Di Roma, in riferimento all'età antica o a quella medioevale e moderna.
║ Abitante o cittadino di Roma, in riferimento sia al passato sia
all'età moderna. ║ In particolare, con riferimento alla storia
antica, persona che godeva della cittadinanza
r. ║ Il dialetto
parlato a Roma, più comunemente detto
romanesco. ║
Agro
r. o
campagna r.: V.
CAMPAGNA ROMANA.
║
Candela r.: specie di fuoco d'artificio. ║
Carattere
r.: carattere tipografico, detto più comunemente
tondo
(V.). ║
Castelli r.:
V. ALBANI, COLLI. ║
Cemento r.:
varietà di legante idraulico. ║
Pecorino r.: varietà
particolare di formaggio pecorino. ║
Questione r.:
V. QUESTIONE
ROMANA. ║
Repubblica r.:
V. ROMA, storia.
║
Chiesa r.: la Chiesa cattolica, che ha la sua sede a Roma.
║
Liturgia r.: nell'ambito della Chiesa cattolica, il tipo
liturgico originario di Roma (V.
LITURGIA). ║
Lettera ai R.:
V. ROMANI, LETTERA AI. ║
Alla r.: nel
modo che si usa a Roma. ║ Fig. -
Pagare alla r.: dividere la spesa
di un pranzo o simili in parti uguali fra tutti i partecipanti. • Mat. -
Numerazione r.: sistema di numerazione basato sulla legge additiva. Per
ottenere il numero si esegue la somma (o la differenza) dei valori dei simboli
che ne compongono la scrittura. La scrittura
r. dei numeri deriva da
quella etrusca, ottenuta per lo più capovolgendo i segni. In essa hanno
significato autonomo i seguenti simboli: I = 1, V = 5, X = 10, L = 50, C = 100,
D = 500, M = 1.000. Per rappresentare le prime tre unità di un ordine (ad
esempio 1, 2, 3; 10, 20, 30, ecc.) si usa il corrispondente segno ripetuto una,
due o tre volte (I, II, III; X, XX, XXX). Per rappresentare 5 unità (5,
50, 500) si usa il simbolo corrispondente; per rappresentare 4, 6, 7, 8
unità si procede per somma o differenze mediante i simboli di 4 e 1
unità della stesso ordine (4 = IV, 6 = VI; 40 = XL; 60 = LX, ecc.). Per
rappresentare nove unità si procede per differenza tra l'unità di
ordine superiore e quella della stesso ordine (9 = IX; 90 = XC). • St. -
Protomartiri r.: i cristiani che, secondo la tradizione, subirono il
martirio a Roma sotto Nerone (64), in quanto accusati dell'incendio della
città. Manca in realtà ogni testimonianza antica di un loro culto
pubblico. Festa: 27 giugno. • Arte -
Scuola r.: nome dato alla
corrente pittorica formatasi a Roma intorno al 1930, i cui principali esponenti
furono Scipione e M. Mafai. Suo scopo era quello di opporsi al convenzionalismo
e al tradizionalismo del movimento Novecento, orientandosi verso nuove ricerche
cromatiche che ridefinissero il rapporto tra colore e spazio. • Lett. -
Scuola r.: corrente poetica attiva a Roma a partire dal 1870, che riuniva
numerosi autori, fra i quali G. Carpegna, L. Lezzani, G.B. Maccari, L. Parini,
formatisi alla scuola dell'abate A.M. Rezzi; le loro composizioni sono
caratterizzate da un severo classicismo, nel quale unirono rigore morale e
spirito religioso. • Dir. - Senza dubbio il diritto è da ritenersi
la più grande creazione di Roma, la cui eredità è tutt'oggi
presente non solo nel patrimonio culturale, ma nello stesso sistema giuridico di
molta parte del mondo civilizzato. Sorto come diritto della città-stato
di Roma, fu poi esteso a tutte le terre sottomesse all'Impero
r. e, dopo
la fine di questo, continuò a regolare la vita giuridica delle regioni
cadute sotto il dominio delle popolazioni barbariche, perpetuandosi quindi nel
Medioevo attraverso lo studio, l'approfondimento e l'applicazione dei codici in
molti Paesi europei e soprattutto in Italia. Infine, con l'espansione avvenuta
