Stato (17.075.400 kmq; 144.000.000 ab.) situato
nell'Europa nord-orientale e su tutta l'Asia settentrionale. Confina a Nord con
Norvegia, Mare di Barents, Mare di Kara, Mare di Leptev, Mare della Siberia
Orientale e Mare di Čukči; a Est con Mare di Bering, Oceano Pacifico,
Mare di Ohotsk e Mare del Giappone; a Sud con Corea del Nord, Cina, Mongolia,
Kazakistan, Mar Caspio, Azerbaigian, Georgia, Mar Nero, Mar d'Azov; a Ovest con
Ucraina, Russia Bianca, Lettonia, Estonia, Mar Baltico e Finlandia. La provincia
di Kaliningrad è collocata sul Mar Baltico tra Polonia e Lituania ed
è, dunque, separata dal resto del Paese. La
R. comprende, inoltre,
le Isole di Kolgujev, della Novaja Zemlja, della Severnaja Zemlja, gli
arcipelaghi di Francesco Giuseppe e della Nuova Siberia, l'Isola di Wrangel, nel
Mare Glaciale Artico, l'Isola di Sahalin e i gruppi delle Curilie del
Commodoro nell'Oceano Pacifico. Capitale: Mosca. Città principali: San
Pietroburgo, Niznij Novgorod, Jekaterinburg, Novosibirsk, Samara, Omsk,
Čeljabinsk, Perm, Rostov. Ordinamento: Repubblica presidenziale; il potere
legislativo è detenuto dal Congresso dei deputati del popolo russo,
composto da 1.068 membri liberamente eletti, mentre il potere esecutivo spetta
al presidente, eletto a suffragio universale diretto, che nomina il capo del
Governo. Moneta: rublo. Lingua ufficiale: russo. Religione: cristiano-ortodossa,
con minoranze cattoliche, musulmane, buddhiste ed ebree. Popolazione: i Grandi
Russi, di ceppo slavo, costituiscono l'80% circa dell'intera popolazione; sono
presenti altre minoranze slave (Ucraini, Russi Bianchi) e asiatiche (Tatari,
Ciuvasci, Baschiri), nonché sparuti gruppi di Finni, Ugro-Finni e
popolazioni di origine uralo-altaica e paleoasiatica. La densità
abitativa, mediamente assai bassa (8 ab./kmq), è più elevata nella
R. europea e nella Ciscaucasia.
GEOGRAFIA
Morfologia: procedendo da Ovest verso
Est, si incontra dapprima il Bassopiano Sarmatico, estesa pianura (interrotta
solo qua e là da modesti rilievi) che occupa pressoché interamente
la parte nord-occidentale della
R. e che comprende a Nord la regione dei
Grandi Laghi e la penisola di Kola, a Sud le colline dei Valdai e del Rialto
Centrale e, più a Est, le colline del Volga. A Sud del Bassopiano
Sarmatico, preceduto da una grande steppa (
Ciscaucasia), si innalza il
massiccio del Caucaso, con le vette degli antichi vulcani dell'Elbrus (5.633 m)
e del Kazbek (5.047 m). La catena degli Urali, che si estende per oltre 2.000 km
dai Monti Pai Choi fino ai Monti Mugodzary, separa il Bassopiano Sarmatico dal
Bassopiano Siberiano Occidentale; questo, a sua volta, giunge fino al fiume
Jenissej, e risulta inclinato verso il Mare Glaciale, verso cui scendono i suoi
maggiori corsi d'acqua. Tra lo Jenissej e la vallata della Lena si estende
l'Altopiano Centrale Siberiano, caratterizzato da una fitta rete di valli. Oltre
la Lena si snodano le grandi catene montuose orientali, ovvero i Monti
Verhojansk, Čerski, del Kolyma, dell'Anadyr, dei Coriacchi e della penisola
della Kamciatka. Zona montuosa è anche quella situata al confine con la
Mongolia e la Cina, ove si elevano i Monti Altaj (la cui cima più alta
risulta il monte Beluha, 4.506 m), i Monti Sajani, i Monti Jablonovy,
l'Altopiano di Stanovoj, i Monti Stanovoj, i Monti della Bureja e la catena del
Sihote-Alin. ║
Idrografia: la
R. europea è solcata da
fiumi di grande portata, strutturati in diversi bacini, il più esteso dei
quali è quello che tributa al Mar Caspio attraverso il Volga. Il Volga
(3.688 km) costituisce il più lungo fiume europeo e risulta estremamente
importante per il sistema idroviario russo, essendo per larga parte navigabile.
Navigabili sono pure i suoi maggiori affluenti (l'Oka e il Kama) e il Don;
invece sono gelati per buona parte dell'anno i fiumi che corrono in direzione
Sud-Nord, quali, ad esempio, la Dvina Occidentale, il Volhov (che forma il
più grande lago europeo, il Ladoga), la Dvina Settentrionale, e il
Pečora. Anche la parte asiatica della
R. è ricca di corsi
d'acqua, quasi tutti orientati verso le coste artiche: l'Ob, lo Jenissej, la
Lena, l'Indigirka e il Kolyma. Unico fiume di rilievo che termina il suo corso
nell'Oceano Pacifico è l'Amur. ║
Clima: l'elevata latitudine
e la considerevole distanza dal mare di gran parte del territorio fanno
sì che la
R., eccezion fatta per le coste del Mar Nero, goda di un
clima tipicamente continentale, con inverni lunghi ed estremamente rigidi. Per
buona parte dell'anno le pianure russe sono preda del gelo, con temperature che
decrescono man mano che ci si spinge verso Est (più che verso Nord) e che
sull'Altopiano Siberiano possono toccare anche i -70 °C. L'escursione
termica supera ovunque i 25 °C, con punte nella zona di Verchojansk anche
oltre i 60 °C; la piovosità è assestata su valori inferiori
ai 500 mm annui. ║
Flora e fauna: nelle zone settentrionali, che si
affacciano sul Mare Glaciale Artico, domina la
tundra, una grigia e
desolata pianura, gelata nove mesi all'anno, con una vegetazione assai povera
(cespugli, muschi e licheni). A Sud della tundra, si estende la
taiga,
una sterminata foresta di conifere che a tratti si dirada, lasciando il posto ad
ampie paludi; le zone più meridionali sono, invece, interessate dalla
monotona distesa erbosa della
steppa. Flora di tipo mediterraneo si trova
sulle coste del Mar Nero e flora di tipo alpino compare sul Caucaso e sugli
Urali. Per quel che concerne la fauna, si riscontra la presenza di foche,
trichechi e orsi bianchi sulle coste del Mare Glaciale Artico; nella tundra
vivono ermellini, martore, zibellini, renne, volpi e lupi, mentre la taiga
è popolata da cervi, alci, caprioli, scoiattoli, cinghiali, lepri, faine.
Assai ricca risulta, infine, la fauna marina e fluviale.
Cartina della Russia
Mosca: il mausoleo di Lenin e il Cremlino
Mosca: il ponte Kalinin e la sede del Comecon
La chiesa di San Basilio a Mosca
ECONOMIA
Sino al 1991 in
R., come nel resto delle
altre Repubbliche sovietiche, lo Stato esercitava un controllo assoluto in tutti
i settori dell'economia: era, infatti, il proprietario del suolo e del
sottosuolo, di tutti i mezzi di produzione, dei trasporti, di larga parte della
rete commerciale, degli istituti finanziari, nonché della maggior parte
delle abitazioni. Lo Stato era anche unico imprenditore nel settore industriale
e gestiva gran parte di quello dei servizi; nel settore agricolo, invece,
l'esercizio di un diretto controllo statale si limitava a circa un quinto della
superficie produttiva, essendo la restante parte affidata ad aziende cooperative
(
kolchoz). La proprietà privata era possibile solo per le case
d'abitazione e per le piccole aziende individuali artigiane e commerciali; era
tollerato anche qualche caso di proprietà agricola. Questo gigantesco
apparato economico statale era gestito sulla base di piani quinquennali redatti
dal
Gosplan, un organo centrale a ciò preposto. Con lo
scioglimento dell'Unione Sovietica, la
R. ha operato una scelta liberista
di disimpegno dello Stato dall'economia. ║
Agricoltura:
l'agricoltura incontra forti ostacoli nelle condizioni climatiche; in
particolare, il freddo impedisce coltivazioni di sorta su quasi metà del
territorio, mentre la scarsità di precipitazioni e la ridotta
fertilità dei terreni ostacolano la messa a coltura dell'area rimanente;
solo l'8% della superficie risulta, pertanto, produttiva. Le coltivazioni
più diffuse sono quelle cerealicole (grano, mais, orzo e avena), anche se
quelle più redditizie rimangono le colture industriali, quali la
barbabietola e le piante oleose (lino, soia, girasole); tipica dell'area
temperata-fredda del Nord-Ovest è, invece, la segale. Si producono
inoltre patate, riso, frutta, uva. Importanti sono le risorse forestali
.
║
Allevamento: è largamente praticato l'allevamento bovino,
che fornisce una notevole quantità di carne e latticini; di rilievo sono
anche gli allevamenti suino, ovino, equino e, nelle regioni settentrionali,
delle renne e degli animali da pelliccia. Redditizia è la pesca: dalle
acque del Mar Glaciale e dell'Oceano Pacifico arrivano grandi quantità di
merluzzi, acciughe, aringhe e balene, mentre quelle del Volga forniscono le uova
di storione, base del rinomato caviale russo. Importante è anche
l'apicoltura. ║
Risorse minerarie: i centri di estrazione
più importanti si trovano negli Urali (ferro, rame, piombo, zinco,
bauxite, nichel, cromo, amianto e sali potassici), in Siberia (ferro, piombo,
zinco, bauxite, uranio e zolfo), nel Caucaso (piombo, zinco), nella zona di
Murmansk (nichel, cromo, rame), a Kursk (ferro) e sul medio Volga (zolfo). La
R. è anche uno dei massimi produttori mondiali di oro, diamanti e
platino, grazie alle miniere della Siberia e degli Urali. Per quanto riguarda i
combustibili, oltre alla presenza di grandi bacini carboniferi (Urali, zona di
Mosca, Siberia, Sahalin, parte del Donec), la
R. dispone di notevoli
giacimenti di petrolio a Stavropol, nei bacini dell'Ob, in Siberia e nell'Isola
di Sahalin. Grandi giacimenti di gas naturale si trovano nel Caucaso del Nord,
nelle zone di Saratov e di Uhta e in Siberia. Di rilievo è anche la
produzione di elettricità grazie alle imponenti dighe (sullo Jenissei,
sul Volga, sull'Angara) e alle numerose centrali termiche (Stavropol, Rjazan,
Novočerkassk) e termonucleari (San Pietroburgo, Kursk). ║
Industria: caratteristica principale dell'industria russa, eredità
di quella sovietica, è lo sbilanciamento a favore del settore meccanico
pesante. In questo senso, non è un caso che le maggiori aree industriali
siano nate e si siano sviluppate nelle regioni di San Pietroburgo, di Mosca, del
Donbass, del Volga e del Kuzbass, tutte in prossimità di zone ricche di
risorse minerarie. Fiorenti sono i settori siderurgico, elettromeccanico, di
macchine agricole e autoveicoli, seguiti da quelli di materiale ferroviario,
aeronautico, dei cantieri navali, chimico, petrolchimico, tessile. Dopo la
liberalizzazione dell'economia operata nell'ultimo decennio del XX sec.,
è cresciuta anche la produzione di beni di consumo quali
elettrodomestici, mobili, ecc. ║
Comunicazioni e commercio: il
principale problema che caratterizza il commercio russo è legato alla
fragilità del sistema distributivo, a sua volta causato in parte dalla
disorganizzazione delle comunicazioni e in parte dagli ostacoli naturali. La
rete stradale e ferroviaria è, infatti, sviluppata, specie nel settore
europeo, ma risulta difficilmente fruibile d'estate a causa del disgelo; i corsi
d'acqua interni sono navigabili, ma restano soggetti al gelo invernale; le vie
aeree constano di una ventina di aeroporti di rilievo che servono un intenso
traffico interno, ma con standard di sicurezza bassi. La navigazione marittima
consta di importanti porti quali quelli di San Pietroburgo sul Mar Baltico, di
Novorossijsk sul Mare Nero, di Vladivostock sul Mare del Giappone, di Murmansk
sul Mar di Barents e di Arcangelo sul Mar Bianco. La
R. esporta
combustibili, fossili, armi, metalli e legname e importa beni
alimentari.
STORIA
Il nome
R. rimanda al Regno formatosi
intorno a Kiev nei secc. X-XI e successivamente ampliatosi intorno a Mosca a
partire dal XIV sec. Le prime testimonianze storiche di popolazioni stanziatesi
in questo territorio risalgono al Paleolitico medio e si trovano nei pressi di
Volgograd: del Paleolitico superiore sono, invece, gli insediamenti di
Kostenki-Borščevo e di Puškari. Il Neolitico fu periodo di grande
sviluppo per la
R. meridionale: le numerose culture che l'abitarono
scomparvero con l'avvento dei Kurgani, una popolazione asiatica bellicosa.
