Il carattere di qualunque espressione artistica che
riveli un programmatico intento di rappresentare la realtà in modo
oggettivo, senza filtri ideologici o idealizzazioni; usato spesso, anche se
impropriamente, come sinonimo di
realismo:
il personaggio della madre
è reso con impressionante v. • Lett. - In
senso storico, movimento letterario italiano sviluppatosi nell'ultimo trentennio
dell'Ottocento, in reazione al languore sentimentale della produzione
tardo-romantica. Il
V. ebbe il suo antesignano nel Naturalismo francese
(di cui era caposcuola Zola), anche se di questo non sempre condivise l'impegno
socio-politico e l'intento moralizzatore. Secondo L. Capuana, fervido
sostenitore del
V., si trattava di elaborare una poetica che tendesse
alla rappresentazione realistica di una materia che non doveva per forza essere
attinta dagli ambienti socialmente o moralmente più degradati. Il
V. prese quindi diverse strade: in poesia si va dal realismo dissacrante
e anti-borghese di O. Guerrini a quello domestico e intimista di V. Betteloni, a
quello epico di Carducci o, ancora, all'intonazione burlesca di C. Pascarella,
al sincero patetismo del napoletano S. Di Giacomo. Tuttavia gli esiti artistici
migliori del
V. si verificarono nell'ambito del romanzo, il genere
letterario prediletto dai veristi perché permetteva di rappresentare la
realtà sociale contemporanea mettendo in luce i meccanismi antropologici
e sociologici che ne dovevano regolare il funzionamento. Il riferimento al
Naturalismo francese è soprattutto evidente nell'adozione del principio
dell'impersonalità contro le interferenze dell'autobiografismo e
dell'ideologismo. Poiché l'arte doveva avere un carattere innanzitutto
documentario, lo scrittore non avrebbe dovuto esporre nessuna tesi, anche
perché la funzione pedagogica dell'opera d'arte doveva scaturire
dall'efficacia con cui l'artista era in grado di rappresentare determinati
aspetti della realtà. Il documento programmatico assunto dai veristi
italiani è da individuarsi nella prefazione che Verga - capofila teorico
e artistico del
V. - antepose al suo romanzo
I Malavoglia
(1881). Dai principi metodologici del Naturalismo egli accolse la concezione
dello scrittore come "scienziato", che si serve degli strumenti
concettuali messi a punto dal Positivismo deterministico e del Darwinismo
(trasportando il principio della lotta per la sopravvivenza dall'ambito
biologico a quello sociale e umano) per analizzare la classe sociale e
l'ambiente familiare cui i personaggi appartengono e dai quali sono
inevitabilmente condizionati. I contenuti dovevano poi tradursi in una scrittura
capace di elaborare distinti registri stilistici in relazione ai distinti
livelli sociali da rappresentare. Tuttavia il
V. tese a diventare ben
presto regionalismo, in quanto gli autori scoprirono proprio nelle realtà
locali quel mondo ancora primitivo ed elementare, non ancora alterato dalla
falsità dei rapporti sociali superiori, che poteva fornire un ricco
terreno d'indagine. In ambito verista si ritrovano perciò una grande
varietà di stili e contenuti, dovuta a scrittori che, almeno per una
certa parte della loro produzione, andarono ad ingrossare le fila del cosiddetto
V. minore. Oltre ai capiscuola Verga e Capuana, si ricordino almeno F. De
Roberto, nel cui romanzo maggiore,
I Viceré, si riscontra una
particolare attenzione al contesto storico e all'analisi psicologia; M. Serao
che documentò la vita popolare napoletana in opere ispirate a un forte
spirito di denuncia (
Il ventre di Napoli,
Il paese di Cuccagna);
M. Pratesi, narratore aspro e drammatico della vita dei contadini toscani
(
L'eredità,
Il mondo di Dolcetta); R. Fucini, anch'egli
toscano, ma più portato ad un bozzettismo spesso di tono cordiale ed
umoristico (
Veglie di Neri,
All'aria aperta); E. De Marchi che
