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Vènere.

Nella mitologia romana, dea della bellezza, dell'amore, della fecondità e della natura primaverile, assimilata alla divinità greca Afrodite (V. OLTRE). ║ In espressioni ellittiche il nome di V. si impiega anche per indicare opere scultoree o pittoriche che la rappresentano: V. di Milo. ║ Donna di straordinaria bellezza: non è una V. (litote riferita a donna non dotata di grande bellezza o piuttosto brutta). ║ Fig. e Lett.: bellezza, grazia: le v. dello stile. ║ Fig.: l'amore, in particolare, l'amore sensuale e fisico. ║ Bacco, tabacco e V. riducono l'uomo in cenere: il bere, il fumo e l'amore sconsiderati compromettono la salute dell'uomo. ║ Il venerdì (giorno di V.) in alcuni dialetti e nel proverbio né di v. né di M., non si sposa né si parte. • Anat. - Collare di V.: solco cutaneo che si riscontra nella donna, presso la base anteriore del collo, a causa del leggero aumento di volume della tiroide. ║ Monte di V.: superficie più o meno rilevata (a causa dello spessore del tessuto sottocutaneo) del pube femminile. • Mineral. - Capelli di V.: aghetti di rutilo compresi nel quarzo ialino (quarzo capelvenere). • Mitol. - Non ci si può esprimere con certezza sull'identità della dea V. nel periodo precedente alla sua assimilazione con la greca Afrodite. Se alcuni studiosi sono inclini a pensare che la divinità fosse accostabile sin da principio alla corrispettiva greca, altri le attribuiscono un ruolo originario di dea della natura feconda. Si è cercato, inoltre, di ricostruire la primitiva identità della dea attraverso ipotesi di carattere etimologico. Anche dopo l'identificazione con la divinità greca, comunque, V. non perse mai completamente le caratteristiche di dea della natura, protettrice di giardini e orti. L'acquisizione delle prerogative di Afrodite è collocata nel IV-III sec. a.C.: punto di collegamento sarebbe stato il culto di Afrodite sul monte Erice in Sicilia (donde derivò a V. l'appellativo di Erycina), ma un ruolo importante potrebbero aver avuto anche gli Etruschi. Ad Ardea vennero costruiti i templi di V. più antichi e celebri del Lazio. I più antichi edifici romani per il culto della divinità furono, invece, quello del bosco sacro di Libitina e quello innalzato presso il Circo Massimo e iniziato nel 295 a.C. da Quinto Fabio Massimo Gurgite. Nel lettisternio comandato dai libri sibillini nel 217 a.C. si trova quell'unione di V. con Marte destinata a diventare canonica. Due templi di notevole importanza dedicati alla dea furono quello sul Campidoglio, votato da Quinto Fabio Massimo nel (215 a.C.), e quello edificato presso la porta Collina (181 a.C.). Nel 114 a.C. fu dedicato un tempio a V. come custode della castità (Venus Verticordia, ossia che rivolge gli animi alla pudicizia). Grande onore ebbe la divinità dai protagonisti dell'ultima età repubblicana: Silla e Pompeo la elessero a propria protettrice, rispettivamente come Venus Felix e Venus Victrix. Giulio Cesare introdusse il culto di Venus Genitrix e fece costruire alla dea un notevole tempio nel suo Foro; la gens Iulia, infatti, individuava in V., attraverso le leggendarie vicende di Iulo ed Enea, la propria progenitrice. Particolare sviluppo ebbe, quindi, il culto di V. ai tempi della dinastia Giulio-Claudia. Nel 113 d.C. Traiano fece unire nel templum urbis il culto della dea con quello della città di Roma. L'identificazione con Afrodite fece ricadere su V. diversi appellativi (come Citerea e Ciprigna) che derivavano da luoghi di particolare culto della divinità greca; similmente si operò una distinzione tra V. Urania e Pandemia con riferimento rispettivamente all'amore celeste o sacro e a quello terreno o profano.