Nell'Età del Ferro (secc. VIII-VII a.C.), in quelle zone si stabilirono
gli Sciti, appartenenti al gruppo iranico della razza aria, mentre a Nord del
Mar Nero iniziò la colonizzazione greca (Olbia, Chersoneso, Panticapea);
nel IV sec. a.C. arrivarono nella zona del Volga inferiore i Celti e nel III
sec. a.C. i Sarmati scacciarono gli Sciti. La
R. meridionale fu occupata
via via nel corso dei secoli dai Romani, dai Goti (secc. II-III d.C.), dagli
Unni (III sec.), dagli Avari (VI sec.) e dagli Ungari (VIII sec.), finché
essa non cadde nelle mani dei Kazari, che costituirono un vasto dominio dal
Caucaso al Volga e al medio Dnepr. Nel frattempo, si era verificata nel VII sec.
a partire dal versante Nord dei Carpazi l'espansione dei popoli slavi, nel corso
della quale Poljani, Voliniani, Severiani, Drevliani, Krivici entrarono in
contatto, in modo a volte pacifico a volte violento, con le popolazioni indigene
(Finni, Kazari, Bulgari). Dal IX sec. si vennero così costituendo
comunità dedite al commercio e sorsero i primi centri fortificati
(Novgorod, Rostov, Smolensk, Kiev) contro le aggressioni dei nomadi. Sempre in
quel periodo si ebbero i primi contatti con le popolazioni scandinave, tra cui i
Variaghi o Vichinghi (detti anche
Rus', da cui il nome
R.), che si
stanziarono sulla via commerciale tra il Baltico e il Mar Nero. La leggenda
vuole che alcune tribù indigene, per essere protette dai Kazari, si siano
rivolte ad alcuni capi variaghi: in questo modo, si sarebbe costituito a
Novgorod il principato variago di Rjurik, discendenti del quale si sarebbero
proclamate in seguito le dinastie dei vari principati russi. Rjurik regnò
dall'862 all'879; il suo successore, Oleg (879-911), conquistò Kiev
(facendola capitale) e allacciò relazioni commerciali con Costantinopoli.
Morto Oleg, salì al potere Igor (912-945), figlio di Rjurik, che
attaccò invano Costantinopoli (941); né ebbe miglior fortuna suo
figlio Svjatoslav (945-972) che, dopo aver sconfitto i Kazari e i Bulgari del
Volga loro alleati, subì nel 971 un grave rovescio per opera di Giovanni
I Zimisce. Svjatoslav divise il principato tra i suoi tre figli, ma il
più giovane di questi, Vladimiro il Grande o il Santo (980-1015), lo
riunì di nuovo. La sua conversione al Cristianesimo (988) aprì la
strada a quella del suo popolo e il suo matrimonio con una principessa
bizantina, Anna, inaugurò una nuova stagione nei rapporti tra Kiev e
Costantinopoli. Dopo che anche Vladimiro aveva diviso il principato tra i figli
e che ancora una volta il più giovane, Jaroslav il Savio (1019-1054),
aveva avuto modo di ricondurlo a unità a scapito dei fratelli,
iniziò un periodo florido per Kiev, che divenne un importante centro
culturale e commerciale: a Jaroslav, in particolare, va il merito di aver dotato
lo Stato delle prime leggi scritte, derivate dal diritto consuetudinario.
Già con Jaroslav, però, venivano poste le premesse per quella
frantumazione del principato in tanti piccoli staterelli indipendenti che si
sarebbe verificata alla morte di Jaropolk II (1139) e che ne avrebbe determinato
la decadenza. Tra questi staterelli si affermò il principato di Suzdal,
che nel 1169, sotto il dominio di A. Bogoljubskij, si impadronì di Kiev;
successivamente anche Novgorod accrebbe la propria importanza, divenendo centro
commerciale di assoluto rilievo e combattendo vittoriosamente contro Svedesi e
Tedeschi sotto la guida di A. Nevskij. In Galizia e in Volinia il potere rimase,
invece, ai discendenti di Rjurik, seppure sotto la continua minaccia di
incursioni di Ungheresi e Polacchi. All'inizio del XIII sec. i Tatari, un popolo
mongolico che aveva già conquistato la Cina del Nord, iniziarono la loro
avanzata verso Occidente e, guidati da Genghiz Khān, riportarono una
clamorosa vittoria sui principi russi sul fiume Kalka (1223); fu però
solo nel 1237, dopo che Genghiz Khān era morto e il comando era passato a
suo nipote Batu, che cominciò la vera e propria invasione tatara della
R. Batu occupò in breve tempo i vari principati russi e
fondò a Ovest degli Urali il khānato dell'Orda d'Oro, con capitale
Saraj, senza peraltro espropriare delle loro terre i principi russi, ma solo
sottoponendoli al pagamento dei tributi di vassallaggio. Fu in questo periodo
che acquistò importanza la città di Mosca, ove si era insediato
come signore della città Daniele, ultimogenito di Nevskij, che diede
avvio a una dinastia ereditaria. Sotto Ivan I Kalita (1328-41), la città
fu incaricata dai Tatari di riscuotere tutti i tributi della
R.,
ottenendo nel 1329 che il ducato venisse elevato a granducato; in quegli anni
(1325), Mosca acquistò anche i gradi di capitale religiosa della
R., con il trasferimento del metropolita della Chiesa russa. Tappa
fondamentale per lo sviluppo della potenza moscovita fu anche il Regno di
Dmitrij Donskoj (1362-89), che conquistò Tver, Novgorod, Rjazan e
Smolensk e che si ribellò ai Tatari, sconfiggendoli a Kulikovo nel 1380,
ma venendone a sua volta sconfitto due anni dopo. La presa di Mosca e il
ristabilimento del tributo tataro non frenarono, però, né la
decadenza del khānato dell'Orda d'Oro, ormai frammentato al suo interno in
piccoli potentati, né lo sviluppo di Mosca, che nel 1480 con Ivan III
(1462-1505) cessò di pagare i tributi, iniziando contemporaneamente una
politica fortemente espansionistica. Ivan III poté così
proclamarsi signore di tutte le
R. e condurre il Paese a dialogare con
gli Stati occidentali; sua moglie, Sofia Paleologo, chiamò a corte
architetti italiani, che seppero fondere le loro esperienze artistiche coi gusti
e le tradizioni locali. Con Vasilij III (1505-33) l'espansione russa subì
un'ulteriore accelerazione, con la conquista di Smolensk e di Pskov. Suo figlio,
Ivan IV il Terribile (1530-84), fu il primo a farsi chiamare
zar,
intendendo con ciò da un lato differenziarsi dagli altri principi,
dall'altro sottolineare il passaggio dell'eredità bizantina a Mosca. La
sua energica azione condusse alla conquista di Kazan (1552) e di Astrahan
(1556), ottenendo in tal modo lo sbocco sul Mar Caspio e il possesso di tutto il
corso del Volga, ma non a quella della Livonia e della costa baltica, per il cui
possesso egli combatté invano contro Polonia e Svezia; in suo nome, G.
Stroganov si impadronì della Siberia. A Ivan IV e al suo Governo
assolutistico risale la fondazione dell'autocrazia russa, mediante l'istituzione
di un'organizzazione corporativa obbligatoria nella quale vennero inclusi tutti
i ceti sociali e che sanciva la servitù della gleba; a questa Ivan IV
abbinò una corporazione militare (l'
opričnina), composta di
suoi fedelissimi e in seguito divenuta casta autonoma. Il figlio Fëdor I
(1584-98) si rivelò inadatto al governo, lasciando di fatto il potere
nelle mani del cognato Boris Godunov (1598-1605), che fu eletto zar alla morte
di Fëdor (morte che decretò l'estinzione della dinastia di Rurijk).
Lotte interne e carestie avevano, però, determinato un'intricata rete di
ribellioni e di tradimenti, precipitando la
R. in piena crisi
economico-sociale: fu così che nel 1604 un uomo che sosteneva di essere
figlio di Ivan IV e, dunque, legittimo zar, aiutato dalla corte polacca e
approfittando della morte improvvisa di Godunov, salì al potere; l'anno
seguente fu, però, vittima di una congiura dei grandi proprietari
terrieri (i
boiari) che portò all'elezione a zar del principe
Vassilij Šujskij. Si aprì, allora, in
R. un periodo di
estrema confusione: comparvero altri pretendenti al trono, tra cui Ladislao,
figlio di Sigismondo re di Polonia, che divenne zar nel 1610. Questo fatto,
unito all'occupazione svedese di Novgorod, anziché provocare il
dissolvimento della
R., ne coagulò il sentimento nazionale attorno
alla figura di Michele Romanov, che fu eletto zar nel 1613. Con Michele
(1613-45) e con i suoi successori Alessio (1645-76) e Fëdor III (1676-82),
la
R. attraversò un periodo di difficile assestamento. Per quel
che concerne la politica estera, fu conclusa la pace con la Svezia a Kosovo
(1617), mentre con la Polonia, dopo un primo accordo del 1634, fu stipulato il
Trattato di Andrusovo (1667), che attribuì alla
R. i territori
ucraini a Est del Dnepr, con Kiev e Smolensk; all'interno, invece, fu adottato
un nuovo codice (1649), che sanciva a livello giuridico la servitù della
gleba e, più in generale, quei rapporti di stampo feudale che dovevano
caratterizzare fino al XX sec. il sistema produttivo russo. In quel periodo,
scoppiarono numerose rivolte popolari, quali, ad esempio, quella del 1648 per
l'introduzione della tassa sul sale o quella del 1656 per la svalutazione della
moneta; soprattutto, però, si ebbe nel 1667 la rivolta dei Cosacchi
(popolazione nomade di origine tatara stanziatasi dal XV sec. nella
R.
meridionale), guidata da Sten'ka Razin, che nel 1670 arrivò a occupare
Caricyn, Saratov e Samara, prima di essere sconfitto dalle forze governative e
giustiziato pubblicamente (1671). Morto Fëdor III nel 1682, il potere
passò nominalmente a Pietro I (1672-1725), detto poi il Grande, sotto la
reggenza della sorella Sofia; portato al Governo da un colpo di Stato nel 1689,
Pietro assunse personalmente la direzione degli affari pubblici nel 1695. Nel
1697-98, intraprese un viaggio all'estero che durò più di un anno
e che sarebbe ancora continuato, se in patria non fosse scoppiata la rivolta
degli
strelitzi (la guardia imperiale), appoggiata dai conservatori:
Pietro I represse ferocemente la ribellione, abolendo il corpo. Fu con questa
operazione che ebbe inizio un'energica politica riformatrice dello Stato russo:
Pietro organizzò un regolare reclutamento e addestramento di ufficiali e
truppe, sottopose la nobiltà all'obbligo del servizio statale (militare o
civile), fondò una flotta da guerra, diede impulso all'industria,
razionalizzò l'amministrazione, aumentò la pressione fiscale.
Tutto ciò andava in direzione di un marcato accentramento del potere e
finiva per spogliare di importanza la classe dei boiari e il suo organo di
rappresentanza, la
Duma (le cui funzioni furono nella sostanza rilevate
da un Senato che dipendeva direttamente dallo zar). La stessa Chiesa russa, che
non di rado
in passato aveva assunto nella figura del patriarca un ruolo
preminente sullo zar, fu ridimensionata con la costituzione di un
Sinodo
(1716), anch'esso dipendente dallo zar, per il suo governo. Accadde così
che gli oppositori dello zar si coalizzarono e, approfittando di un viaggio a
Parigi di Pietro, nel 1717 ordirono una congiura, nella quale risultava
implicato il figlio di Pietro, Alessio: lo zar rientrò in fretta dalla
Francia e represse la rivolta, non esitando a mettere a morte il figlio (1718).
Anche in politica estera l'azione di Pietro si caratterizzò per un
notevole dinamismo. La
R. all'epoca aveva bisogno, per potenziare i suoi
commerci, di aprirsi uno sbocco sul Mar d'Azov (e quindi sul Mar Nero) e sul
Baltico, essendo i suoi mari uno, il Mar Caspio, chiuso, l'altro, il Mar Bianco,
gelato parecchi mesi dell'anno; Pietro I sottrasse dapprima Azov ai Turchi,
rivolgendo, quindi, le sue mire al Baltico. In principio, alle azioni militari
russe non arrise il successo: Pietro fu, infatti, sconfitto a Narva dagli
Svedesi (1700) e l'alleanza con la Polonia e la Danimarca presto si sciolse
(1701-02); successivamente, però, riuscì a riportare le vittorie
di Lesnaja (1708) e di Poltava (1709), che segnarono il trionfo russo e la fine
della potenza svedese. Nonostante fosse costretto, nel 1712, a restituire Azov
ai Turchi, la Pace di Nystad (1721), che pose fine alla cosiddetta “guerra
nordica”, fruttò a quello che nel 1721 sarebbe divenuto l'Impero
russo la Livonia, l'Estonia, l'Ingria e la Carelia: in questo contesto, che
preludeva a un più diretto intervento della
R. anche nelle vicende
dell'Europa occidentale, la fondazione di Pietroburgo (1703) e la sua
designazione a capitale dell'Impero (1712) assumevano un grande valore
simbolico. Quando Pietro il Grande morì (1722), si aprì un periodo
di incertezze: la successione sarebbe spettata a un nipote, ancora bambino,
figlio del defunto zarevic Alessio, ma una congiura di palazzo portò al
trono la seconda moglie di Pietro, Caterina. Alla morte di questa (1727), furono
eletti prima il legittimo successore Pietro II (1727-30), poi una nipote di
Pietro il Grande, Anna di Curlandia (1730-40), infine un pronipote di
quest'ultima, Ivan VI (1740-41). L'ennesimo colpo di Stato riportò sul
trono un membro del ramo principale dei Romanov: si trattava di Elisabetta,
figlia minore di Pietro il Grande (1741-61), della quale si ricordano alcuni
provvedimenti quali l'abolizione dei dazi interni, la fondazione della prima
università a Mosca (1755) e dell'Accademia di belle arti di Pietroburgo.
