L'atto del verificare e del verificarsi. Sinonimo
ormai desueto di
verifica (V.). •
Dir. -
V.
dei registri dello stato civile: accertamento effettuato
dal pretore a gennaio e a luglio di ogni anno per assicurarsi del corretto
mantenimento dei registri dello stato civile e dell'osservanza delle norme in
materia. ║
V.
dello stato passivo: nella procedura
fallimentare, (artt. 96 e 97 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267), accertamento
nell'adunanza dei creditori dello stato passivo; è predisposto dal
giudice delegato e deve effettuarsi prima che il giudice, introdotte le
integrazioni e le modifiche necessarie, possa dichiarare esecutivo lo stato
passivo stesso. ║
V.
della scrittura privata: procedimento
con il quale si accerta per vera una scrittura privata, quando una delle parti
la disconosca. La procedura della
v. solitamente è incidentale;
essa, tuttavia, può essere iniziata anche in via principale, mediante
citazione. L'art. 214 del Codice di procedura civile attribuisce la
facoltà di disconoscere la scrittura privata (di negare, cioè, in
modo formale la propria scrittura o la propria sottoscrizione) alla parte contro
cui tale scrittura è stata prodotta; a sua volta, di fronte al
disconoscimento, la parte che ha prodotto la scrittura, qualora intenda
valersene, ha la possibilità di chiederne la
v., di proporre i
mezzi di comparazione che ritiene opportuni, di presentare e indicare le
scritture che possano fungere da comparazione. La scrittura privata in
discussione è posta sotto custodia in seguito alla presentazione
dell'istanza. Il giudice istruttore ha facoltà di ordinare alla parte
disconoscente di scrivere sotto dettatura, in presenza di un consulente tecnico.
Conclusa l'istruttoria, il verdetto sull'autenticità della scrittura
è affidato al collegio; se l'istanza di
v. viene accolta, la parte
disconoscente deve soddisfare gli obblighi giuridici previsti dalla scrittura e
può, inoltre, essere condannata a una pena pecuniaria. • Filos. -
Principio di v.: è indicata generalmente in questo modo
l'assunzione congiunta di due tesi, la prima delle quali afferma che un
enunciato ha significato se, e soltanto se, è possibile la sua
v.,
mentre la seconda sostiene che il significato di un enunciato è il metodo
della sua
v. Poiché la prima tesi pone un criterio di significanza
e la seconda, invece, si configura come una definizione di significato, talora,
in base a questa differenza, la denominazione
principio di v. è
stata attribuita a una sola delle due tesi. Tale principio comunque trae origine
dal pensiero dei pragmatisti C. S. Peirce e W. James, anche se è stato
formulato in modo esplicito dal Circolo di Vienna, che vide in L. Wittgenstein
l'autore del principio stesso (il filosofo austriaco non ne fece mai, in
realtà, esplicita menzione). La formulazione della prima tesi del
principio di
v. ha avuto grande importanza nell'ambito del Neoempirismo
(o Positivismo logico), impegnato nella ricerca di un criterio di significanza
volto a creare una distinzione tra enunciati forniti di significato ed enunciati
che non ne sono forniti; questa corrente filosofica negava
significato
cognitivo agli enunciati della metafisica, considerati pseudo-asserzioni, e
lo attribuiva agli enunciati dotati di
significato empirico e a quelli
dotati di
significato logico. Importanti conseguenze, in direzione di un
indebolimento e poi di una negazione del principio di
v., ha avuto,
tuttavia, l'obiezione, riconducibile in larga parte a K.R. Popper, secondo cui
gli enunciati di forma universale, e di conseguenza, le leggi fisiche, non
possono essere verificati in modo conclusivo e, quindi, stabiliti come veri,
poiché una simile verifica comporterebbe un numero di attestazioni
empiriche pressoché infinite.