Filosofo, musicologo e scrittore
svizzero di origine francese. Discendente da una famiglia ugonotta, emigrata a
Ginevra per sfuggire alle persecuzioni religiose,
R. rimasto orfano della
madre pochi giorni dopo la nascita, fu avviato dal padre alle prime passioni
letterarie: i romanzi sentimentali e d'avventure e le opere di Plutarco. Il
legame con il padre si spezzò tuttavia quando quest'ultimo, in seguito a
contrasti locali, fu costretto a trasferirsi a Nyon, affidando il figlio allo
zio materno e destinandolo alla professione di incisore.
R. nel 1728
fuggì in Savoia e di lì si recò, su raccomandazione del
parroco di Confignon, ad Annecy presso la baronessa De Warens, per intervento
della quale risolse di abiurare la fede calvinista e di convertirsi al
Cattolicesimo. Dopo una breve parentesi torinese,
R. si cimentò
negli studi in seminario, che abbandonò per la scuola di musica della
cattedrale di Annecy, e infine, recatosi a Chambery, si legò a M.me De
Warens: la loro relazione fu amorosa ma anche, o soprattutto, culturale. Nella
residenza campestre di Les Charmettes,
R. si dedicò alle letture e
agli studi, senza trascurare la musica, e costituì quello che lui stesso
chiamò “il magazzino delle idee” e che sfruttò nel
corso della sua vita. Dopo il 1737, i rapporti con la baronessa si incrinarono e
nel 1740
R. si recò a Lione come precettore presso la casa del
magistrato Mably, che lasciò nel 1742 per la capitale, dove riuscì
a presentare all'Académie des Sciences un progetto innovativo in tema di
notazioni musicali (
Dissertation sur la musique moderne, 1743). In
seguito fu a Venezia come segretario del conte di Montaigu, ambasciatore di
Francia, e poi di nuovo a Parigi. In questi anni conobbe e strinse importanti
legami con i filosofi dell'“Encyclopédie”: E. Condillac,
Voltaire, B. Fontenelle, F.M. Grimm e D. Diderot. La frequentazione dei salotti
culturali parigini gli consentì inoltre la rappresentazione, in forma
privata, della sua opera lirica
Le muse galanti. A questo stesso periodo
risale, inoltre, il legame di
R. con Thérèse Le Vasseur,
che egli sposò nel 1768, dopo averne avuto cinque figli, tutti affidati
alla carità pubblica. La fitta corrispondenza con i filosofi
dell'“Encyclopédie” stimolò l'attività
speculativa di
R., che per la prima volta pubblicò un suo trattato
(
Discours sur les sciences et les arts,
1750) in occasione di un
concorso bandito dall'Accademia di Digione sul tema “
Se il progresso
delle scienze e delle arti abbia contribuito a purificare i costumi”.
Al quesito
R. fornì una risposta negativa, mettendo in
discussione, nel suo scritto, il dogma illuminista del progresso e della ragione
e sostenendo che in realtà la corruzione dei costumi cresceva al crescere
della civiltà e, dunque, delle arti e delle lettere: esse infatti
contribuivano alla mortificazione e allo svanire della spontaneità
limpida e innata dell'uomo, quando ancora non sia contaminato dalle convenzioni
della civiltà. A un simile degrado,
R. opponeva la purezza di
costumi delle culture primitive e classiche, presentate come idilliche, semplici
e austere. Il lavoro vinse il primo premio, forse più per il tono
moralistico ed edificante che per il rigore delle argomentazioni, e
R.