nell'età moderna, fu esportato nelle terre più lontane,
affermandosi come universale ragione giuridica scritta. Il processo evolutivo
del diritto
r. si può suddividere in tre grandi periodi. Il primo
abbraccia i secoli dalle origini di Roma (secc. VII-VI a.C.) fino al 200 circa
a.C. e coincide con l'affermazione della potenza politica e militare della
città, prima tuttavia del superamento delle forme costituzionali della
città-stato: si tratta del cosiddetto
periodo quiritario. La
seconda fase si estende dal 200 circa a.C. fin verso la fine del III sec. d.C. e
indicativamente si può ritenere compiuto con il tentativo di unificazione
giuridica esperito dall'imperatore Diocleziano, il quale cercò d'imporre
l'adozione del diritto
r. a tutti i sudditi dell'Impero, divenuti
cittadini
r. a tutti gli effetti in virtù della
Constitutio
Antoniniana del 212
. Il tentativo dioclezianeo si rivelò
fallimentare, e da Costantino in poi aumentò la ricezione degli istituti
provinciali. In questo periodo si compì, parallelamente all'estensione
dell'Impero di Roma, anche l'universalizzazione del suo diritto; sorsero allora
lo
ius honorarium e lo
ius gentium, fiorì la giurisprudenza
e, con l'Impero, la legislazione imperiale; tale evoluzione non intaccò
tuttavia formalmente le strutture del più antico diritto quiritario, in
quanto i nuovi principi furono introdotti come eccezioni e adattamenti, che non
alteravano nella forma il sistema dello
ius civile, pur esercitando un
pesante influsso sulla sua applicazione pratica. La terza e ultima fase, che
abbraccia gli anni dalla fine del III sec. fino alla compilazione giustinianea,
si distingue nettamente dalle altre due; nel diritto postclassico o
r.-ellenico, come generalmente è definito, si verificò
infatti un'ampia penetrazione di influssi provinciali, soprattutto delle
province orientali, verso le quali si era allora spostato il centro
gravitazionale dell'Impero, e i cui sudditi erano ormai divenuti cittadini
r. a pieno titolo. Tale influenza non poté essere contrastata
dalla giurisprudenza classica, in piena decadenza, come dimostra il fatto che la
Costituzione del 426, emanata da Teodosio II e Valentiniano III, attribuì
valore legislativo alle opere di alcuni giuristi di età imperiale. Gli
elementi innovativi che contrassegnarono il diritto
r. in quest'ultimo
periodo penetrarono infine in gran parte nella compilazione giustinianea, e ad
essi furono dovute, in maggioranza, le modifiche che i compilatori del
Corpus
Iuris apportarono ai testi classici per ordine di Giustiniano. ║
Fonti del diritto r. pregiustinianeo: in generale, le fonti del diritto
r. pregiustinianeo si presentano come un complesso di atti normativi
espressi da organi collegati a sistemi giuridici diversi, che si susseguirono,
ciascuno operando variamente nel tempo, in connessione con il mutare della
costituzione politica di Roma, dall'originario ordinamento monarchico,
attraverso quello repubblicano, fino all'assetto del principato. Fonte
principale del diritto
r. nel periodo quiritario furono le consuetudini
(
mores maiorum), applicate attribuendo ad esse carattere di
obbligatorietà giuridica. A queste si aggiunsero nel tempo la
lex
(decisa dal popolo adunato nei comizi, su proposta del magistrato, e sottoposta
alla ratifica del Senato), i
plebiscita (decisioni inizialmente valide
solo per la plebe e prese dai
concilia plebis tributa, equiparate alle
leges certamente dal 289 a.C.), e l'