Succedette a Elisabetta, come ella aveva disposto, il nipote Pietro III che,
durante il suo breve Regno (gennaio-luglio 1762), secolarizzò le
proprietà della Chiesa, prima di essere detronizzato da un complotto
militare, in conseguenza del quale sua moglie Caterina divenne zarina col nome
di Caterina II (1762-96). L'elezione di Caterina II rilanciò sulla scena
politica europea la
R., che dalla morte di Pietro il Grande aveva
occupato un ruolo abbastanza marginale. Alcune acquisizioni territoriali erano
state, per verità, realizzate da Anna: la zarina, facendo propria l'idea
già di Pietro il Grande di fare della Polonia uno Stato vassallo, nel
1733 era intervenuta nella guerra di Successione polacca, al termine della quale
la
R. aveva ricevuto la tutela della Polonia, e, successivamente, dopo
una guerra condotta insieme all'Austria contro la Turchia (1736-39) aveva
ottenuto la costituzione di Azov a zona neutrale. Già sotto il Regno di
Elisabetta, però, la politica estera russa subì una serie di
scacchi: infatti, dopo che nel corso della guerra di Successione austriaca la
R., a seguito di uno scontro con la Svezia (1741-42), aveva acquistato un
distretto in Finlandia (Pace di Abo, 1743), la Pace di Aquisgrana (1748),
successiva all'intervento russo sul Reno e nei Paesi Bassi contro Federico di
Prussia, non aveva portato alla
R. alcun vantaggio. Né esito
migliore aveva avuto la guerra dei Sette anni, che aveva visto la
R.
alleata con l'Austria e con la Francia di nuovo contro la Prussia, dal momento
che proprio quando si stava delineando la vittoria, Elisabetta era morta e
Pietro III, ammiratore di Federico II, si era affrettato a concludere la pace
con la Prussia (1762). Fu Caterina II che seppe imprimere un'inversione di rotta
alla politica estera russa, dandole un più ampio respiro e presentandosi
così come la degna erede di Pietro il Grande. Sul fronte occidentale,
sottomise la Polonia e vi impose come re il suo favorito S. Poniatowski;
più tardi procedette, insieme ai regnanti di Prussia e Austria, alle tre
spartizioni della Polonia (1772, 1793, 1795), che fruttarono alla
R. la
Russia Bianca, la Podolia, la Lituania, la Curlandia e la Volinia. A Sud, in
virtù del Trattato di Küciük Qainarge (1774) che concludeva una
guerra contro la Turchia, acquistò all'Impero russo Azov, oltre ad alcuni
territori nel Kuban e nel Caucaso settentrionale, e ottenne il diritto alla
libera navigazione sul Mar Nero, nonché la protezione dei
cristiano-ortodossi nel territorio ottomano (clausola quest'ultima che
permetteva agli zar di insinuarsi negli affari interni dell'ormai logoro Impero
turco). All'interno dei confini nazionali, l'azione di Caterina II dovette fare
i conti con varie sommosse contadine che culminarono nel 1773 nella rivolta
guidata da Pugacev; all'insurrezione aderirono principalmente Cosacchi, servi
della gleba e operai, ma essa non mancò di suscitare le simpatie degli
intellettuali: dopo due anni di lotte, i ribelli vennero sconfitti a Tzaritzyn
(Volgograd) e Pugacev fu giustiziato (1774). Anche per far fronte a queste
situazioni, Caterina promulgò una riforma amministrativa improntata a una
forte centralizzazione e, nonostante sia stata da molti celebrata come
“sovrana illuminata”, ben si guardò dal modificare i rapporti
giuridici esistenti tra le diverse classi sociali; non va, tuttavia, dimenticato
che a lei si deve un notevole impulso alla ricerca scientifica e alla diffusione
della cultura in
R. A Caterina successe il figlio Paolo I (1796-1801),
che entrò nel 1799 nella seconda coalizione antifrancese, mandando un
esercito in Svizzera e in Italia settentrionale, ma riportandovi una disastrosa
sconfitta. Il suo tentativo di restringere i privilegi nobiliari e di
subordinare maggiormente l'aristocrazia alla Corona fu la causa della congiura
di cui fu vittima e che portò al potere il figlio Alessandro I. Costui,
con l'aiuto di un suo collaboratore, M. Speranskij, realizzò una
riorganizzazione dei ministeri, creò un Comitato dei ministri (1802) con
compiti di supervisione sull'apparato amministrativo e istituì un
Consiglio di Stato (1810) con poteri consultivi. In politica estera, Alessandro
I fu propugnatore di una nuova coalizione antifrancese, ma gli eserciti
congiunti di Austria e
R. subirono nel 1805 una grave sconfitta presso
Austerlitz, che vanificò la vittoria inglese di Trafalgar e che
portò alla Pace di Presburgo. Né fu più fortunata la
campagna militare del 1806, quando la
R., alleatasi con la Prussia,
andò incontro ai rovesci di Jena prima e di Friedland poi; con la Pace di
Tilsit (1806), Alessandro I concluse con Napoleone un'alleanza segreta
antiinglese, ma, dopo che una guerra contro la Svezia, alleata dell'Inghilterra,
aveva fruttato alla
R. la Finlandia, la questione polacca (Napoleone
voleva, infatti, la ricostituzione della Polonia) e le pressioni della
nobiltà russa, tradizionalmente ostile alla Francia, fecero infrangere
l'accordo tra i due imperatori. Napoleone concepì, allora, la campagna di
R., alla quale dette avvio nel maggio 1812, costringendo lo zar a
concludere una precipitosa pace con la Turchia, contro la quale nel 1809 aveva
ripreso la guerra. L'esercito francese avanzò fino a Mosca, ma la tattica
russa di ritirarsi evitando lo scontro e facendo terra bruciata dietro di
sé si rivelò, alla fine, vincente: il sopraggiungere dell'inverno
trasformò in una tragica ritirata quella che Napoleone riteneva sarebbe
stata una rapida guerra. In questo modo, il prestigio di Alessandro I
aumentò enormemente e, dopo la caduta di Napoleone, la
R.
poté conservare, per decisione del Congresso di Vienna (1815), Finlandia
e Bessarabia e ottenere la sovranità sul Regno di Polonia. Fu in quegli
anni che Alessandro si fece promotore della Santa Alleanza, che proponeva
l'attuazione dei principi cristiani nell'azione politica e alla quale aderirono
quasi tutti gli Stati europei con l'eccezione dell'Inghilterra: nei fatti, fu,
però, la Quadruplice Alleanza (Inghilterra, Austria, Prussia e
R.)
a governare l'Europa nell'età della Restaurazione. Ad Alessandro I
successe il fratello Nicola I (1825-55), dopo che l'altro fratello Costantino
aveva rinunciato al trono; in nome di quest'ultimo si verificò nel
dicembre 1825 il tentativo rivoluzionario passato poi alla storia come movimento
decabrista. In esso si coagularono diverse forze, dai militari desiderosi di
riportare la
R. agli antichi splendori, ai settori più aperti
della nobiltà e della borghesia, favorevoli alla Monarchia costituzionale
e alla riforma agraria. Nicola I attuò una spietata repressione,
stroncando la cospirazione, il cui ricordo divenne, però, un preciso
punto di riferimento mitico-simbolico per successivi movimenti rivoluzionari. Il
Governo di Nicola I fu improntato al più rigido assolutismo e
all'instaurazione di un clima di sospetto anche nei confronti della
nobiltà: ciò, tuttavia, non poté impedire la diffusione
delle nuove esigenze politiche e sociali e un intenso dibattito sulle istanze
liberali in cenacoli che avevano sembianze di circoli filosofico-letterari.
Questo dibattito vide contrapporsi slavofili e occidentalizzanti: entrambe le
correnti erano accomunate dall'idea di una missione per la
R., ma si
differenziavano in quanto i primi guardavano alla
R. medioevale come
modello alternativo a quello occidentale, verso il quale erano, invece,
orientati i secondi (pur teorizzando, specialmente con le personalità di
A. Herzen e M. Bakunin, la necessità di giungere a un'organizzazione di
tipo socialista). La politica estera di Nicola I si concentrò soprattutto
sulla questione orientale: dapprima attaccò la Persia (1826) e la
obbligò a cedere una parte dell'Armenia (1828), in seguito sconfisse i
Turchi in varie battaglie campali, costringendoli ad accordare l'indipendenza
alla Grecia e a cedere alla
R. le isole alla foce del Danubio e una parte
del litorale del Mar Nero (Pace di Adrianopoli, 1829).
L'espansione russa entro i monti Urali dal 1300 al 1825
Successivamente,
intervenendo nella guerra turco-egiziana, ottenne col Trattato di
Unskiar-Skelessi (1833) la chiusura dei Dardanelli alle flotte degli altri
Paesi: l'Inghilterra riuscì, però, nel 1841 ad annullare gli
effetti del trattato con la stipula della Convenzione degli stretti. Con i moti
del 1848 si aprì per la
R. un ampio spazio di manovra: procedette,
in accordo con la Prussia, all'ennesima spartizione della Polonia (1848), fece
fallire l'insurrezione ungherese (1849), ostacolò in modo decisivo la
riunificazione tedesca sotto la Prussia. Intanto si avvicinava il momento della
resa dei conti con l'Inghilterra, i cui interessi economici in Oriente
risultavano contrastanti con quelli russi: la guerra di Crimea scoppiò
nell'ottobre 1853 e si concluse con la sconfitta russa, sancita dal Trattato di
Parigi (marzo 1856), che fu firmato dal nuovo zar Alessandro II (1855-81) e che
prevedeva la fine del protettorato russo sui principati danubiani e sui
cristiani abitanti in Turchia, la smilitarizzazione del Mar Nero, la
libertà di navigazione sul Danubio. Alessandro II inaugurò una
stagione di maggiore apertura verso le potenze occidentali; in particolare, si
avvicinò alla Francia di Napoleone III, avviando una comune politica
antiturca. Contemporaneamente, il nuovo zar diresse le sue mire espansionistiche
verso l'Asia centrale, assoggettando nel decennio 1858-68 il Turkestan,
Ferghana, Buchara, la vallata del Syr-Darja, la regione dal Caspio al Pamir; in
Estremo Oriente, inoltre, ottenne dalla Cina alcune regioni sui fiumi Amur e
Ussuri e sulla costa del Pacifico (dove fu poi fondata Vladivostok). La vendita
agli Stati Uniti dell'Alaska fu compensata dall'acquisto dell'Isola di Sahalin,
che offriva il controllo della costa asiatica. Sul fronte interno, Alessandro II
cercò di disinnescare una situazione che minacciava di esplodere da un
momento all'altro con l'emanazione di una serie di decreti che avrebbero dovuto
abolire la servitù della gleba (1861); nei fatti, questi provvedimenti
risultarono, però, altamente penalizzanti per i contadini, che si
affrancarono tanto per la modesta quantità di terra che venne loro
fornita quanto per l'entità del riscatto che dovettero pagare,
cosicché una moltitudine di miserabili finì per popolare le
campagne. A ciò si aggiungevano le difficoltà della nobiltà
terriera che, gravata di debiti e ipoteche, non poteva procedere a una
modernizzazione produttiva, e l'assenza di un capitalismo autoctono (lo sviluppo
industriale che dagli anni Venti aveva caratterizzato la
R. era stato
realizzato dallo Stato e dal capitale straniero). Il fallimento della riforma
dall'alto di Alessandro II favorì l'affermazione di fermenti estremistici
che presero corpo in organizzazioni rivoluzionarie quali, ad esempio, Terra e
libertà, e che trovarono nel romanzo di N. Cernysevskij
Che fare?
un fondamentale riferimento ideologico-culturale. Lo zar dapprima tollerò
questa situazione; in seguito, specialmente dopo l'insurrezione polacca del 1863
e dopo un attentato compiuto contro di lui nel 1866, non esitò ad avviare
una politica di repressione, che comportò l'introduzione della censura e
l'arresto di migliaia di propagandisti. Nel 1875, la ribellione di Bosnia,
Erzegovina e Bulgaria al dominio turco e i successivi interventi di Serbia e
Montenegro in loro soccorso fornirono alla
R. l'occasione di riprendere i
vecchi e non mai abbandonati progetti sulla Turchia; dopo aver definito con
l'Austria le rispettive aree di influenza, la
R., dopo alterne vicende,
riportò una decisiva vittoria sui Turchi a Plevna, costringendoli a
firmare la Pace di Santo Stefano (1878); veniva in questo modo eliminato ogni
dominio turco in Europa e veniva costituito un grande Stato bulgaro, dipendente
dalla
R. Inghilterra e Austria obbligarono, però, a sottoporre la
sistemazione balcanica a un congresso delle potenze, che si tenne a Berlino nel
1878 e che impose lo smembramento della Bulgaria, nonché la cessione
della Bosnia e dell'Erzegovina all'Austria e di Cipro all'Inghilterra.