ripropose le sue tesi, sempre in occasione di un concorso dell'Accademia di
Digione, nel trattato
Discours sur l'origine et le fondament de
l'inégalité parmis les hommes,
che causò la
rottura definitiva con i circoli illuministi. Il nuovo
Discorso si
distinse tuttavia per l'efficacia del suo impianto logico, sociologico e
politico, che inseriva la critica del costume entro una prospettiva
evoluzionistica e storica. Lo stato di natura veniva utilizzato non tanto come
concetto storico (difficilmente documentabile!) quanto come categoria logica
utile all'interpretazione dello sviluppo delle civiltà e delle
società umane e, per la prima volta, la dimensione biologico-evolutiva e
storico-culturale della specie umana erano messe in relazione tra loro. Inoltre,
quando ancora l'esegesi biblica comprimeva l'esistenza dell'uomo nell'ambito di
pochi millenni,
R. valutava la sua più antica fase evolutiva
nell'ordine delle migliaia di secoli. L'uomo allo stato di natura, per il
filosofo, era definito dal solo istinto di conservazione e dalla compassione,
intesa come ripugnanza al dolore dei propri simili; egli non era un essere
sociale e razionale, ma lo divenne attraverso un processo di adattamento
all'ambiente; il suo impegno iniziale mirava alla sola sopravvivenza, anche se
la capacità di perfezionarsi, con l'invenzione di strumenti adeguati alle
proprie necessità, modificò lentamente la sua posizione nel mondo
naturale e affinò la sua sensibilità. In questa fase, le uniche
differenze tra gli individui erano date dall'età, dalla salute, dalla
forza fisica. Adattandosi ai diversi ambienti l'uomo ampliò le proprie
capacità e creò l'opportunità di trasmetterle ad altri
individui, sviluppando un linguaggio verbale. Con l'affermarsi delle prime
comunità patriarcali, sorte dalla consapevolezza dei vantaggi che
derivano ai singoli dal partecipare a una comunità, nacquero le prime
forme di società. La differenziazione del lavoro è all'origine del
senso di proprietà, che il linguaggio stesso crea e consolida; dalla
proprietà discesero, dunque, sia le disuguaglianze, sia i processi di
socializzazione e cultura, da cui, a loro volta, ebbero origine le leggi: esse,
lungi dal tutelare il diritto dei deboli, significarono la ratifica da parte del
ceto dominate al proprio privilegio. In tal modo l'umanità sarebbe
passata dall'istinto naturale (amore di sé, che mira alla sopravvivenza),
a un sentimento artificioso (amor proprio, che tende alla sopraffazione e alla
supremazia del simile sul simile), secondo un'organizzazione coercitiva che la
separò in opposti schieramenti: ricchi e poveri, padroni e schiavi.
R., che non perorava un ingenuo ripudio del mondo civilizzato,
rivendicò tuttavia la necessità di ridefinire i principi base
della convivenza sociale al fine di ottenere una maggiore giustizia. Dopo la
pubblicazione di quest'opera,
R. si recò in visita a Ginevra, dove
si riaccostò alla religione della sua infanzia, e di lì
rientrò a Parigi, accettando l'ospitalità, nel parco di Chevrette
nei pressi di Montmorency, di M.me d'Épinay, conosciuta nel 1749. Vi
trascorse un periodo assai fecondo nella sua produzione letteraria, ma anche
denso di polemiche e di complicate relazioni sentimentali; infine, nel 1759 si
trasferì a Montmorency, ospite del duca di Lussemburgo e maresciallo di
Francia Charles François Frédéric. Tra le opere di quegli
anni, ricordiamo: la
Lettera a d'Alembert sugli spettacoli (1758),
Giulia o la nuova Eloisa (1761), ispirata alla passione per M.me
d'Houdetot,
Il Contratto sociale e l'
Emilio o sull'educazione,
entrambi del 1762. La
Nuova Eloisa o Lettere di due amanti da una
cittadina ai piedi delle Alpi è un romanzo epistolare ricco di
digressioni e riflessioni personali; il romanzo è ambientato nella
campestre cittadina svizzera di Clarens, dove la ricca Giulia d'Etanges ama
contraccambiata il proprio precettore Saint-Preux. La giovane, data in sposa al
più anziano De Wolmar, concentra tutte le proprie energie nell'esercizio
delle virtù domestiche, sino al rinnovarsi della passione per l'antico
amante, assunto dal marito come precettore dei figli. Con la rinuncia all'amore
desiderato, e con la morte di Giulia, si conclude la trattazione del conflitto
tutto interiore e morale della donna, amante e madre, e quello esteriore e
caratteriale dei personaggi maschili. In
Il Contratto sociale, composto
da quattro libri,
R. esplicitò quelli che a suo parere erano gli
elementi fondamentali per una riforma della società giusta, fondata sul
diritto di uguaglianza naturale fra gli uomini. Per ottenere un simile stato di
cose è necessario individuare una forma associativa in cui ogni
individuo, protetto dalla forza comune, sia indipendente e padrone di sé.