edictum del magistrato che
amministrava la giustizia, il quale fu, a partire dal 367 a.C., il
praetor (pretore). Tali fonti, ricordate dalla tradizione, risultano
volte a colmare lacune e ad apportare deroghe alla consuetudine (
mos),
come la legge delle XII Tavole e le leggi comiziali,
datae e
rogatae; infondata risulta invece la notizia dell'esistenza di
leges
regiae, che la tradizione vuole proposte dal re dinanzi ai comizi e da essi
approvate. L'interpretazione del diritto spettò a lungo esclusivamente ai
magistrati religiosi (
pontefices). Con il progressivo svilupparsi di una
giurisprudenza laica, che ebbe origine dalla pubblicazione del calendario e
dall'operato di Gneo Flavio (304 a.C.), fu avviato lo studio scientifico del
diritto; inoltre, ebbero inizio sia l'attività pratica (nelle tre forme
dell'
agere,
cavere e
respondere) sia la collaborazione del
giurista con il magistrato giudicante, attraverso le quali la giurisprudenza,
cioè l'attività interpretativa svolta dagli
iuris periti,
esercitò un influsso considerevole sull'evoluzione del diritto
r.
Essa divenne infatti fonte di diritto, in particolare da quando, a partire
dall'epoca di Augusto, fu concesso ai giuristi di dare pareri vincolanti per il
giudice (
ius respondendi ex auctoritate principis). Durante il
principato, fino all'età dei Severi, si sviluppò in particolare
l'attività letteraria, con l'elaborazione di opere elementari quali
institutiones e
definitiones;
digesta,
disputationes
e
quaestiones; libri
ad edictum,
ad Sabinum e
ad Q.
Marcium); essa relegò in posizione subordinata l'
agere e il
cavere, grazie all'opera creatrice di molti giuristi, massimo esponente
dei quali fu Papiniano. A questa fase fece seguito un periodo di sistemazione e
di organizzazione del diritto, ad opera di giuristi quali Paolo, Ulpiano e
Modestino: con quest'ultimo la giurisprudenza
r. giunse al suo massimo
compimento. L'organo che più d'ogni altro ebbe il merito di adeguare il
diritto alle nuove condizioni economiche e sociali fu il pretore, al quale
spettava anche l'attività giurisdizionale. L'
edictum del pretore
si configurava come una sorta di ordinanza a carattere generale che il pretore
stesso emanava all'inizio dell'anno in cui restava in carica e le cui
disposizioni i
praetores successivi via via aggiornavano per adeguarle
alle mutate esigenze del vivere civile (
edictum tralaticium): proprio
tali disposizioni aggiornate e modificate diedero vita a un vero e proprio
sistema giuridico, detto
ius honorarium, volto a interpretare le nuove
esigenze della società in sviluppo, integrativo e migliorativo dello
ius civile che promanava dai
mores e dalle altre fonti normative;
peraltro, l'editto del pretore non innovava la forma del diritto civile, ma vi
introduceva accorgimenti, deroghe, eccezioni, che ne rendevano nulle o comunque
modificavano le conseguenze sul terreno pratico. Oltre a ciò, nell'ultimo
periodo della Repubblica e all'inizio del principato ebbero grande sviluppo
l'attività legislativa del Senato, nella forma del
senatoconsulto
(V.), e soprattutto le Costituzioni imperiali, che
risultarono la fonte di gran lunga più importante dopo l'esaurimento
delle fonti repubblicane. Il consolidamento dell'autocrazia con le riforme
amministrative di Diocleziano e Costantino condusse inevitabilmente
all'unificazione delle fonti del diritto nella volontà dell'imperatore,
come mostra anche il particolare che il termine
lex, fino ad allora
riservato alla norma votata nei comizi, passò a definire la Costituzione