Alessandro II morì in un attentato nel 1881; il suo successore,
Alessandro III (1881-94), aprì un periodo di ancor più rigido
assolutismo, conducendo una feroce battaglia per estirpare qualsiasi residuo
nazionalistico presso le popolazioni assoggettate all'Impero russo
(particolarmente violenta fu, al riguardo, l'azione in Finlandia e nelle
province baltiche). A lui si deve, peraltro, un poderoso sviluppo dell'industria
e della ferrovia, soprattutto, a partire dal 1891, in direzione della Siberia;
ciò favorì l'espansione russa verso India ed Estremo Oriente
(espansione supportata dai capitali francesi), ma non modificò i tratti
fondamentali della società russa né elevò in misura
significativa il tenore di vita della popolazione. Il successore di Alessandro
II, Nicola II (1894-1917), continuò questa politica reazionaria, non
esitando a reprimere violentemente le ricorrenti agitazioni nelle campagne e gli
scioperi dei lavoratori dell'industria. Fu così che le correnti
rivoluzionarie si diffusero con estrema facilità tra i ceti popolari: nel
1898 fu fondato da G. Plechanov il Partito socialdemocratico (scissosi nel 1903
nei due tronconi bolscevico e menscevico, guidati rispettivamente da N. Lenin e
J. Martov), che seguiva i dettami del Marxismo ortodosso e che fece proseliti
presso il proletariato urbano; nel 1900, invece, dalla confluenza di populisti e
anarchici, nacque il Partito socialista rivoluzionario, che riprendeva il
progetto di un Socialismo agrario legato alle tradizioni russe e che riscosse
successo presso i contadini. Le tensioni politico-sociali si coagularono in un
vero e proprio movimento rivoluzionario in concomitanza con lo scoppio nel
febbraio 1904 della guerra russo-giapponese (V.
RUSSO-GIAPPONESE, GUERRA), poi conclusasi con la sconfitta russa e la
firma della Pace di Portsmouth (settembre 1905): il 9 gennaio (il 22, secondo il
calendario russo), migliaia di persone si diressero al palazzo d'Inverno,
chiedendo interventi atti ad alleviare il disagio sociale e una maggiore
libertà politica. L'esercito aprì il fuoco sulla folla, uccidendo
più di 100 dimostranti, e da quel momento un'ondata di agitazioni di
contadini e di operai e di ammutinamenti di soldati e marinai sconvolse il
Paese: dopo che, nell'estate, sul Mar Nero, si era ribellato l'equipaggio della
corazzata Potëmkin, a settembre uno sciopero a Pietroburgo portò
alla costituzione di un organismo rivoluzionario, il
Soviet. Lo zar si
impegnò, allora, a indire libere elezioni per la formazione di
un'assemblea rappresentativa dotata di poteri legislativi (la
Duma),
arrestando nel contempo i membri del Soviet di Pietroburgo e schiacciando nel
sangue lo sciopero generale proclamato a Mosca in dicembre (febbraio 1906). Le
elezioni per la Duma, svoltesi nell'aprile 1906 a suffragio universale, videro
la vittoria dei liberali e dei socialisti, ma l'assemblea fu sciolta dopo poche
settimane e medesima sorte toccò alla seconda Duma, eletta nel febbraio
1907; con l'approvazione di una legge elettorale chiaramente classista,
nell'estate fu, infine, possibile allo zar ottenere una Duma più docile e
liquidare gli strascichi rivoluzionari del 1905. L'artefice della repressione fu
P. Stolypin, primo ministro dal 1906 al 1911 (anno in cui morì vittima di
un attentato): a lui risale anche una riforma agraria che, attraverso la
dissoluzione delle strutture comunitarie (
mir), avrebbe dovuto portare
alla creazione di una piccola borghesia rurale che potesse attuare la
modernizzazione economica e garantire la stabilità politica della
R. Tale riforma ebbe l'effetto di aumentare il numero di contadini
relativamente ricchi (
kulaki), ma non impedì che gran parte dei
nuovi piccoli proprietari rimanessero in condizioni di miseria, cosicché
essi finirono, in ultima analisi, per abbandonare le campagne, andando a
ingrossare le fila del proletariato urbano. La politica estera russa di quegli
anni si concentrò prevalentemente sull'area dei Balcani, ove la
R.
ebbe modo di promuovere nel 1912 la Lega balcanica che sconfisse la Turchia.
Allo scoppio della prima guerra mondiale (1914) la
R. risultava inserita
nel sistema di alleanze dell'Intesa, cosicché finì per combattere
a fianco della Francia, dell'Inghilterra, del Giappone e dell'Italia con
l'obiettivo di realizzare gli antichi progetti di espansione verso gli Stretti e
Costantinopoli; a causa della disorganizzazione, le truppe zariste si trovarono,
però, subito in difficoltà sui fronti sui quali erano impegnate
(Galizia, Prussia Orientale, Asia Minore). Mentre l'esercito era costretto a
ripiegare lasciando in mano alle milizie austro-tedesche Galizia e Polonia, nel
febbraio 1917 (secondo il calendario giuliano allora vigente, marzo secondo
quello gregoriano) le tensioni interne legate principalmente alla
scarsità di viveri e all'alto costo della vita esplosero, dando avvio a
quel processo rivoluzionario (V. RIVOLUZIONE
RUSSA) che avrebbe condotto, in un primo tempo (marzo 1917), alla
creazione di un Governo provvisorio e all'abdicazione dello zar e,
successivamente, al colpo di Stato dei bolscevichi di Lenin dell'ottobre
(novembre) 1917. La Rivoluzione d'Ottobre, che determinò la nascita del
primo Stato socialista, portò la
R. a una pesante pace separata
(Brest-Litovsk, marzo 1918): tale pace imponeva al nuovo Governo russo la
rinuncia agli Stati baltici, alla Polonia e all'Ucraina: in questo modo, la
R. perdeva 1/4 del territorio dell'Impero zarista, 1/3 della popolazione
e 3/4 della produzione del carbone e dell'acciaio. La sconfitta delle forze
controrivoluzionarie in una guerra civile che si trascinò per due anni
sancì l'affermazione definitiva della Rivoluzione d'Ottobre; si trattava
a quel punto di avviare la ricostruzione e, a questo scopo, fu varata nel marzo
1921 la Nuova Politica Economica (NEP), che ripristinò in parte la
proprietà privata e la libertà di commercio. Nel contempo, sul
versante istituzionale, il 30 dicembre 1922 la
R. e le altre province
dell'ex Impero zarista in mano ai bolscevichi (Ucraina, Bielorussia,
Azerbaigian, Armenia e Georgia) diedero vita all'Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche (URSS); l'esercizio del potere era esercitato da un Soviet
Supremo, diviso in due Camere (Soviet dell'Unione e Soviet delle
nazionalità) ed eletto a suffragio universale. Da quel momento e fino al
1991, la storia della
R. coincide con quella dell'Unione Sovietica (V. URSS), all'interno
del quale essa mantenne,
comunque, un sostanziale predominio, pur vedendo ridotto il proprio territorio
con la costituzione di cinque nuove Repubbliche (Uzbekistan, Tagikistan,
Kazakistan, Turkmenistan, Kirghizistan). La crisi dell'Unione Sovietica
favorì, a partire dal 1990, lo sviluppo di tendenze indipendentiste, che
condussero prima all'elezione di un Parlamento russo (il Congresso dei deputati
del popolo, marzo 1990), quindi a una dichiarazione di sovranità nei
confronti dell'Unione Sovietica (giugno) e, infine, all'istituzione della carica
di presidente della Repubblica e all'elezione a essa di B. Eltsin (giugno 1991).
Con la dissoluzione dell'Unione Sovietica siglata durante la Conferenza di Alma
Ata (dicembre 1991), la
R. divenne a tutti gli effetti indipendente,
ereditando buona parte delle prerogative dell'Unione Sovietica, tra cui il
controllo dell'arsenale nucleare e il seggio nel Consiglio di sicurezza
dell'ONU; Eltsin, nel frattempo (novembre 1991), aveva ottenuto anche la carica
di primo ministro ed era stato dotato dal Congresso di poteri straordinari per
un anno. Nei suoi primi anni di vita la giovane democrazia russa fu attraversata
da profondi conflitti politici, sociali ed etnici, inaspriti da una gravissima
situazione economica. Il tracollo sociale e istituzionale fu evitato soprattutto
grazie al credito politico ed economico che i Paesi occidentali concessero alla
leadership russa. Lo sviluppo economico e politico del Paese fu molto lento e
continuamente ostacolato dalla lotta che le potentissime oligarchie
politico-finanziarie ingaggiarono per il controllo del vasto patrimonio pubblico
ereditato dall'Unione Sovietica. La dialettica tra potere esecutivo e
legislativo fu direttamente condizionata da questa corsa all'accaparramento
delle risorse e sfociò spesso in duri conflitti tra la Duma ed Eltsin. Il
presidente, infatti, avvalendosi di una Costituzione che gli garantiva ampie
prerogative istituzionali (compresa quella di sciogliere la Duma), fece del suo
enorme potere un uso spregiudicato per affermare la propria strategia e per
assicurare agli uomini del suo entourage i ruoli chiave dell'amministrazione.
Nel marzo 1998 Eltsin licenziò in tronco il primo ministro
Černomyrdin, per sostituirlo con Evgenij
Primakov, esponente dello schieramento comunista ed ex capo dei servizi
segreti, a sua volta sostituito dal potente e fidato Sergej Stepasin, già
capo del controspionaggio e ministro dell'Interno (maggio 1999). La rimozione di
Primakov provocò nel Paese un generale sconcerto: Primakov godeva infatti
di una diffusa popolarità nel Paese e del più ampio consenso alla
Duma dall'inizio dell'era post-comunista. Tra la fine del 1999 e gli inizi del
2000 una serie di tempeste politiche colpirono lo “zar Boris”:
scampato all'
impeachment, tenacemente sostenuto dal leader comunista
Ghennady Zyuganov e risoltasi in seguito con un voto contrario della Duma, fu
colpito da un'inchiesta giudiziaria che rivelò il ruolo avuto in alcuni
scandali finanziari di vaste proporzioni dai membri del suo clan. Eltsin depose
dopo soli tre mesi anche Stepasin, ritenendolo inadatto a vincere l'imminente
battaglia presidenziale e in agosto nominò primo ministro e suo candidato
ufficiale Vladimir Putin. Importante funzionario dei servizi di sicurezza, Putin
conquistò l'opinione pubblica presentandosi come l'uomo in
grado di traghettare il Paese fuori dalle secche della terribile crisi politica,
economica e sociale. Approfittando di una nuova e
più virulenta insorgenza del fondamentalismo islamico nella regione del Caucaso, Putin
sferrò in settembre un'imponente offensiva contro le truppe
del guerrigliero ceceno Shamil Basaev che, sconfinate nel Daghestan, vi avevano
proclamato uno Stato islamico indipendente. Putin estese in
seguito le operazioni alla Cecenia, violando l'accordo che nel maggio 1997 aveva
posto termine a una violentissima guerra durata più di due anni. Sulla
scia nazionalista sollevata dal conflitto ceceno, Putin ottenne una importante
vittoria del suo partito Russia Unita alle elezioni per il rinnovo della Duma
tenutesi a dicembre, ma soprattutto stravinse le elezioni presidenziali del
marzo 2000, convocate tempestivamente dopo aver assunto la presidenza
ad
interim nel gennaio 2000 (dopo le improvvise dimissioni di Eltsin nel 31
dicembre 1999). Putin si trovò a dover guidare un Paese profondamente cambiato dalla
rottura radicale con il passato e dalle riforme economiche introdotte
da Eltsin che avevano concentrato la ricchezza in poche mani e spinto quasi la
metà della popolazione nella povertà. La nuova oligarchia
investì peraltro nei mercati finanziari internazionali, più
redditizi e soprattutto al riparo del fisco, facendo mancare al Paese le risorse
necessarie allo sviluppo interno. Per arginare il fenomeno della fuga
dei capitali e per alimentare le casse dello Stato, Putin adottò nuovi
provvedimenti in materia fiscale che stabilirono un'unica tassa del 13%. Nell'aprile
2000 la
R. ratificò il trattato START-2 sulla riduzione delle armi
atomiche, concluso già nel 1993, ma poi congelato nelle legislature precedenti.
