con l'agente virale a causa del quale
avviene il contagio.