imperiale. La divisione dell'Impero in due parti non ruppe, almeno formalmente e
fino a Teodosio II (429), l'unità legislativa: le leggi e le costituzioni
emanate in una parte dell'Impero valevano automaticamente anche nell'altra e
venivano indicate con il nome dei due imperatori. Tuttavia, centro del potere e
dell'attività legislativa rimase ben presto la sola Costantinopoli. Il
numero sempre crescente delle Costituzioni imperiali e la difficoltà di
conoscerle fecero presto sentire la necessità di compilarne delle
raccolte: le prime, il
Codex Hermogenianus e il
Codex Gregorianus,
risalenti alla fine del III sec., furono eseguite per iniziativa privata. Solo a
partire dal V sec. lo Stato prese l'iniziativa: nel 438 venne promulgato in
Oriente il
Codex Theodosianus, fatto compilare dall'imperatore Teodosio
II e accettato per l'Italia da Valentiniano III. Tali codici erano tuttavia
parziali e tecnicamente imperfetti: solo un secolo più tardi l'imperatore
Giustiniano riuscì a provvedere all'esigenza della certezza,
oltreché della semplificazione e unificazione legislativa che si faceva
sempre più urgente. Il problema fu da lui affrontato già un anno
dopo la sua ascesa al trono (528) e rapidamente risolto con la pubblicazione,
tra il 529 e il 534, delle tre parti della compilazione: nel 529 il
Codex, raccolta delle Costituzioni imperiali; nel 533 i
Digesta
o
Pandectae, raccolta degli
iura o frammenti della giurisprudenza
r.; nel 534 le
Institutiones, opera elementare finalizzata
all'insegnamento scolastico. L'opera compilatoria fu poi proseguita e integrata
da un'intensa attività legislativa, rappresentata dalle
Novellae
Constitutiones (o semplicemente
Novellae), che Giustiniano
promulgò dal 534 fino all'anno della sua morte (565), apportando
innovazioni soprattutto in materia matrimoniale e successoria. Nel 554,
riconquistata l'Italia con la fine vittoriosa della guerra ventennale contro i
Goti, Giustiniano vi promulgò la sua compilazione con la
pragmatica
sanctio: l'Italia divenne in tal modo l'unica terra in Occidente depositaria
del diritto giustinianeo, e ciò fu decisivo per la storia della
civiltà giuridica. ║
Concetti e partizioni fondamentali: la
norma giuridica
r. è indicata dal termine
ius:
iustus
è di conseguenza l'atto o il rapporto conforme al diritto positivo,
mentre
legitimus è l'atto o il rapporto sancito da una
lex.
Fine supremo del diritto
r. è l'
aequitas, che consiste
nell'applicare pari trattamento giuridico in causa pari e che permea lo stesso
ordinamento giuridico. Con l'evoluzione della coscienza giuridica furono
considerati iniqui quegli istituti dello
ius civile che non
corrispondevano più alle nuove esigenze; pertanto si dice che lo
ius
honorarium, interprete della nuova coscienza sociale, ha il suo fondamento
nell'
aequitas ed è diretto alla sua attuazione. La
discriminazione, di ascendenza ellenica, fra
ius scriptum e
ius non
scriptum non ebbe di fatto rilevanza pratica: molto più importante, e
ricca di conseguenze, fu invece la distinzione fra
ius publicum e
ius
privatum. Nel periodo quiritario, la
civitas non era il solo
organismo politico; al di sotto di esso, la
gens e la
familia si
configuravano egualmente come gruppi politici. Di conseguenza, la differenza fra
diritto pubblico e diritto privato era non di sostanza, ma riguardava i campi di
applicazione. In seguito all'attenuazione e alla scomparsa degli organismi
minori si fece meno evidente anche la differenza tra il diritto pubblico, che