Sul fronte interno nel giugno 2000 la Duma approvò la riforma istituzionale
proposta da Putin per la riduzione del potere dei governatori delle Repubbliche. In
ambito internazionale, i rapporti tra
R. e Cina, che si erano già andati
normalizzando nel corso degli ultimi anni, migliorarono ulteriormente in seguito all'incontro
tra Putin e Jiang Zemin, avvenuto a Shangai il 14 giugno 2001, in occasione del vertice
annuale dei Paesi del "Gruppo dei Cinque di Shangai". In agosto la
R. fu sconvolta
dalla tragedia del sottomarino nucleare Kursk, inabissatosi nelle acque del Mare di Barents:
l'intero equipaggio perì e polemiche scoppiarono in relazione al ritardo dei soccorsi,
risultati totalmente inefficaci. Dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle
e al Pentagono, la
R. mostrò immediata solidarietà all'amministrazione
Bush e offrì il suo appoggio attivo alla guerra contro l'Afghanistan, in cambio di
un tacito consenso di Washington sulla questione cecena. Aprì il suo spazio aereo per
consentire l'invio di aiuti umanitari e di armi all'Alleanza del Nord, un tempo nemica della
R. e ora in lotta contro i Talebani, facendo inoltre pressioni sulle Repubbliche
dell'Asia centrale perché concedessero agli Americani l'uso delle loro basi e dello
spazio aereo. Nel maggio 2002 Putin e Bush sottoscrissero un importante accordo sulla
riduzione degli armamenti nucleari (l'intesa prevede una riduzione delle ogive nucleari
a un numero tra le 1.700 e le 2.200, circa un terzo degli attuali arsenali). Il 28 maggio
2002, nella base militare di Pratica di Mare (alle porte di Roma), i rappresentanti di
R. e NATO firmarono lo storico accordo che segnò l'ingresso ufficiale di
Mosca nell'Alleanza Atlantica. Intanto proseguiva con particolare asprezza il conflitto
nella regione della Cecenia. Nel mese di ottobre un gruppo di terroristi ceceni
assaltò un teatro moscovita prendendo in ostaggio oltre 800 persone e minacciandole
di morte in caso di mancata fine immediata delle ostilità in Cecenia. La drammatica
vicenda si concluse con l'incursione nel teatro delle teste di cuoio russe:
vennero uccisi quasi tutti i terroristi e circa 120 ostaggi, la maggior parte dei
quali morirono per le esalazioni letali di gas utilizzati dai Russi nell'operazione.
Gli attentati di stampo ceceno continuarono nei mesi successivi; si ricordano quello
compiuto nel dicembre 2002 al quartier generale del Governo ceceno filo-moscovita
a Grozny; quello del maggio 2003 a un edificio governativo nel Nord della Cecenia,
dove morirono oltre 50 persone; quello del luglio 2003 durante un grande concerto
rock alle porte di Mosca, costato la vita a oltre 15 persone; l'attacco suicida
dell'agosto 2003 a un ospedale militare nei pressi del confine ceceno in cui
rimasero uccise oltre 50 persone. Nel marzo 2003 i Ceceni vennero chiamati a votare un
referendum per l'approvazione di una nuova Costituzione nella quale fosse specificata
l'appartenenza della Repubblica cecena alla Federazione russa. L'esito favorevole del
referendum venne contestato e criticato fortemente da molte parti, soprattutto dalle
associazioni umanitarie internazionali che ne misero in dubbio la validità e l'efficacia.
La ratifica del trattato di riduzione delle armi strategiche con gli Stati Uniti avvicinò
ancora di più Mosca a Washington; sempre in ambito di politica estera, fu di una certa
rilevanza la firma di un trattato di amicizia con la Romania (luglio 2003). La
politica sempre più accentratrice di Putin, capace di controllare i mezzi di informazione e
di paralizzare l'opposizione, portò alla schiacciante vittoria del suo partito Russia
Unita nelle elezioni parlamentari tenutesi il 7 dicembre, durante le quali venne
inflitta una pesante sconfitta a comunisti e liberali. Le elezioni, svoltesi in un
clima di estrema tensione, furono precedute e seguite da due attentati attribuiti agli
indipendentisti ceceni che, di fronte al rifiuto del Cremlino di aprire un
negoziato con il loro leader Maskhadov, esportarono la guerriglia fuori dalla
Cecenia: il 5 dicembre fecero esplodere una bomba su un treno nella
R.
meridionale, che provocò 46 morti e oltre 100 feriti; due giorni dopo il voto, il
9 dicembre, due kamikaze si fecero saltare in aria nel centro di Mosca, nei pressi
della Duma, causando sei morti. Nel febbraio 2004 un altro attentato di matrice
cecena, nella metropolitana moscovita, sconvolse la capitale provocando oltre 40 morti.
Nello stesso mese Putin sospese il Governo in carica, guidato da Mikhail Kasyanov, uno
degli ultimi sopravvissuti dell'era Elstin. Al suo posto venne nominato
Mikhail Frankov, di scuola liberale, ex inviato russo all'Unione europea. Il 14 marzo
si tennero le elezioni presidenziali, vinte con ampio margine (71,2%) da Putin
e caratterizzate dalle polemiche relative alla poca visibilità concessa in campagna
elettorale agli altri candidati. A pochi mesi dalle consultazioni, si ripresentò
in
R. l'incubo degli attentati. Il 25 agosto nel Sud del Paese si verificò un
duplice disastro aereo (che provocò la morte di almeno 89 persone), di cui si sospettò
la matrice terroristica. Il 1° settembre una scuola di Beslan, nella Repubblica russa
dell'Ossezia del Nord, venne sequestrata da un commando di terroristi prevalentemente
ceceni, che tennero in ostaggio 1.200 persone, soprattutto bambini, per due giorni.
Il drammatico sequestro si concluse, dopo l'intervento delle forze speciali russe,
con il massacro di quasi 400 persone, a cui si aggiunsero centinaia di feriti
e di dispersi. Il 2005 si aprì in
R. con un ambizioso progetto governativo
di ristrutturazione del sistema assistenziale esistente, ma tale intervento di politica
economica fu duramente contestato da pensionati e lavoratori, a tal punto che in febbraio
milioni di cittadini manifestarono a San Pietroburgo e in altre città russe, determinando
il ritiro della riforma del welfare entrata in vigore solo poche settimane prima. La questione
cecena tenne ancora banco per tutto il 2005 e il 2006: due apparenti successi per i Cremlino
furono l'uccisione del leader separatista Aslan Maskhadov (marzo 2005) e del ricercatissimo
Shamil Basayev (luglio 2006). Il 7 ottobre, invece, fu assassinata nella sua casa di Mosca
la giornalista Anna Politkovskaya, autorevole voce critica nei confronti dell'amministrazione
Putin, nonché firma conosciuta nel mondo per suoi i reportage sugli orrori della guerra in
Cecenia e gli abusi ivi compiuti dalle truppe federali russe. Il mese seguente fu avvelenato
a Londra, dove viveva in esilio per contrasti con il Cremlino, Aleksandr Litvinenko,
ex spia del KGB e poi colonnello dei nuovi servizi segreti russi FSB: Litvinenko, ucciso da una sostanza
radioattiva (probabilmente polonio-210), stava indagando sulla morte di Anna Politkovskaya.
Nel corso del 2007 le divergenze in materia di politica estera tra
R. e Stati Uniti si
andarono acuendo. In seguito all'intenzione del presidente americano Bush di installare lo scudo
antimissilistico in Europa Centro-Orientale(Repubblica Ceca e Polonia), nel luglio del 2007
il presidente Putin decise di sospendere il trattato per la riduzione delle forze convenzionali
in Europa e fece esplicita minaccia di puntare nuovamente i missili a medio raggio sulle
città europee, rilanciando così la sfida sugli armamenti e dimostrando di voler continuare
sulla linea politica e diplomatica offensiva intrapresa durante la Conferenza internanzionale
sulla sicurezza tenutasi a Monaco nel marzo 2007, durante la quale aveva lanciato pesanti
accuse contro Washington e la NATO. Nell'ottobre 2007 il presidente Putin giunse a Teheran
per la prima visita del capo del Cremlino in Iran dal 1943. Al centro dei colloqui con le autorità
locali il programma nucleare iraniano, i cui macchinari sono forniti proprio da Mosca. A Teheran Putin
partecipò anche ai lavori del secondo vertice tra gli Stati che si affacciano sul mar Caspio (oltre a
Iran e
R., Kazakistan, Azerbaigian e Turkmenistan) per un accordo per la definizione dei confini
sul lago e quindi per la ripartizione dei giacimenti di petrolio e gas. Le elezioni presidenziali di marzo 2008 vennero
vinte dal delfino di Putin Dmitrij Medvedev con il 70,22% dei voti. Secondo, in questa corsa elettorale al
Cremlino, arrivò il candidato comunista Ghennadi Ziuganov, con il 17,77%
dei voti, poi l’ultranazionalista Vladimir Zhirinovski con il 9,27% e, infine, Andrei Bogdanov, con l’1,29%. Dmitrij
Medvedev, 42enne già volto noto della Gazprom (il colosso russo del gas), divenne, dopo Boris Eltsin e Vladimir Putin,
il terzo presidente dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Dopo diversi giorni di pesanti scontri tra esercito georgiano e milizie ossete, nella notte fra il 7 e l'8 agosto 2008, la Georgia attaccò e invase la provincia separatista filo-russa dell'Ossezia del Sud, provocando gravi distruzioni a Tskhinvali, il capoluogo della regione. La Federazione Russa, che già dal 1992 aveva una presenza militare in Ossezia del Sud ed Abcasia come forza d'interposizione su mandato internazionale, interveniva massicciamente sbaragliando i georgiani e arrivando ad occuparne una larghissima parte del territorio, sino a poche decine di chilometri da Tiblisi. Il 15 agosto una missione diplomatica guidata dal ministro degli esteri francese Bernard Kouchner e dal suo collega finlandese
Alexander Stubb, portava Putin e il presidente georgiano alla firma di un accordo preliminare sul cessate il fuoco che impegnava la
R al ritiro dal territorio georgiano e la Georgia alla rinuncia all'uso della forza contro le due repubbliche secessioniste. Tuttavia, dopo un iniziale arretramento dalle posizioni più avanzate, come la città di Gori, la
R si attestava su una nuova linea, in una zona cuscinetto ai confini delle due regioni comprendente al suo interno anche il porto di Poti sul Mar Nero. Il 26 agosto il presidente Medvedev riconosceva l'indipendenza di Ossezia del Sud e Abcasia, sottoscrivendo successivamente accordi militari con le due repubbliche separatiste. L'Unione Europea e gli Stati Uniti condannavano fortemente il riconoscimento russo. L'8 settembre 2008 una delegazione europea, guidata dal presidente francese nonché presidente di turno dell'Ue, Nikolas Sarkozy raggiunse con Medvedev un accordo sul ritiro delle truppe russe dal Caucaso: il Cremlino si impegnava allo smantellamento dei punti di controllo intorno al porto di Poti e alla città di Senaki e all'abbandono delle truppe dalla
G., ad eccezione di Ossezia del sud e Abkhazia. Le manovre di ritiro dalle regioni sarebbero state controllate da una missione europea attraverso l'uso di duecento uomini, che avrebbero sostituito le forze russe nelle cosiddette zone di interposizione. Venne inoltre sancito la missione di osservazione in Caucaso sarebbe stata affiancata da 200 osservatori dell'Ue.
LINGUA
Gli idiomi degli Slavi orientali sono
raggruppati in una particolare categoria linguistica denominata, per distinzione
dallo slavo occidentale e da quello meridionale,
slavo nord-orientale o,
più semplicemente,
russo. A sua volta, questa lingua, a causa
della divisione in tre grandi ceppi subita dalla popolazione degli Slavi
nord-orientali, venne anch'essa a suddividersi in tre differenti parlate: il
russo in senso stretto, detto anche
grande russo; il
bianco-russo o
bielorusso; e l'
ucraino, detto anche
piccolo russo. Queste ultime due parlate hanno probabilmente avuto
un'origine dialettale e solo in seguito si sono precisate come lingue vere e
proprie. Il russo è differente rispetto alle altre lingue slave,
soprattutto in virtù della maggiore “pienezza” del suono,
dovuta all'aggiunta di vocali alle parole slave (ad esempio, la parola slava
borda, barba, nella lingua russa diventa
borodà). Il russo
risulta molto organico nella sua struttura lessicale, variando pochissimo da una
zona all'altra, nonostante l'immensità del Paese. ║ La lingua russa
cominciò ad affermarsi in campo letterario solo verso la metà del
XV sec., in coincidenza con lo spostamento dell'asse culturale da Kiev a Mosca,
come frutto di diverse confluenze linguistiche; è solo, però,
durante il XVIII sec. che, per opera di valenti grammatici e scrittori, il russo
letterario si liberò definitivamente delle influenze del paleoslavo
ecclesiastico, fino a imporsi, a partire dai primi decenni del XIX sec., come
una delle lingue europee più complete e modulate.
