Poeta latino. Le
condizioni economiche (più floride di quanto la tradizione ci abbia
tramandato) del padre, possidente terriero, gli consentirono di intraprendere
regolari studi, dapprima a Cremona, dove rimase sino ai 15 anni, quindi a
Milano, il principale centro culturale dell'Italia Cisalpina.
V. si
recò quindi a Roma per seguire i corsi del retore Elpidio, ma la scarsa
attitudine all'eloquenza e la ritrosia ad abbracciare una carriera pubblica lo
indussero a lasciare la scuola di Elpidio per dedicarsi alla filosofia e alla
poesia, alla quale si era avvicinato tramite l'opera del contemporaneo Lucrezio.
Spiritualmente vicino alle posizioni della filosofia epicurea, nel 45 a.C.
V. andò a Napoli per frequentare la scuola del filosofo epicureo
Sirone, e a questa città rimase sempre sentimentalmente legato, tanto da
trascorrervi lunghi periodi della sua vita. Intanto maturava in lui
l'aspirazione, sorretta anche dagli insegnamenti epicurei ("vivi
appartato", "vivi in segreto"), a una vita di contemplazione,
trascorsa a contatto con la natura e separata dal tumulto effimero della
società cittadina. A questo periodo (dal 42 al 39 a.C.) risale la
composizione delle
Bucoliche, una raccolta di 10 egloghe in esametri
composte secondo il modello teocriteo e pervase dal vagheggiamento di un mondo
pastorale idealizzato, dove gli uomini si dedicano a lavori umili e godono dei
semplici piaceri della vita dei campi. La campagna è trasfigurata da
V. in una mitica Arcadia, un rifugio da quel mondo esterno di cui il
poeta, che lo soffriva intimamente, voleva liberarsi.
Tuttavia alcuni tra
i più nobili versi delle
Bucoliche furono ispirati da una vicenda
politica contingente che toccò
V. nel vivo, insinuando in lui la
consapevolezza dell'illusorietà della sua visione del mondo. Nel 41 a.C.
egli perse, infatti, le terre ereditate dal padre, confiscategli dallo Stato per
essere distribuite tra i veterani di Filippi. In un primo tempo, grazie
all'intervento presso Ottaviano di Asinio Pollione, governatore della Cisalpina,
il podere gli fu restituito, ma poco dopo, a causa di una nuova spartizione di
terre ai veterani, lo perdette definitivamente. Costretto a spostarsi da Andes a
Roma in una sorta di esilio,
V. si intanto era guadagnato la fama grazie
alle
Bucoliche, la cui pubblicazione gli aveva aperto le porte del
circolo di Mecenate procurandogli al tempo stesso, grazie al prestigio e al
potere di questo personaggio, il favore dello stesso Ottaviano. Fu Mecenate -
come ci dice il poeta stesso - a sollecitare la composizione delle
Georgiche, cui
V. attese dal 37 al 30 a.C. durante il suo secondo
soggiorno in Campania. L'opera, in quattro libri dedicati rispettivamente alla
coltivazione dei campi, alla coltivazione della vite, all'allevamento del
bestiame e all'apicoltura, era stata concepita nell'ambito di un preciso piano
propagandistico augusteo di ritorno all'agricoltura dopo un periodo di durissime
lotte civili. Tuttavia le
Georgiche sono ben lontane dall'essere un
trattato di agronomia; pur senza dimenticare la concezione scientifica della
natura di Lucrezio,
V. interpreta in senso poetico la comunione profonda
tra uomo e natura, tra uomo e cosmo. A differenza delle
Bucoliche,
però, le
Georgiche cantano il mondo agreste come un luogo di
fatica e dolore, dove si estrinsecano la dignità e la forza morale del
contadino. Il tema dell'eroica operosità umana è trasposto da una
dimensione quotidiana a una dimensione storica e, da questa, a una dimensione
eterna, mitica: la pace e la potenza della Roma augustea si reggono sul lavoro
umile e oscuro dei contadini, e questo eroismo ricorda e anticipa il grandioso
destino di Enea, leggendario capostipite della
gens Giulia, fondatrice
della futura Roma. La concezione dell'esistenza, della storia e della
romanità che
V. rappresenta nelle
Georgiche sarà
quindi compiutamente espressa nella sua opera maggiore, l'
Eneide, il
poema nazionale romano in 12 libri che il poeta
cominciò a
scrivere, pare su pressante richiesta di Augusto, dopo la battaglia di Azio,
cioè nel clima trionfale e ottimistico della definitiva affermazione del
nuovo Impero. L'
Eneide fu composta tra il 29 a.C. e l'anno della morte di
V., il quale non cessò mai di studiare e di documentarsi per
rendere la materia dell'opera quanto più organica e coerente
possibile.
V. voleva affrontare il genere epico, ma l'intento celebrativo
delle gesta di Ottaviano Augusto è ancora una volta trasposto dal piano
della contemporaneità alla dimensione mitico-storica; la narrazione delle
vicende di Enea avviene secondo un procedimento poetico consapevolmente derivato
da Omero, ma dal grande modello antico
V. attinge solo quanto era
già intimamente parte della sua sensibilità poetica e culturale.
Oltre che dall'esperienza poetica del mondo greco ed eIlenistico, fusa con gli
elementi propri dell'etica romana, la vicenda di Enea è pervasa da una
tensione drammatica, proveniente dal tipico atteggiamento esistenziale di
V. e che nasce dal conflitto interiore tra la necessità di aderire
all'immodificabile volontà del Fato e l'aspirazione alla pace, a una vita
libera da doveri e ambizioni. La
pietas virgiliana consiste appunto in
questo: Enea soffre dei lutti e delle rovine causate dalla guerra, e vi si piega
solo per adempiere alla sua missione di individuo predestinato, nella lucida
consapevolezza delle spietate leggi che regolano il divenire della storia.
