(dal francese antico
romanz, der. del latino tardo
romanice
loqui: parlare una lingua romanizzata).Neolatino. Che è
relativo alla Romània (V.). • Ling. -
Lingue r. o
neolatine: le lingue, sia letterarie sia d'uso, e
tutti i dialetti caratterizzati da una comune discendenza dal latino e che si
sono evoluti nelle terre di antica colonizzazione romana, per ciò dette
nel loro insieme Romània (tale regione culturale, tuttavia, non coincide
con l'intera estensione dell'antico Impero romano). Ne sono escluse, per il
fatto che furono occupate per un tempo insufficiente a produrre una
latinizzazione duratura, le attuali Inghilterra e Germania; per la sostituzione
della presenza romana con il successivo e massiccio influsso politico,
linguistico e religioso dell'Islam, l'Africa settentrionale; per l'esistenza di
culture e tradizioni anteriori e di strutturate e superiori culture
linguistiche, che esercitarono acculturazione esse stesse sulla latinità
piuttosto che subirla, la Grecia, l'Egitto e le colonie asiatiche in generale.
Si parla dunque di lingue
r. a proposito di parlate evolutesi nelle
penisole iberica e italica, nelle regioni dell'attuale Francia, nel bacino del
Ticino e nei Grigioni, nelle regioni costiere della Dalmazia e nell'attuale
Romania. Secoli dopo, la colonizzazione europea del nuovo continente
esportò tali lingue nella cosiddetta «Romània
conquistata»: in America centro-meridionale il castigliano, eccetto che in
Brasile dove si diffuse il portoghese, in Canada il francese. In queste regioni,
l'innesto delle lingue
r. sulle parlate indigene ebbe come esito le
cosiddette lingue creole (V.
CREOLO). ║
Classificazione: dal punto
di vista strettamente sistematico, le lingue
r. sono state distinte in
due gruppi.
Gruppo occidentale: vi appartengono le tre lingue della
penisola iberica, cioè portoghese (parlato in Portogallo, in Galizia,
nelle Azzorre e in Brasile), castigliano (parlato in quasi tutta la Spagna, le
Canarie e l'America latina) e catalano (parlato in Catalogna, nelle Baleari e
nel dipartimento francese dei Pirenei orientali). Occidentali sono le lingue
evolutesi in Francia, cioè la lingua d'
oc (parlata dal Medioevo
nelle regioni a Sud della Loira e comprendente a sua volta differenti dialetti:
limosino, guascone, provenzale, ecc.; alcune parlate occitaniche sono attestate
anche in alcune vallate italiane del cuneese), la lingua d'
oil (parlata
nelle regioni a Nord della Loira, differenziata in diversi dialetti, tra cui il
francien,
che fu la base del francese moderno,
il normanno,
che esportato in Inghilterra influì sul lessico della lingua sassone, il
piccardo, il vallone, ecc.), il franco provenzale (oggi estinto, ma parlato in
origine in una zona intermedia tra le prime due: Svizzera
r., Delfinato,
Val d'Aosta, valli di Lanzo, bassa val di Susa; fu identificato per la prima
volta come lingua autonoma da G.I. Ascoli). Infine, fanno parte a sé: il
sardo, distinto in quattro dialetti (logodurese, sassarese, gallurese e
campidanese), dai tratti arcaici (conservazione delle consonanti velari davanti
alle vocali palatali
i,
e) e il ladino, parlato nei Grigioni, in
alcune valli dolomitiche e friulane. Al gruppo occidentale, infine, appartengono
le parlate italiche settentrionali (cioè a Nord della direttrice La
Spezia-Rimini): piemontese, ligure, lombardo, emiliano e dialetti veneti. Si
distinguono dall'italiano a base toscana per alcuni tratti fonetici (caduta
della vocale finale, scempiamento delle consonanti doppie, chiusura delle vocali
e,
o toniche in
i,
u, ecc.).