LETTERATURA
La letteratura russa degli albori
utilizzò la lingua successivamente denominata
slavo-ecclesiastico
o
paleoslavo, tramite la quale fu avviata nel IX sec., per volontà
dell'imperatore romano d'Oriente, l'evangelizzazione dei Russi (di tale lingua
il più antico manoscritto pervenutoci è costituito
dall'
Evangeliario di Ostromir del 1050 circa). Con la conversione di
Vladimiro I (988), lo slavo ecclesiastico divenne oggetto di studio in apposite
scuole, finalizzate alla creazione di un ceto istruito: all'interno di questo
ceto, nell'XI sec., emersero traduttori di rilievo, che permisero principalmente
la fruibilità di testi della patristica greca e della liturgia bizantina,
ma che non disdegnarono di cimentarsi con opere agiografiche, cronachistiche ed
enciclopediche. Il primo documento autonomo della letteratura russa risale al
1050 circa ed è costituito dal
Sermone sulla Legge e sulla Grazia,
attribuito al metropolita di Kiev Ilarione, ma il tentativo di creare una
letteratura propria, tentativo che simboleggiava la volontà di affermare
una sorta di autonomia politico-culturale da Bisanzio, si concretizzò
solo nel XII sec. con la stesura di cronache, resoconti di viaggi e scritti a
sfondo religioso; tale produzione letteraria raggiunse il suo momento più
elevato nel
Canto della schiera di Igor, poema che racconta la campagna
condotta nel 1185 da Igor Svjatoslavič, principe di Novgorod-Severskij,
contro i Cumani e che per le raffinatezze stilistiche ha spinto alcuni critici a
ipotizzare che si tratti di un testo del XVIII sec. Nel XIII sec., la
letteratura russa risentì pesantemente dell'avvento della dominazione
tatara: infatti, in
R. quell'evento fu interpretato come un castigo
divino, cosicché sentimenti di espiazione finirono per pervadere i generi
allora prevalenti, ovvero le vite di martiri della fede e le storie delle
vicende belliche (
Canto sulla rovina della terra russa o Racconto
sulla distruzione di Rjazan' da parte di Baty). Col XIV sec., però,
il dominio tataro subì un allentamento e, contemporaneamente alla
crescita economico-politica del principato di Mosca, influenze serbe e bulgare
penetrarono in
R.; la vittoria di Kulikovo sui Tatari diede materiale per
opere glorificatorie, quali, ad esempio,
L'epopea d'oltre Don, di cui
sarebbe autore Sofonija, un religioso di Rjazan'. La costituzione della
R. a Stato unitario (fine XV sec.) segnò l'avvio di una fase
letteraria radicalmente nuova, non più ancorata alle tradizioni
agiografiche e cronachistiche. Particolarmente vivace risultò il
dibattito all'interno del monachesimo sul diritto dei monasteri di possedere
beni materiali, dibattito che coinvolse, tra gli altri, N. Sorskij (che era
contrario) e I. Volockij (che era, invece, favorevole). Dall'estero giunsero
personalità di rilievo, quali il monaco del Monte Athos M. Grek (Massimo
il Greco), che scrisse un fortunato racconto sulla morte di G. Savonarola e che,
soprattutto, fece da tramite con la cultura occidentale, e il lituano I.S.
Peresvetov, che diede dignità letteraria al genere burocratico della
čelobitnaja (lettera di omaggio). Il XVI sec. fu, invece, il periodo
di unificazione culturale del Paese: anche e soprattutto la letteratura
finì così per svolgere questa funzione attraverso l'elaborazione
di testi che fissavano regole di comportamento per la vita familiare (
Governo
della casa) e religiosa (
Cento capitoli) o che intendevano formare
una memoria collettiva (
Raccolta illustrata di opere,
Libro dei gradi
della genealogia degli zar,
Grandi letture mensili). La crisi interna
dello Stato russo (la cosiddetta
epoca dei torbidi), iniziata con la
morte di Ivan il Terribile (1584) e conclusasi con l'ascesa al trono dei Romanov
(1613), fu il tema centrale della produzione letteraria del primo trentennio del
XVII sec. (si veda, ad esempio, il
Cronografo, 1617, che costituisce
anche un primo passo in direzione di una secolarizzazione della storiografia
russa). A partire dagli anni Trenta, con la trasformazione del Collegio
mogiliano di Kiev in Accademia (1631), la Moscovia assunse un ruolo di primo
piano nel panorama culturale russo: con la diffusione della poesia metrica
ucraina e l'introduzione del dramma scolastico, prese, infatti, avvio il Barocco
russo, che si fece portatore di quei valori che nei Paesi occidentali erano
stati veicolati da Umanesimo e Rinascimento. In quegli anni visse, il bielorusso
S. Polockij, che può essere considerato il primo poeta della Moscovia;
l'autore di maggior rilievo del secolo resta, però, l'arciprete Avvakum,
fiero oppositore delle riforme liturgiche introdotte dal patriarca Nikon e per
questo perseguitato e arso sul rogo: Avvakum, infatti, riuscì a fondere
nelle sue opere una vigorosa forza espressiva con un'eccezionale
originalità di linguaggio. Sempre al Seicento risale la prima
rappresentazione di un dramma in Moscovia (
Azione di Artaserse, 1672),
nonché la trascrizione della ricca tradizione folcloristica trasmessa
dagli attori girovaghi e dai menestrelli e composta di canzoni a sfondo mitico
(le
byliny), che narravano di personaggi ed eventi di epoche lontane, e
di canzoni storiche, che tendevano, invece, a concentrarsi su personaggi
contemporanei. Col XVIII sec. e l'avvento al potere di Pietro il Grande, la
letteratura russa si avvicinò ai modelli occidentali grazie anche
all'introduzione dell'alfabeto civile (1710), che tracciava una netta
demarcazione tra russo e slavo ecclesiastico; a quest'opera di rinnovamento
contribuirono le opere di F. Prokopovič, autore di un abecedario per i
bambini, di A.D. Kantemir, poeta satirico e valente traduttore dal francese, di
M.V. Lomonosov, elaboratore di una nuova metrica, e di molti altri (ad esempio,
A.R. Sumarokov, M.M. Cheraskov, V.V. Kapnist, V.J. Majkov). Non mancarono,
peraltro, voci di dissenso nei confronti dell'occidentalizzazione imposta da
Pietro: in questo senso, va letta l'opera del principe M.M. Šcerbatov
Viaggio nella terra di Ofir del sig. S.,
nobile svedese (1783-84),
in cui, attraverso la descrizione di uno Stato ideale, viene criticata la
situazione russa. Nella seconda metà del secolo, sotto Caterina II, la
cultura ricevette un notevole impulso: infatti, in quegli anni uscirono diverse
riviste letterarie (“Utile divertimento”, 1762, “Ore
libere”, 1763), e satiriche (“Di tutto un po'”, 1769,
“Il fuco”, 1770, “Il chiacchierone”, 1770, “Il
Pittore”, 1772), fu fondato il primo teatro stabile russo, il Rossijskij
(1756), furono tradotti molti testi stranieri. Comparvero, inoltre, i primi
romanzi d'amore e d'avventura, quali
La fortuna incostante o le avventure di
Miramondo (1763) di A. Emin o
La cuoca avvenente o l'avventura di una
donna dissoluta (1770) di M.D. Čulkov, mentre in poesia si impose G.R.
Deržavin. Alla fine del secolo, lo scoppio della Rivoluzione francese e la
diffusione dei suoi ideali ispirarono parecchie opere, tra le quali merita una
segnalazione il
Viaggio da Pietroburgo a Mosca (1790) di A.N.
Radišĕv che, per i suoi contenuti giudicati pericolosi, costò
tra l'altro all'autore l'esilio in Siberia. Sempre in quegli anni, nacque
un'accesa polemica in relazione alla lingua da utilizzare per la nuova epoca e
per i nuovi generi letterari tra chi, come A.S. Šiškov, sosteneva la
coincidenza tra russo e slavo ecclesiastico e chi, come N.M. Karamzin,
proclamava, invece, la necessità di abbandonare del tutto l'uso di parole
slave. Fu proprio Karamzin ad affermarsi come la figura di maggior rilievo di
quel filone, sorto a cavallo tra i due secoli, che va sotto il nome di
Sentimentalismo: si ricordano di questo autore, oltre che la fondazione di
alcune riviste (“Messaggero moscovita”, “Messaggero
d'Europa”), opere quali
La povera Liza (1792) e
Storia dello
Stato russo (1816-29). Altro autore significativo fu il favolista I.A.
Krylov. Durante la prima metà del XIX sec. anche la
R. fu dominata
dal Romanticismo: all'interno di attivi circoli letterari, emersero le figure di
V.A. Žukovskij, P.A. Vjazemskij, K.N. Batjuškov. Fu, però, A.S.
Puškin a imprimere una svolta nella letteratura russa, dovendosi alla sua
opera ricondurre, da un lato, la creazione di una lingua letteraria russa,
dall'altro alcune importanti innovazioni nei generi all'epoca in uso: con
R.
e L. (1820), Puškin fuse il poema fantastico con elementi del folclore,
con
Eugenij Onegin (1825-33) inaugurò il genere del poema in
versi, con
La donna di picche (1833) e
La figlia del capitano
(1836) eresse delle vere e proprie pietre miliari della narrativa russa. Di
Puškin furono amici alcuni decabristi, come il poeta V.K. Kjuchel'beker e
A.S. Griboedov, autore di una fortunatissima commedia dal titolo
Che
disgrazia l'ingegno (1824). Negli anni Trenta e Quaranta, anche se non
mancarono poeti di valore come A.V. Kol'cov o F.I. Tiutčev, avvenne un
progressivo passaggio alla prosa, senza che, peraltro, ciò comportasse il
recupero dei vecchi modelli: si delinearono, anzi, nuovi generi grazie a V.F.
Odoevskij, che con
Notti russe (1844) introdusse la novella filosofica, e
a M.J. Lermontov, che con
Un eroe del nostro tempo (1839-40) scrisse il
primo romanzo psicologico russo. Figura assai controversa ma certo importante fu
N.V. Gogol', i cui racconti (
Veglie alla fattoria di Dicanca, 1831-32;
Taras Bulba, 1835;
Il naso, 1836;
Il cappotto, 1843),
descrivono gli ambienti della piccola borghesia moscovita, fondendo insieme
elementi realistici, fantastici e grotteschi. Nel 1836, la pubblicazione sulla
rivista “Teleskop” della versione russa della prima delle
Lettere
sulla filosofia della storia di P.J. Čaadaev, in cui l'autore sosteneva
che l'arretratezza russa dipendeva dal legame con Bisanzio e con la religione
ortodossa, suscitò violente reazioni, che portarono alla chiusura della
rivista e alla dichiarazione di pazzia di Čaadaev; su queste questioni si
sviluppò un intenso dibattito, nel corso del quale si delinearono le
correnti degli occidentalisti (T.N. Granovskij, A.I. Herzen e V.G. Belinskij) e
degli slavofili (A.S. Chomjakov, S.T. Aksatov e i fratelli I.V. e P.V.
Kirevskij). In generale, furono quelli anni di grande fervore intellettuale, in
cui le classi colte sentirono su di sé una responsabilità civile,
che si espresse nella fondazione di nuove riviste. Con la seconda metà
del secolo, fiorì nuovamente il teatro, grazie soprattutto ai drammi
storici di A.K. Tolstoj, alla satira di A.V. Suchovo-Kobylin, alla commedia
psicologica di I.S. Turgenev e alla commedia realista di A.N. Ostrovskij;
istanze di giustizia sociale vennero, invece, portate avanti da N.A.
Drobroljubov, D.I. Pisarev e N.G. Černyševskij, autore del celebre
Che fare? (1863). Fu, però, il romanzo realistico a caratterizzare
la letteratura russa di quel periodo. Turgenev seppe esprimere le inquietudini
del suo tempo creando personaggi per molti versi emblematici (
Memorie di un
cacciatore, 1852;
Padri e figli, 1862;
Acque di primavera,
1872); l'impiego di una satira violenta pervade gli scritti di M.E. Saltykov
(
Storia di una città, 1869-70;
I signori Golovlëv,
1875-80). Romanzo di assoluto rilievo è
Oblomov (1859) di I.A.
Gončarov, nel quale viene descritto un tipo d'uomo incapace di adattarsi al
modello di vita frenetica: dal nome del protagonista è stato
successivamente coniato il termine
oblomovismo per indicare l'inerzia di
un ceto parassitario in inarrestabile decadenza. Autore straordinario fu F.M.