Perciò l'
Eneide,
scritta
come il grande poema
nazionale di Roma, poté, al tempo stesso, essere interpretata come il
poema dell'umanità nel suo cammino verso più alti destini. Dal
punto di vista formale e stilistico, l'
Eneide fu considerata, sin dal suo
apparire, un modello di espressività poetica, dove il verso esametro
è impiegato in modo da aderire alle varie intonazioni assunte dal
soggetto: idilliche, elegiache, drammatiche, didascaliche, epiche. La morte
impedì a
V. di dare compimento alla sua poema: nel 19 a.C.
partì da Napoli per la Grecia, dove voleva raccogliere ulteriore
documentazione per l'ultima revisione dell'
Eneide. Qui lo incontrò
Augusto, proveniente dalle province orientali, che viste le sue precarie
condizioni di salute lo indusse a ritornare in Italia; il poeta morì poco
dopo lo sbarco a Brindisi e fu sepolto a Napoli, sulla via di Pozzuoli. Il suo
desiderio di distruggere l'
Eneide perché incompiuta venne
disatteso per ordine di Augusto, e il poema venne pubblicato a cura di Vario e
Tucca, amici del poeta. Sulla tomba di
V. venne posto un distico, che
sarebbe stato composto da lui stesso prima di morire, in cui si ricordano gli
estremi della sua vita e il contenuto delle sue opere (
Mantua me
genuit,
Calabri rapuere,
tenet nunc/Parthenope:
cecini
pascua,
rura,
duces: Mi diede i natali Mantova, mi rapì
la Calabria, ora mi ospita Napoli: cantai i pascoli, i campi, i duci). È
riassunto in questo distico l'itinerario della poesia virgiliana, esclusi i
componimenti di discussa attribuzione raccolti nella cosiddetta
Appendix
Vergiliana, di cui oggi si tende a vedere il frutto di attribuzioni erronee
e di volontarie falsificazioni (Andes, forse l'odierna Pietole, presso Mantova
70 a.C. - Brindisi 19 a.C.). ║
La fortuna di V.: già
esaltato, immediatamente dopo la pubblicazione dell'Eneide, come il massimo
poeta latino (addirittura, come ci tramanda Properzio, considerato superiore a
Omero),
V. divenne prestissimo un classico. Fin dal I sec. d.C. fiorirono
i commenti e gli studi critici con Valerio Probo, Remmio Palemone e Igino,
mentre al IV sec. risalgono le opere di grammatici ed eruditi come Elio Donato
(che fu anche il principale biografo virgiliano della tarda latinità),
Servio, Tiberio Donato e Macrobio; tutti costoro, però, considerarono
V. soprattutto come maestro di retorica e di dottrina antiquaria,
mettendone in secondo piano il valore poetico. Gli scrittori cristiani si
appropriarono dell'esegesi virgiliana, forzandone l'interpretazione fino a
vedere in
V. un cristiano
ante litteram e addirittura un profeta
della venuta di Cristo, soprattutto a causa dell'intonazione messianica della IV
egloga delle
Bucoliche. Fulgenzio, autore del
De continentia
virgiliana, fu l'iniziatore di questa lettura dell'opera virgiliana in
chiave allegorica e morale che fu dominante per tutto il Medioevo. Tale
prospettiva alimentò addirittura, a partire dal XII sec., la leggenda di
un
V. mago e taumaturgo. Anche la nascente letteratura romanza si
impadronì dell'opera virgiliana, rivestendola di forme cavalleresche e
cortesi (
Roman d'Eneas,
XI sec.). La tradizione medioevale
è ancora viva in Dante, che fa di
V. la sua guida nel regno
ultraterreno in quanto lo considera la massima espressione del pensiero
precristiano oltre che un modello di perfezione poetica. Il culto di
V.
fu alimentato anche da Petrarca, la cui attenzione verso il mondo classico
anticipa l'approccio che dell'opera virgiliana fece l'Umanesimo. Per la poetica
del Rinascimento
l'
Eneide rimase un punto di riferimento nella
riflessione critica sul poema epico, mentre le
Georgiche e le
Bucoliche ispirarono tutto il genere della poesia pastorale e didascalica
non solo nel senso dell'imitazione formale, ma soprattutto in senso
estetizzante, sentimentale (esempio ne è l'
Arcadia di Sannazzaro).
Indubbio è inoltre l'influsso che la musicalità e il lirismo della
poesia virgiliana esercitarono su Tasso e Leopardi. • Icon. - Un mosaico
databile all'inizio del III sec., scoperto a Susa (l'antica Adrumeto) e ora al
museo del Bardo di Tunisi, rappresenta
V. seduto tra due Muse, con
l'
Eneide in grembo; i tratti della figura sembrano corrispondere alla
descrizione fisica che del poeta fece Elio Donato, tramandandoci l'immagine di
un
V. dall'aspetto di un contadino, alto e robusto, scuro di capelli e
con un volto quadrato dagli zigomi rilevati. Un'altra immagine del poeta
è in un mosaico, opera di Monno in Treviri, in cui le fattezze di
V. appaiono idealizzate.
LE OPERE DI VIRGILIO MARONE PUBLIO
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42 - 39 a.C. 37 - 30 a.C. 29 - 19 postumo
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Opere in versi Bucoliche o
Egloghe Georgiche Eneide Appendix virgiliana (antologia di opere
minori e spurie)
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