Scopo finale del contratto o patto sociale è garantire la libertà
individuale che, se non sarà più quella dello stato di natura
ormai definitivamente scomparsa, tuttavia sarà originata da un patto alla
cui stipula contribuiscono tutti i contraenti, scegliendo di sottoporsi alla
volontà generale: ne consegue che ai rapporti reciproci tra i cittadini
si sostituisce la relazione di sottomissione degli stessi alla legge, in quanto
espressione della volontà generale. Il contratto sociale prevede dunque
un'integrale alienazione del singolo e dei suoi diritti al corpo sociale, a un
corpo morale e collettivo in cui tutti e ciascuno detengono la
sovranità: non si dà, cioè, la rinuncia dei propri diritti
da parte dei più a costituire la sovranità di un singolo soggetto
o di un corpo separato. Uno Stato morale di tal fatta si fonda, cioè, non
su un
pactum subiectionis, ma su un
pactum unionis che realizza
appunto la volontà generale. La possibilità di un'attuazione
compiuta di tale volontà è tuttavia problematica: essa infatti
richiederebbe una sorta di moratoria del corso storico della civiltà per
consentire l'educazione dell'uomo nuovo alla soddisfazione del bene comune in
luogo del proprio appetito immediato. Dalla fissazione dello Stato come
“io comune” che non ammette negazioni,
R. passò poi a
definire la figura del
legislatore, figura utopica e onnipotente che si
pone come realtà sovrastorica e ordinatrice delle leggi, politiche,
civili e penali, comunque necessarie. Il Governo ha, per
R., potere
esecutivo soggetto a quello legislativo del popolo sovrano; ogni popolo dovrebbe
scegliere, in base alle condizioni storiche, ambientali ed economiche in cui
vive, la propria forma di Governo: la democrazia diretta si addice agli Stati
economicamente e territorialmente limitati, l'aristocrazia agli Stati medi e la
Monarchia a quelli estesi e ricchi. Il medesimo tema della riforma della
società, affrontato nel
Contratto, viene posto in termini
individuali e pedagogici nell'
Emilio, testo chiave della pedagogia non
solo ottocentesca, in quanto anticipatore di elementi poi assunti dalla
psicologia dell'età evolutiva e dall'educazione funzionale (che collega
bisogno, interesse e apprendimento), ma soprattutto in quanto per la prima volta
fu individuata l'età adolescenziale come momento specifico e autonomo
nella crescita del fanciullo. Posto che la natura è in sé buona,
è indispensabile, in un processo educativo ideale, sottrarre l'allievo al
condizionamento della società corruttrice: a scopo esemplificativo,
R.
foggiò il profilo di un allievo ideale, Emile (francese, nobile,
ricco e orfano), e ne rappresentò l'educazione ad opera di un precettore
che avesse su di lui autorità completa sin dalla nascita. Per
R.
nel processo educativo interagiscono tre elementi, la natura, gli uomini e le
cose, che, però, nell'educazione tradizionale sono orientati a
finalità direttive e costrittive che impediscono uno sviluppo naturale e
armonico sia della corporeità sia della sensibilità del fanciullo.