Dostoevskij: la sua opera, attraverso un ampio uso del monologo interiore,
è un incessante interrogarsi sulle grandi problematiche esistenziali,
come bene possono evidenziare i suoi capolavori
Delitto e castigo (1866)
e
I fratelli Karamazov (1878-80). La ricerca del senso della vita
animò anche l'opera di L. Tolstoj, i cui romanzi
I Cosacchi
(1863),
Guerra e pace (1865-69) e
Anna Karenina (1875-77)
trasudano una forte tensione etica; in questo senso, non deve stupire
l'evoluzione di Tolstoj, che nell'ultimo periodo della sua vita finì per
divenire un acceso critico delle istituzioni e un pensatore religioso. Con
questi autori si concluse la stagione del romanzo realista e si aprì
quella dei romanzi brevi, con l'affermazione di V.M. Garsin, di V.G. Korolenko
e, soprattutto, di A.P. Cechov; le opere cechoviane, che contribuirono a
rinnovare l'arte teatrale, si caratterizzano per l'attenzione per l'uomo comune
e per la sua vita quotidiana e rivelano l'idea di un'estraneità e
un'incomunicabilità di fondo tra gli uomini. Di un certo interesse
risultano anche gli esordi di M. Gor'kij che, improntati a un rifiuto delle
regole della società, molto successo ebbero nei circoli letterari
più vicini alle posizioni anarchiche. Il XX sec. si aprì in
R. con la guerra russo-giapponese e con la Rivoluzione del 1905: visioni
apocalittiche finirono, in questo modo, per dominare il panorama culturale
dell'epoca, spingendo gli intellettuali verso posizioni misticheggianti. In
questo contesto, si affermò il Simbolismo, affine almeno nel primo
decennio, per spirito e tematiche, al Decadentismo europeo: in questo contesto,
emersero poeti come F. Sologub, il cui romanzo
Il demone meschino (1905)
costituisce uno dei momenti più alti della letteratura simbolista, e si
pubblicarono riviste come “La bilancia” (1904-09), che svolse la
funzione di centro di dibattito e di diffusione della nuova poetica. Gli autori
più giovani (V.I. Ivanov, A.A. Blok, A. Belyi) finirono presto per
considerare il Simbolismo più come una palestra filosofico-religiosa che
come una scuola letteraria, cosicché presso costoro la poesia divenne
mezzo per attingere all'ineffabile. A partire dal 1910, il Simbolismo
entrò in crisi: in tal senso agì lo svilupparsi dell'Acmeismo, che
si fece propugnatore delle esigenze della chiarezza e della razionalità e
che trovò in V.F. Chodasevič, N.S. Gumilëv, A.A. Achmatova e E.
Mandel'štam i maggiori rappresentanti. Più o meno negli stessi anni
fecero il loro ingresso sulla scena letteraria i futuristi che, soprattutto
nell'opera di V.V. Chlebnikov e V.V. Majakovskij diedero un notevole contributo
al rinnovamento della poesia russa. La Rivoluzione d'Ottobre scompaginò
il quadro culturale russo: a favore della rivoluzione si schierarono, oltre ai
futuristi, poeti come A.K. Gastev (
Poesia dello slancio proletario,
1918), V.T. Kirillov (
Il messia di ferro, 1918), S.A. Esenin (
Altra
terra, 1918). La fine della guerra civile e l'inizio della Nuova Politica
Economica favorirono la rinascita della prosa: si formò il gruppo dei
Fratelli di Serapione, che riunì autori come V.V. Ivanov, V.A. Kaverin,
l'umorista M.M. Zoščenko, il poeta N.S. Tichonov e che difese un'idea
di arte non schierata politicamente; iniziò le pubblicazioni la rivista
“Novale rossa”, cui collaborarono tra gli altri I.E. Babel'
(
L'armata a cavallo, 1926;
Racconti di Odessa, 1931) e B.A.
Pil'njak (
L'anno nudo, 1921); comparvero le poesie di N.N. Aseev, E.G.
Bagrickij, I.L. Sel'vinskij, N.A. Kljuev e S.A. Klyčkov; M.A. Bulgakov
scrisse
La guardia rossa (1925), che narra la guerra civile vista dalla
parte delle forze controrivoluzionarie; Ju.K. Oleša diede alle stampe
Invidia (1927), che analizza lo stato d'animo di un intellettuale
lacerato da sentimenti contrastanti per la rivoluzione; tollerata dalla censura
e molto apprezzata dal pubblico, si affermò la satira di I. Ill'f e di
E.P. Petrov, che composero a quattro mani
Le dodici sedie (1928) e
Il
vitello d'oro (1931); il teatro si avvalse del lavoro di grandi registi come
K.S. Stanislavskij, V.E. Mejerrchol'd e E.B. Vachtangov. Gli anni Trenta si
aprirono col suicidio di Majakovskij (1931) e inaugurarono una stagione di
rigida censura, nel corso della quale molti scrittori, tra cui I.A. Bunin
(premio Nobel nel 1933), N.N. Berberova e V.V. Nabokov emigrarono all'estero,
soprattutto in Francia e negli Stati Uniti d'America, mentre molti di quelli che
scelsero di rimanere in patria, come M. Bulgakov, furono ostacolati in tutti i
modi; a quell'epoca risalgono le opere di Platonov e i primi lavori di B.
Pasternak. Le speranze del secondo dopoguerra per una maggiore libertà di
espressione del pensiero vennero frustrate dalla ripresa di una politica
repressiva nei confronti della cultura, come testimonia il duro attacco subito
dalla rivista “La stella” per aver pubblicato scritti di autori
sgraditi; solo alla morte di Stalin (1953) si ebbe un periodo di relativa
liberalizzazione (successivamente denominato, prendendo a prestito il titolo di
un romanzo di Erenburg,
disgelo): vennero riabilitati scrittori in
precedenza condannati, furono ristampate opere prima proibite, si affermarono
giovani poeti come E.M. Vinokurov, E.A. Evtušenko, V.A. Sosnora, si
ritagliarono un nuovo spazio poeti già noti come Aseev, A.A. Prokofiev,
B.A. Sluckij, si diffuse la popolarità dei fratelli A.N. e B.N.
Strugackij e dei loro romanzi di fantascienza. Un primo irrigidimento si
manifestò col divieto di pubblicazione de
Il dottor Zivago di
Pasternak, che apparve in Italia e valse all'autore il premio Nobel nel 1958;
contemporaneamente, però, uscirono
Una giornata di Ivan
Denišovic (1962) di A.J. Solzenitzyn, la prima opera russa ambientata
in un
gulag, e (postumi)
Romanzo teatrale (1965) e
Il maestro e
Margherita (1967) di M. Bulgakov. Fu, infine, con l'arresto di Ju.M. Daniel
e di A.D. Sinjavskij (1966) che il processo di liberalizzazione si
arrestò: da quel momento, si ebbe una nuova ondata di emigrazioni e di
espulsioni e crebbe il distacco tra letteratura ufficiale, in genere concentrata
sulle vicende contadine, e il circuito della
samizdat (autoedizione), ove
comparvero gli scritti proibiti. Tale distacco si ricompose solo negli anni
Ottanta, con le riforme di M. Gorbaciov, a seguito delle quali apparvero opere
di autori messi all'indice e mai pubblicati e fecero ritorno in
R. gli
scrittori emigrati. A questa iniziativa di recupero della letteratura del
dissenso non si associò, però, la cosiddetta “altra
letteratura”, rappresentata da E.A. Popov, V.G. Popov, V.A. P'ecuch, E.
Limonov, i quali, convinti dell'avvenuto trionfo del male nel mondo e
dell'inutilità di qualsiasi ideale, introdussero nella letteratura temi
tabù come erotismo, omosessualità e perfino antropofagia. L'uso
del grottesco e presupposti antropologici meno radicali caratterizzano, invece,
i lavori di T.N. Tolstaja e L.S. Petruševskaja, che pure si avvicinano
molto ai canoni stilistici propugnati dall'altra letteratura.
ARTE
Le prime testimonianze artistiche risalgono al
Paleolitico superiore (statuette di Venere del villaggio di Kostenski sul Don,
incisioni in osso con figurazioni di animali dalla dimora di Malta presso
Irkutsk); del Neolitico sono, invece, i numerosi ritrovamenti di ceramica
(regione del Dnepr) e di figure umane e animali in pietra (Siberia orientale,
Urali). Fra il II e il I millennio a.C. si stanziarono nel Caucaso popolazioni
nomadi che subirono prima gli influssi delle civiltà asiatiche e,
più avanti, verso il VI sec. a.C., quelli del mondo greco, che
determinarono lo sviluppo artistico e culturale della zona. Per l'arte russa fu,
però, decisivo l'apporto degli Slavi orientali, che nel I millennio d.C.
si insediarono nel territorio che va dal Mar Baltico fino al Danubio e al Dnepr;
della loro produzione artistica sono conservati oggetti di ceramica e bronzo,
idoli di pietra e terracotta, nonché resti di santuari e templi. Con la
cristianizzazione, cominciò la penetrazione nel principato di Kiev
dell'influenza bizantina, che condusse all'erezione di chiese decorate con
mosaici e affreschi e di case e palazzi in legno. La prima chiesa in pietra di
cui si ha notizia fu la Desjatinnaja a Kiev (989-996); all'XI sec. risalgono la
cattedrale della Trasfigurazione (1017) a Černigov e la cattedrale di Santa
Sofia a Kiev (1018-37), nonché una serie di chiese monastiche a croce
inscritta e a una sola navata (cattedrale della Dormizione di Pečerskij,
cattedrale del monastero di San Michele, cattedrale del monastero di
Vydubickij); del XII sec. sono la cattedrale dei Santi Boris e Gleb e la chiesa
di San Parasceve a Černigov. Nel XII sec., con la divisione del principato
di Kiev in diversi principati, si formarono varie scuole artistiche locali, tra
cui quelle di Vladimir-Suzdal' e di Novgorod. Tipica della prima, sensibile ai
canoni dell'architettura romanica, risulta la chiesa a forma cubica e con una
sola cupola; di rilievo sono la chiesa dell'Intercessione sul Nerl (1165), la
cattedrale di San Giorgio a Jurèev-Pol'skoj (1229-34) e il castello
principesco in pietra bianca di Bogolljubovo. Nel principato di Novgorod,
l'architettura si caratterizzò, invece, per l'austera
monumentalità, come ben evidenziano la cattedrale di Santa Sofia
(1045-50), a cinque navate e a cinque cupole, la chiesa del Salvatore a Neredica
(1198, distrutta nel 1941 e poi ricostruita), e la cattedrale del monastero
Mirožskij a Pskov. Nel principato di Kiev, anche la pittura fu inizialmente
legata alla tradizione bizantina (affreschi e mosaici della chiesa di Santa
Sofia e mosaici della chiesa del monastero di San Michele), ma già nel
XII sec. si affermarono influssi balcanici (affreschi della chiesa del monastero
di San Cirillo a Kiev). Dall'XI sec. fiorirono la pittura di icone, con la
celebre scuola del monastero di Pečerskij che produsse la notevole
Nostra Signora di Vladimir (XII sec.), e la miniatura dei codici, di cui
il
Vangelo di Ostromir rappresenta il lavoro più pregevole. Nel
XII sec. si affermò la scuola pittorica di Novgorod, che prese avvio da
modelli bizantini
(
Annunciazione di Ustjung;
Arcangelo),
raggiungendo il massimo splendore nel XIV sec., quando Novgorod rimase l'unico
centro artistico vitale. Fu in quell'epoca che vennero costruite le chiese
più caratteristiche (chiesa di San Teodoro Stratelate, chiesa del
Salvatore), nonché la fortezza-cremlino e il palazzo arcivescovile;
sempre di quel periodo e altrettanto pittoresche risultano alcune chiese di
Pskov, come la cattedrale della Trinità (fine del XIV sec.) o la chiesa
di San Basilio il Grande (inizio del XV sec.). In ambito pittorico, furono,
invece, realizzati i notevoli affreschi della chiesa della Trasfigurazione,
della chiesa di San Teodoro Stratelate e della chiesa della Dormizione a
Volotovo, mentre nella pittura di icone si distinse Teofane il Greco, che
dipinse la pregevole
Nostra Signora del Don e che favorì lo
sviluppo del genere nel XV sec. Il XV sec. fu caratterizzato dall'ascesa di
Mosca: tale ascesa, culminata nell'ultimo quarto di secolo con la costituzione
della città a capitale dello Stato russo, determinò un'intensa
attività edilizia, che condusse alla costruzione di chiese, palazzi e
fortificazioni. Molti dei lavori più importanti furono diretti da
architetti italiani, come A. Fioravanti e P.A. Solari (cui si devono le tre
cattedrali del Cremlino), o A. Novi e M. Ruffo (che lavorarono all'interno del
Cremlino e che portarono in
R. motivi tardo-gotici e
proto-rinascimentali). Sotto l'influsso straniero si andò così
elaborando uno stile nazionale, i cui elementi architettonici caratteristici
furono l'uso del legno e la sostituzione della piramide alla cupola bizantina; a
metà del XVI sec. l'architettura russa poteva essere considerata autonoma
dall'influenza italiana e dalla tradizione bizantina. Testimonianze mirabili di
questo stile sono le grandi cattedrali a cinque cupole dei monasteri moscoviti
di Novodevičij e Donskoj, la chiesa dell'Ascensione di Kolomenskoe con le
sue forme slanciate e la cattedrale di San Basilio (Mosca), con le sue ricche
decorazioni. Grande sviluppo ebbe nel XV sec. anche la pittura, grazie
soprattutto all'opera di quello che viene reputato il maggior pittore
dell'antica
R., A. Rublëv, autore della famosa icona della
Trinità. Col XVI sec. andò, invece, affermandosi una
tendenza narrativa che si concretizzò nella rappresentazione di scene
della vita dei santi e anche di motivi della vita reale (affreschi della
cattedrale dell'Annunciazione nel Cremlino di Mosca); contemporaneamente, si
sviluppò in misura considerevole l'arte della miniatura e della
decorazione dei libri. Nel XVII sec. si accentuò l'uso della decorazione:
si diffuse così un tipo di edificio sacro meno maestoso, incarnato da una
piccola chiesa riccamente decorata con cinque (a volte tre) cupolette e con un
campanile a tetto piramidale unito alla chiesa da un passaggio (chiese della
Trinità a Nikitniki e della Natività della Vergine a Putinki).
