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Védova, Emìlio.

Pittore italiano. Nato in una famiglia di artigiani-operai veneziani, mostrò sin da ragazzo una spiccata inclinazione per il disegno, realizzando una serie di vedute architettoniche della sua città, cui ben presto, da autodidatta, iniziò ad associare l'arte pittorica, creando (anni 1930-40) numerose tele dalle figure nero-bianche (quali Autoritratto sullo specchio da terra e Crocifissione da dietro) e altre di maggiore vivacità cromatica (Martirio di Isacco, Mosè fa scaturire l'acqua dalla roccia, Ponte di Rialto, La musica). Nel 1942 aderì al movimento d'ispirazione espressionista denominato Corrente e presentò al Premio Bergamo Natura morta con teschio, opera che ben esemplifica la sua peculiare gestualità e la sua propensione alla tragicità. Antifascista convinto, nonostante la dichiarata simpatia per il Futurismo, negli anni 1944-45 prese attivamente parte alla Resistenza e subito dopo (1946) fu tra i firmatari, a Milano, del manifesto "Oltre Guernica", per poi fondare, a Venezia, assieme ad altri artisti, la Nuova Secessione Italiana, poi Fronte Nuovo delle Arti, movimenti che assegnavano all'arte una marcata valenza sociale, di trasformazione. Tuttavia, in polemica con Renato Guttuso, se ne distaccò ben presto, per unirsi al Gruppo degli Otto, più rivolto all'astrattismo (1952-53). Nel frattempo soggiornò anche Parigi, dove ebbe modo di frequentare l’ambiente degli esistenzialisti. Tra i maggiori espressionisti astratti italiani del Novecento, V. fu memorabile protagonista di tante Biennali di Venezia, che seppe impreziosire con lavori d'intensa emotività e spiccata originalità: vi esordì nel 1948 con le opere L'uragano, Il combattimento, Il guado, L'esplosione e Morte al sole; nel 1952 gli fu dedicata un'intera sala, nel 1960 gli venne assegnato il Gran Premio per la pittura e, nel 1997, il prestigioso Leone d'Oro. Il suo percorso stilistico partì da una impostazione neocubista (ciclo Europa, 1950) per approdare, con una lunga ricerca e un'intensa sperimentazione tecnica, all'informale e alla pittura segno-gesto-materia: stile al quale si dedicò pienamente negli anni Sessanta, anche con serie di costruzioni dipinte in materiali diversi (ferro, legno, vetro, ecc.) detti Plurimi. Queste opere polimateriche, appoggiate a supporti vaganti, che invadono lo spazio e il pavimento, furono esposte per la prima volta a Roma, in occasione di una delle sue più celebri e provocatorie mostre. Da allora egli divenne uno dei pochi maestri italiani ad avere ampia risonanza, in vita, oltre i confini nazionali, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti. Insegnante a Salisburgo presso la Sommerakademie für bildende Kunst (1965-73) e a Venezia presso l'Accademia di Belle Arti (dal 1975), V. si dedicò anche alla scultura, all'incisione e alla scenografia teatrale, collaborando con Luigi Nono alla messa in scena di opere come Intolleranza 1960 (1961) e Prometeo (1984), realizzando altresì lastrine dipinte per proiezioni multiple in movimento in sincrono col suono (dette "musica stereofonica" e "pittura stereovisiva"). La sua attività espositiva, diradatasi negli ultimi anni, annovera importanti allestimenti - quali quelli della Galleria Civica d'Arte Contemporanea di Torino (1996), del Castello di Rivoli (1998) e della Galleria Salvatore e Caroline Ala di Milano (2001 e 2005-06) - nei cui grandi e magnifici spazi la sua forza creatrice "selvaggia" e la sua eterna vocazione all'"oltre" e all'"altrove" trovarono una degna cornice di supporto (Venezia 1919-2006).