regola l'attività dello Stato, e il diritto privato, che si limita
all'interesse dei singoli. Sono indicate come
ius publicum anche le norme
imperative che, in contrapposizione alle norme dispositive, non possono essere
derogate dalla volontà delle parti. Altra importante distinzione,
tuttavia non originaria, è quella fra
ius civile,
ius gentium
e
ius naturale. All'età classica risale la dicotomia fra
ius civile, cioè il diritto del popolo
r., e
ius
gentium, che è il diritto inteso come complesso di norme che non sono
esclusive di Roma e possono perciò essere applicate tanto a cittadini
quanto a stranieri. Infine, nel diritto giustinianeo, sotto l'influenza
prevalente del Cristianesimo, alla dicotomia classica si sostituì una
tripartizione: si cominciò a parlare infatti anche di uno
ius naturale
quod natura omnia animalia docuit, attraverso il quale si ottiene la
conciliazione della schiavitù, istituto proprio dello
ius gentium,
con il principio cristiano dell'uguaglianza tra gli uomini. ║
Soggetti
di diritto - La persona e la capacità giuridica: la distinzione
fondamentale è quella fra uomini
liberi e
servi. Soggetto
del diritto è l'uomo libero, cittadino
sui iuris, in possesso
cioè dei tre
status (
libertatis,
civitatis, di
pater familias). Lo
status libertatis e lo
status civitatis
si acquistano per nascita o liberazione dalla schiavitù;
pater
familias è chi non ha ascendenti viventi in lato maschile. Per
contro, il
servus (schiavo) è ritenuto oggetto di diritto, alla
stessa stregua delle cose. Ciò nonostante, il principio
dell'incapacità giuridica del
servus non è assoluto: egli
ha infatti piena capacità penale, cioè è destinatario delle
norme penali; inoltre, nel corso dell'età imperiale furono ammesse
deroghe al principio dell'assoluta incapacità giuridica del
servus, al quale era peraltro riconosciuta la capacità di agire,
cioè l'idoneità a compiere atti produttivi di effetti giuridici.
Infine, la schiavitù non era, nel diritto
r., una situazione
immodificabile, in quanto il padrone cui lo schiavo apparteneva poteva rendere
al medesimo la libertà (
manumissio), atto in seguito al quale il
servus acquistava la normale capacità giuridica, salvo alcune
limitazioni espressamente previste. Quanto all'uomo libero, il venir meno di uno
dei tre
status essenziali determinava la perdita (
capitis deminutio
minima,
media o
maxima) della capacità giuridica. In
genere, il diritto riconosce anche capacità giuridica sia ad associazioni
di persone riunite per uno scopo che trascende quello dei singoli associati
(corporazioni), sia a un patrimonio destinato a uno scopo (fondazioni): il
diritto
r. conosce tuttavia soltanto le prime (fra le quali il
populus
r. e organismi politici minori come il
municipium,
il
forum, il
vicus), mentre le seconde non hanno capacità
giuridica in sé, ma sono collegate sempre a una persona fisica
(
fiscus,
hereditas iacens). ║
Oggetti di diritto:
l'oggetto di diritto è designato col termine
res, che indica tanto
le cose corporali quanto i servigi e le prestazioni immateriali; il diritto
r. distingue le
res extra patrimonium (che non sono suscettibili
di rapporti giuridici privati) e le
res in patrimonio: le prime sono a
loro volta suddivise in
res divini iuris e
humani iuris; le
res
in patrimonio sono distinte in
res mancipi (cose di importanza
sociale) e
res nec mancipi, in cui è prevalente la sfera d'azione
individuale; sono inoltre comuni ulteriori tipi di suddivisione, fondati su