Verso la fine del Seicento, ebbe inizio il Barocco russo, che riprese elementi
dell'architettura occidentale rielaborandoli secondo le tradizioni locali
(chiesa della Risurrezione a Kadaši, campanile del monastero di
Novodevičij). L'influenza occidentale fu assai pronunciata anche in
pittura: in questo senso, un ruolo di primo piano svolse il direttore della
scuola di pittura di icone del Cremlino di Mosca S. Ušakov, che fu anche
uno dei primi incisori in rame della
R. Ancora maggiore fu l'influsso
occidentale in scultura: questo in virtù dell'opera di valenti maestri
dell'Italia settentrionale che lavorarono a lungo in
R. Nel XVIII sec. le
riforme di Pietro il Grande accelerarono questa tendenza verso
l'occidentalizzazione della cultura russa; la volontà di rompere con le
tradizioni slave e bizantine fu evidente nel settore edilizio, con la fondazione
della nuova capitale Pietroburgo secondo i dettami urbanistici occidentali
(importati dai numerosi architetti italiani, tedeschi, francesi e inglesi che
lavorarono in quel periodo in
R.). Verso la metà del Settecento,
si passò alla creazione di composizioni più complesse e ad un uso
abbondante della decorazione (palazzo d'Inverno e cattedrale del monastero
Smolnyi a Pietroburgo, chiesa di Sant'Andrea a Kiev, chiesa di San Clemente a
Mosca). Negli anni Sessanta del XVIII sec., si affermò, invece, lo stile
neoclassico, con le opere del francese J.B. Vallin de la Mothe (Accademia delle
belle arti di Pietroburgo), dell'italiano G. Quarenghi e dei russi I.E. Starov
(palazzo Travričeskij), M. Kazakov (ospedale Golicyn, Senato del Cremlino a
Mosca) e V.I. Baženov (casa Paškov); a questi ultimi due architetti si
deve un'opera di assoluto valore quale risulta essere il palazzo di Caterina II
a Caricyno presso Mosca. In pittura, un notevole sviluppo ebbe la ritrattistica,
con le opere di I. Višniakov, I. Argunov, A. Antropov, F. Rokotov, D.
Levickij e V. Borovikovskij, ma fiorì anche la pittura storica e
religiosa, con i lavori di A. Losenko e di A. Ugrjumov. In scultura, invece,
caratterizzarono questo periodo i grandi monumenti per le piazze di Pietroburgo,
quali la statua equestre di Pietro il Grande di B.C. Rastrelli o il monumento a
Pietro il Grande di É. Falconet. Tra la fine del XVIII sec. e gli inizi
del XIX sec. si affermò, sempre nell'ambito del Neoclassicismo, lo Stile
Impero, i cui migliori esempi sono costituiti dalla cattedrale della Vergine di
Kazan' di A. Voronichin, l'Ammiragliato di A. Zacharov e la Borsa di T. de
Tonon; dalla metà del XIX sec., tuttavia, iniziarono i primi tentativi
eclettici che condussero alla nascita dello stile russo-bizantino (cattedrale
del Salvatore a Mosca di K. Ton, chiesa della Risurrezione a Pietroburgo di A.
Parland). In pittura, il XIX sec. segnò l'affermazione delle istanze
romantiche che si tradussero in ritratti e paesaggi intrisi di sentimentalismo;
spiccarono, in quel periodo, le opere di A. Ivanov (autore de
L'apparizione
di Cristo al popolo, galleria Tetr'jakov, Mosca), O. Kiprenskij, V. Tropinin
e A. Venecianov. Nella seconda metà del XIX sec., per opera del gruppo
degli Ambulanti, all'interno del quale eccelsero V. Surikov e I. Rapin, si
svilupparono, invece, tendenze realistiche. Quanto alla scultura, in tutta la
prima metà del XIX sec. predominò il gusto neoclassico di impronta
canoviana (I. Martos, M. Kozlovskij), che si concretizzò soprattutto in
monumenti di carattere eroico; anche in questo campo, però, dopo il 1850
prese l'avvio un indirizzo che si ricollegava al Realismo e che trovò in
M. Antokolskij il suo massimo rappresentante. Tra la fine del XIX e l'inizio del
XX sec., grazie anche all'azione di importanti mecenati (S. Mamontov, I.A.
Morozov), si assistette a una particolare fioritura artistica: in questo periodo
(denominato “età d'argento della cultura russa”), in
architettura si affermò l'Art nouveau, con le opere di F. Šechtel,
F. Lidval, L. Kekušev e V. Valcott, mentre in scultura si manifestarono
quelle tendenze impressionistiche (A. Golubkina, N. Andreev) e simboliste (A.
Matveev, S. Konenkov) che trovarono sbocco anche in ambito pittorico. In questo
campo, in particolare, furono organizzate molte importanti mostre da parte delle
varie associazioni (Società degli artisti di Mosca, Mondo dell'Arte,
Unione degli artisti russi) o dei numerosi circoli pittorici (Rosa Azzurra,
Vello d'Oro, Fante di Quadri, Coda d'Asino). Al Mondo dell'Arte, propugnatore di
un ideale di
art pour l'art, appartennero, tra gli altri, A. Benois, K.
Somov, N. Roerich, E. Lansere; della Rosa Azzurra, che insieme al Vello d'Oro
espresse le tendenze postsimboliste e postimpressioniste, fecero parte M. Sarjan
e P. Kuznecov; rappresentanti di una pittura tipo
fauve furono, invece, i
membri del Fante di Quadri (fratelli Burljuk, I. Maškov, R. Falk), mentre
legati al Primitivismo russo risultano i pittori della Coda d'Asino (N.
Gončarova, M. Larionov). Verso la metà degli anni Dieci del XX sec.
comparvero, infine, le prime tendenze dell'arte d'avanguardia (Futurismo,
Raggismo, Suprematismo) ed emerse la figura di M. Chagall. Con la Rivoluzione
d'Ottobre, molti artisti (architetti e scultori in particolare) furono coinvolti
nell'opera di rinnovamento del Paese e confluirono in gran parte nell'Unione
degli artisti della
R. rivoluzionaria (fondata nel 1922). Mentre in
architettura si andava affermando il Costruttivismo (fratelli Vesnin, M.
Gincburg, I. Golosov, A. Šcusev), nelle arti figurative, verso la fine
degli anni Venti, cominciò a predominare il Realismo socialista.
Contemporaneamente, la vita artistica iniziò a svolgersi sotto il
controllo del Partito comunista, con la conseguenza che gli avanguardisti (V.
Tatlin, P. Filonov, Rodčenko) passarono in secondo piano a favore di
artisti più graditi al regime (A. Dejneka, A. Plastov, M. Nesterov). Tale
controllo si accentuò negli anni Quaranta, protraendosi fino alla
metà degli anni Cinquanta, fin quando nel 1957 venne costituita l'Unione
degli artisti dell'URSS e, nell'ambito del VI Festival mondiale della
gioventù e degli studenti, fu istituito un laboratorio internazionale di
arti figurative; da allora, iniziarono a essere organizzate in
R. mostre
di artisti stranieri e di artisti russi degli anni Venti e Trenta. In questo
contesto, si sviluppò una pittura che faceva propria una concezione
drammatica della vita e che rifiutava, pertanto, qualsiasi abbellimento nella
rappresentazione della realtà (P. Nikonov, N. Andronov, V. Pokpov) e
sorse la scuola di Leningrado per opera di E. Moiseenko; soprattutto,
però, tollerata dal regime, nacque un'arte che si pose come alternativa a
quella ufficiale (A. Zverev, I. Kabakov, D. Krasnopevcev, V. Jakovlev, V.
Sitnikov, O. Rabin, O. Celkov, D. Plavinskij) e che trovò negli
appartamenti privati i luoghi ove organizzare le sue mostre (
apt-art).
Già a metà degli anni Sessanta, però, la censura fu
ripristinata, impedendo anche nel decennio successivo l'esposizione delle opere
degli artisti non conformisti: emblematica, da questo punto di vista, fu nel
1974 la dispersione da parte delle autorità, di una mostra all'aperto
organizzata da 25 pittori non allineati alle disposizioni del regime e
denominata successivamente, proprio a seguito dell'intervento governativo,
“mostra dei bulldozer”. Ciò non impedì, peraltro, la
nascita dell'arte concettuale (I. Kabakov) e della
soc-art (V. Komar, A.
Melamid); nel clima di maggior libertà che poté essere respirato
nella seconda metà degli anni Ottanta e più avanti con la
dissoluzione dell'Unione Sovietica (1991), tali correnti influirono
profondamente sull'arte russa di fine secolo. Il notevole sviluppo di
quest'ultima fu senz'altro favorito dalla creazione e dal sovvenzionamento
statale di nuove istituzioni (Centro d'arte contemporanea, Istituto d'arte
contemporanea, Fondazione Malevič) a tutto discapito delle varie
organizzazioni statali che avevano sino ad allora regolato l'attività
artistica e che l'avevano indirizzata verso finalità propagandistiche. Fu
in questo contesto che poté infine svilupparsi un vivace mercato
artistico, con la nascita di numerose gallerie d'arte municipali (Galereja L,
Galereja AZ) e private (M'ars, Ajdan, Jakut) e con il sempre più attivo
intervento di sponsor privati per incentivare l'organizzazione di mostre dei
principali artisti russi del periodo (B. Orlov, I. Čujkov, F. Arana
Infante, I. Makarevič).
MUSICA
La musica russa affonda le sue radici nell'Alto
Medioevo da un lato con i canti popolari, che pure furono per molti secoli
osteggiati dalla Chiesa ortodossa, dall'altro col canto liturgico, sviluppatosi
a seguito della diffusione del Cristianesimo. Solo nel XIX sec., però,
queste forme musicali si trasformarono in arte dotta: in questa direzione
agì senz'altro l'avvento in
R., specialmente sotto Caterina II, di
cantanti e compositori italiani, che fornì un notevole impulso alla
formazione dell'opera nazionale russa. I primi compositori russi di rilievo
furono M.I. Glinka, A.N. Serov e A.S. Dargomyzskij (XIX sec.); da questi
raccolse e sviluppò l'ideale di una musica nazionale, libera da ogni
soggezione alle mode straniere, il cosiddetto Gruppo dei Cinque (V.), cui appartennero i maggiori compositori
russi del tempo: M.A. Balakirev, C.A. Cui, M.P. Mussorgskij, A.P. Borodin, N.A.
Rimskij-Korsakov. Al gruppo fecero da contraltare compositori come A.G.
Rubinstein e P.I. Ciaikovski, più vicini alle modulazioni occidentali.
Nel XX sec., la tendenza etnicista e quella occidentalista si confusero, come si
può evincere dai lavori di A. Glazunov, S.V. Rachmaninov e N.N.
Čerepnin. Figura di assoluto rilievo fu I.F. Stravinskij, in grado di
eccellere tanto con pezzi etnicizzanti quanto con opere più vicine alla
sensibilità occidentale; compositore originale del medesimo periodo fu
anche S.S. Prokofiev, mentre maggiormente aperto alla ricerca d'avanguardia fu
D. Šostakovič. La tradizione musicale russa trovò
successivamente dei validi continuatori in D.B. Kabeleuskij, G.V. Sviridov, R.K.
Ščedrin e B.I. Tiščenko; particolarmente fecondi furono gli
anni Settanta del XX sec., che videro l'affermazione di giovani compositori come
G.P. Dmtriev, D.N. Smirnov e D. Kapirin e l'emergere di donne compositrici come
S.A. Gubaidulina, A.N. Pachmutova e G.I. Ustvolskaja.
"Dostoevskij e l'anima russa" di Leonardo Pampuri