predilesse gli ambienti piccolo-borghesi; R. Zena che applicò la poetica
verghiana alla rappresentazione del mondo ligure (
La bocca del lupo); il
primo D'Annunzio (
Novelle della Pescara); G. Deledda, cantatrice di una
Sardegna ancora sospesa in un'aura mitica (
Canne al vento); G.C. Chelli
che si dedicò a raffigurare i vizi pubblici e privati della Roma
post-unitaria (
L'eredità Fioravanti). Ci fu anche una vivace
stagione teatrale verista inaugurata da
Cavalleria rusticana (1884) di
Verga e proseguita con i drammi borghesi di G. Giacosa e M. Praga; anche il
teatro napoletano di Di Giacomo è d'ispirazione verista, con una
particolare accentuazione lirica. • Mus. - Filone del
melodramma italiano sviluppatosi nell'ultimo decennio dell'Ottocento in sintonia
con le contemporanee correnti letterarie attive in Italia e Francia. Il
v. musicale si espresse soprattutto nella scelta dei soggetti, tratti da
episodi di vita degradata e brutale (spesso da fatti di cronaca nera come
accadde per
I Pagliacci) ed anche del soggetto storico veniva colta la
dimensione meno eroica e convenzionale. Dal punto di vista del linguaggio
musicale, però, la novità del
v. è fortemente
ridimensionata e sembra consistere nella ricerca, talora eccessiva,
dell'aderenza della musica all'azione, nel tentativo di conciliare la tradizione
belcantistica italiana con il nuovo corso aperto nel teatro d'opra da Wagner.
Elementi caratterizzanti del
v. furono dunque un impiego più
pregnante dell'orchestra, l'uso di un recitativo drammatico irrobustito anche da
una serie di efficaci espressioni sonore (grida, richiami, pianti), la ricchezza
dell'invenzione melodica, che includeva anche la rielaborazione di motivi
popolari (stornelli, danze, serenate, ecc.). Il lavoro iniziatore del
v.
operistico è considerato
Cavalleria rusticana (1890) di P.
Mascagni, tratto dall'omonima novella di Verga, il cui presupposto storico
è individuabile in
Carmen (1870) di Bizet, opera di impianto
realista e ricca di colore locale. Due anni dopo fu rappresentata l'opera
I
Pagliacci di R. Leoncavallo, un successo rimasto però isolato nella
carriera complessiva del musicista. Del resto, nemmeno Mascagni e U. Giordano -
le cui opere
Malavita (opera breve del 1892),
Andrea
Chénier (1896) e
Fedora (1898) sono ascrivibili al filone
verista - riuscirono a rinnovare nelle opere successive la freschezza
d'ispirazione che aveva contraddistinto la loro produzione verista. L'intrinseca
debolezza musicale del melodramma verista non influenzò invece la
parabola artistica di G. Puccini, che seppe rinnovare i propri mezzi stilistici
grazie ad una notevole apertura nei confronti della cultura musicale
contemporanea. L'influsso verista nella produzione pucciniana si limita a opere
come
Tosca (1900) e
La fanciulla del West (1910), mentre con
Il
Tabarro (1918), primo lavoro del
Trittico, si può invece
parlare di fuga in avanti rispetto alle esperienze musicali italiane
contemporanee. Frutti tardivi del
v. musicale si ritrovano nelle opere di
R. Zandonai (
Francesca da Rimini,
Giulietta e Romeo) e di F. Cilea
(
Arlesiana,
Adriana Lecouvreur). • Arte
- Orientamento caratterizzante la produzione di alcuni artisti (anche
coagulatisi in vere e proprie scuole) attivi in Italia nella seconda metà
dell'Ottocento. Il motivo ispiratore del
v. artistico era per lo
più la realtà quotidiana degli strati popolari, colta sia nelle
manifestazioni di colorito folclore sia negli aspetti più dolorosi e
amari; la predilezione per il pittoresco si alterna allora con un'arte tendente
al documentarismo o con un programmatico intento di denuncia sociale. Tra i
rappresentati del
v. figurano, tra gli altri, G. Gigante e la scuola di
Posillipo, il movimento dei macchiaioli nonché singole personalità
artistiche come V. Vela e T. Patini.