principi di carattere economico-sociale e variabili quindi con il mutare delle
esigenze. ║
Il negozio giuridico: i
R. non elaborarono mai
una teoria generale del concetto di negozio giuridico. Nelle fonti romanistiche,
il problema più importante riguarda la volontà e la sua
manifestazione. Il diritto più antico conobbe soltanto negozi formali,
solenni: l'uso delle formalità prescritte esimeva quindi da ogni analisi
sulla volontà. Con l'evoluzione giuridica furono introdotti accanto a
tali negozi (
iudicia stricti iuris) gli
iudicia bonae fidei, nei
quali era lasciato spazio alla volontà delle parti. Lo
ius civile
conosceva poi due sole possibilità: negozio giuridico perfetto o negozio
nullo. Lo
ius honorarium ne tradusse l'annullabilità, nei casi di
volontà presente, ma viziata. Con il diritto giustinianeo la distinzione
passò infine sul terreno sostanziale: nullo si definisce il negozio che
si deve considerare mai posto in essere, annullabile quello che è valido,
ma il cui annullamento può essere provocato dall'interessato. La
rappresentanza nei negozi non è prevista nel diritto
r., eccetto
nella forma del
procurator omnium bonorum. Atto illecito è l'atto
lesivo di un diritto altrui: la volontarietà dell'atto costituisce la
colpa (
culpa), la lesione provocata il danno (
dolum); la colpa
è detta contrattuale se sussiste un rapporto con la persona lesa,
extracontrattuale se tale rapporto è assente. Mentre nell'illecito
extracontrattuale si risponde per
dolo e per
culpa, nell'illecito
contrattuale si distinguono i giudizi infamanti, nei quali la
responsabilità è limitata al dolo, dagli altri rapporti, nei quali
viene addossata al debitore una parte obiettiva di rischio per certi determinati
eventi. Esula invece da ogni responsabilità il
casus fortuitus,
anch'esso distinto però in
casus cui resisti potest e
cui
resisti non potest. Caratteristica fondamentale del diritto quiritario
è la sostanziale vicinanza dei diritti reali e di quelli di famiglia,
poiché entrambi trovano la loro determinazione nella potestà del
pater familias sulle persone e sulle cose del gruppo; per contro, con
l'evoluzione del diritto classico e giustinianeo, i diritti reali e obbligatori
rientrano nella sfera dei diritti patrimoniali. ║
Famiglia e
matrimonio: secondo la teoria prevalente, la
familia agnatizia
costituirebbe il gruppo politico antecedente alla
civitas. L'espressione
familia indica comunemente il capo di casa (
pater familias) e il
complesso delle persone soggette alla sua autorità (
familia proprio
iure): oltre ai
servi, considerati alla stregua di cose, i
discendenti immediati e mediati non emancipati (cioè non affrancati
tramite l'
emancipatio dalla sua potestà), la moglie e le nuore. Il
pater familias ha infatti sui suoi sottoposti un ampio potere coercitivo
e punitivo, che arriva a comprendere il diritto di vita o di morte (
ius vitae
et necis). Morto il
pater familias, i discendenti immediati divengono
a loro volta capi di casa; resta tuttavia un vincolo comune fra tutti coloro che
sono stati sotto uno stesso
pater, che in epoca più tarda diede
luogo alla
familia communi iure. I poteri del
pater familias sugli
appartenenti al gruppo sono analoghi a quelli del capo di un gruppo politico e
sono praticamente illimitati: infatti, i modi di ingresso nella
familia
(nascita, adozione e rogazione) sono simili a quelli di ingresso nella
civitas; nei suoi tratti originari, il
dominium ex iure Quiritium
si configura come l'esercizio della sovranità sul territorio del gruppo.