Gruppo
orientale: vi appartengono, oltre all'italiano nazionale, in quanto foggiato
sul dialetto toscano, i dialetti centrali (di Marche, Umbria e Lazio) e
meridionali (di Abruzzo, Molise, Puglia, Lucania, Campania; hanno ulteriore
caratterizzazione le parlate di Calabria e Sicilia); il dalmatico (oggi estinto,
soppiantato dalle lingue slave e dal dialetto veneziano); il romeno, a sua volta
diviso in quattro dialetti e la cui lingua letteraria sorse assai tardi (XVI
sec.) in quanto la lingua ufficiale della Chiesa era lo slavo. ║
Origine ed evoluzione delle lingue r.: la pluralità delle
lingue
r. derivate dal latino ha più di una spiegazione. La
latinizzazione della Romània non fu dovuta tanto alla diffusione della
lingua letteraria o burocratica dei conquistatori, fortemente omogenea, quanto
all'uso del cosiddetto «latino rustico» o «volgare» che,
lungi dall'essere unitario, si presentava come un complesso di parlate locali,
tra loro affini ma in evoluzione costante e distinta nel tempo e nello spazio.
Il latino importato dai colonizzatori nelle singole regioni, dunque, era
diversamente caratterizzato dal momento cronologico e dalla provenienza
geografica dei soldati. Una seconda causa di diversificazione tra le lingue
r. fu l'azione esercitata dai sostrati linguistici attivi in ogni zona,
che diventarono componenti più o meno attive e peculiari delle parlate
locali in evoluzione dal latino: in alcune regioni furono assai importanti i
sostrati non indoeuropei, come l'etrusco in Toscana e in Italia centrale,
l'iberico nel meridione francese e nella penisola iberica, ecc. Pari o maggiore
importanza ebbero però i sostrati linguistici di comune matrice
indoeuropea: il gruppo osco-umbro (V.) dell'Italia
centro-meridionale, il celtico della regione alpina italiana e francese, il
ligure del Nord-Ovest d'Italia, l'illirico di Puglia e Dalmazia, il venetico del
Nord-Est italico, il tracio della Dacia e il greco in Magna Grecia. In molte
regioni, inoltre, a differenziazione già pienamente in atto, parlate di
popolazioni limitrofe o di conquistatori (lingue germaniche, arabe, slave, ecc.)
esercitarono la propria influenza di adstrato e superstrato su quelle
r.,
soprattutto a livello lessicale. L'evoluzione linguistica dalle varianti
rustiche del latino alle lingue
r., che si configuravano ovviamente non
come lingue letterarie o dotte ma come vernacoli, dialetti
r.,
consentì una prima individuazione di questi ultimi come parlate autonome
(se pur sempre affiancate a vari livelli dal latino locale) tra i secc. VII -
IX, come si evince da glosse di documenti, formulari, ecc. Alcuni tratti
fonetici erano condivisi da pressoché tutti i volgari neolatini in
evoluzione: sostituzione dell'opposizione vocalica quantitativa (vocale lunga /
vocale breve) con quella di timbro (vocale aperta / vocale chiusa);
palatalizzazione delle velari (
k,
gh) davanti alle vocali palatali
(
e,
i); passaggio del nesso
tl a
cl; semplificazione
del nesso
ns in
s, ecc. In ambito morfologico, fu invece comune
l'eliminazione del genere neutro e della diatesi deponente del verbo; diffusa la
formazione dell'articolo per indebolimento dei pronomi dimostrativi (dal
classico
ille nella maggior parte dei casi, da
ipse per catalano e
sardo), la riduzione da quattro a tre coniugazioni, la sostituzione del passivo
e del futuro organici con forme perifrastiche, ecc. Il quadro generale delle
lingue
r., tuttavia, indica un ventaglio di trasformazioni di
impressionante varietà e ampiezza; modi e misure del percorso evolutivo
sono stati influenzati da numerosi fattori interni ed esterni, determinando
caratteri di maggiore o minore conservatorismo o innovazione.