Nell'infanzia, infatti, vengono bloccati i movimenti del bambino, impedendo la
manifestazione dei suoi bisogni, reprimendone il pianto e il linguaggio
gestuale. Quando il bimbo inizia a parlare lo si spinge a ripetere parole di cui
egli non conosce il reale peso affettivo ed esperienziale e troppo precocemente
lo si costringe a leggere, a scrivere e al ragionamento; in tal modo la naturale
capacità d'apprendere risulta corrotta, artefatta e da ciò
scaturisce un individuo debole, incapace di reagire in modo proporzionato alle
richieste del mondo in cui vive. Il precettore di Emile vuole invece evitare
questa alienazione, lasciando che il fanciullo apprenda attraverso l'esperienza
i limiti posti dalla natura allo sviluppo della sua sensibilità. Emile
deve trovare in sé i rudimenti del sapere: nel lavoro manuale, nel
contatto con la natura, non trasmesso da conoscenze letterarie né mediato
dalla relazione con la società, da cui il fanciullo dovrà rimanere
lontano sino alla spontanea conquista della ragione e della coscienza morale. Il
processo educativo si svolge in cinque fasi, ognuna corrispondente a un libro
dell'opera: il primo va dagli 0 ai 6 anni, il secondo dai 6 ai 12, cui segue
quello dedicato al periodo dai 12 ai 15 anni; il quarto libro tratta
dell'adolescenza e delle problematiche sentimentali che in questo periodo si
affacciano, il quinto affronta il tema della virilità che trova il suo
pieno compimento nel matrimonio. Nell'incontro di Emile con Sofia, destinata a
divenire sua compagna nella vita,
R. tracciò
il modello
educativo nei due sessi; la ragazza dotata di pazienza, sana, robusta, abituata
al sacrificio, religiosa e pronta a divenire madre virtuosa e moglie fedele,
Emilio robusto, impetuoso, orgoglioso della propria libertà. Nel quarto
libro, inoltre,
R. inserì
La professione di fede di un vicario
savoiardo in cui l'autore affrontò il tema della religione,
riconoscendo l'esistenza di un Dio creatore in virtù di un'intuizione del
sentimento estraneo alla ragione persuasiva. Con l'affermazione di Dio, la
religione di
R. confluisce nel riconoscimento dell'immortalità
dell'anima cui è connessa la visione escatologica della ricompensa e del
castigo ultraterreno, come necessario equilibrio di un ordine smarrito nel mondo
attuale. Le religioni storiche, con i loro dogmi e culti, sono intolleranti e
ostacolano la pace sociale, la
religione dell'uomo, invece, coincide con
la semplice religione del Vangelo. Diversa è tuttavia la
fede
civile,
senza la quale diventa impossibile essere buoni cittadini: i
dogmi di questa religione devono essere fissati dallo Stato e chiunque li
rifiuti andrebbe cacciato dal consesso sociale, come incapace di amare le leggi
e di sacrificare se stesso al dovere. Lo Stato, dunque, nato dal contratto
sociale, deve pretendere in tema di religione, esclusivamente quelle credenze
che rinsaldino la socievolezza dei cittadini. Le dottrine espresse in queste
opere ebbero, com'è facile immaginare, un effetto dirompente presso le
autorità sia civili sia religiose, tanto che il Parlamento di Parigi
condannò l'
Emilio al rogo e
R., per evitare l'arresto, fu
costretto a riparare a Yverdun e poi a Môtiers-Travers presso
Neuchâtel, allora dominio prussiano, dato che pure il Petit Conseil di
Ginevra aveva condannato il
Contratto e l'
Emilio. L'autore scrisse
dunque in propria difesa la
Lettera a Cristophe de Beaumont (1763) e
Le lettere scritte dalla montagna (1764), la prima indirizzata
all'arcivescovo di Parigi, la seconda al Consiglio di Ginevra e contro Voltaire
che lo aveva accusato nel contemporaneo libello
Sentimenti dei cittadini.
Rintracciato a Neuchâtel,
R. si rifugiò sull'isoletta di
Saint-Pierre nel Lago di Bienne. Cacciato da qui, in seguito a un decreto del
Consiglio di Berna, accolse l'invito del filosofo scozzese D. Hume e
riparò in Inghilterra, a Wootton (1766). Tormentato da un costante
delirio di persecuzione,
R. troncò il rapporto con Hume (1767) e
rientrò in Francia, dove vagabondò tra Lione, Chambery, Bourgoin e
Monquin. Nel frattempo curò la stesura delle proprie memorie,
Les
Confessions (pubblicate postume nel 1781-88). Ritornato nel 1770 a
Parigi, visse in una progressiva solitudine, dedicandosi alla stesura delle
Considerazioni sul Governo della Polonia (1771, edite postume), dei
Dialoghi o
Rousseau giudice di Jean-Jacques (1772-76) e delle
Meditazioni di un passeggiatore solitario (1776-78), entrambe, queste
ultime, dominate dall'ossessione persecutoria e da argomentazioni autodifensive.
Accolto dal marchese de Girardin nel castello di Ermenonville (maggio 1778),
R. si
dedicò alle osservazioni botaniche, spegnendosi due
mesi dopo. I suoi resti, tumulati provvisoriamente nel parco del castello,
furono trasferiti nel 1794 nel Panthéon di Parigi (Ginevra 1712 -
Ermenonville 1778).