L'eredità, in origine successione testamentaria, si configura come la
designazione del successore nella sovranità del gruppo, e soltanto
più tardi si afferma il principio che
singuli singulas familias
incipiunt habere. La famiglia ha i suoi
sacra, i suoi
iudicia
domestica, i suoi
mores. Dal punto di vista patrimoniale il
pater è unico titolare del patrimonio, e a lui sono devoluti gli
acquisti fatti dal
filius familias o dal servo. Peraltro, va ricordato
che l'incapacità giuridica del
filius sottoposto
all'autorità del padre non concerne il diritto pubblico, in quanto in
quest'ambito i figli hanno gli stessi diritti del padre ad accedere alle
pubbliche cariche (
ius suffragi e
ius honorum). Inoltre,
soprattutto nel periodo fra Costantino e Giustiniano, decadono gli aspetti
più drastici del potere del
pater ed è consentito al
filius di avere un proprio patrimonio (
peculium). Presupposto
della
familia è il matrimonio, mezzo giuridico per cui una donna,
sui o
alieni iuris, entra in una nuova famiglia con la funzione di
procurare, al
pater familias o a un suo sottoposto di condizione libera,
una discendenza legittima. Il matrimonio può portare o meno alla
sottomissione della donna al
pater familias: si ha soggezione se si attua
la
conventio in manu (tramite la
confarreatio e la
coëmptio), mentre in assenza di questa la donna entra nella famiglia
solo attraverso una sorta di usucapione (
usus), rimanendo un anno in casa
del marito. I due diversi tipi di matrimonio, con
manus o senza, incidono
sui rapporti della donna con la famiglia del marito: se è avvenuto
sine manus, la donna si considera come mai uscita dalla sua famiglia
d'origine ed è quindi un'estranea per i suoi stessi figli (il rapporto di
parentela materna è detto
cognatio, mentre la parentela per via
maschile è l'
agnatio); se è avvenuto con
manus, la
donna entra nella nuova famiglia come se fosse una figlia (
in loco
filiae) ed è perciò ritenuta fittiziamente agnata dei suoi
figli. In ogni caso, per quanto riguarda la natura giuridica del matrimonio,
essa rimane sempre quella di una mera situazione di fatto, assimilabile al
possesso. Per contro, nel tardo Impero la famiglia cognatizia si sostituisce
progressivamente a quella agnatizia e il termine
familia passa a indicare
la famiglia naturale, sorta con il matrimonio e con la procreazione legittima.
Due sono gli elementi del matrimonio
r.: l'
affectio maritalis, la
volontà di vivere come marito e moglie, e la convivenza effettiva. Il
venir meno di uno solo dei due elementi determina la cessazione del vincolo
matrimoniale. Di conseguenza, la possibilità del divorzio è
implicita nella nozione stessa del matrimonio
r. e l'istituto sussiste
ancora nel diritto giustinianeo, pur fra critiche e riserve mosse dagli
imperatori cristiani. Altrettanto combattuto è il concubinato,
cioè la convivenza stabile con donna libera, senza l'
honor
matrimonii. Il regime patrimoniale del matrimonio è quello dotale:
nel diritto classico il marito è proprietario della dote, mentre nella
fase imperiale ne diviene solo l'amministratore; del resto, in caso di
scioglimento del vincolo il marito può essere convenuto per la
restituzione della dote con l'
actio rei uxoriae. ║
Proprietà e possesso: quanto alla proprietà, manca nelle
fonti
r. qualsiasi sua definizione. Nella concezione originaria del
diritto
r. la proprietà come diritto individuale è molto
limitata: in particolare, i fondi coltivabili appartengono alla
collettività dei cittadini, cosicché, nella fase più
arcaica, la proprietà si identifica con la sovranità sulla cosa.
Un riflesso di tale concezione è presente nella fase del diritto
quiritario, in cui si distinguono tre tipi di proprietà: la
proprietà civile o quiritaria (
dominium ex iure Quiritium), la
proprietà provinciale (
usufructus o
possessio dei
praedia stipendiaria) e la proprietà pretoria o bonitaria (
in
bonis habere). La prima forma è soprattutto immobiliare e si afferma
sui fondi del territorio italico; i fondi delle province conquistate
appartengono invece allo Stato o al principe, perciò vengono assegnati
attraverso una concessione, in pieno e trasferibile godimento dei singoli. Il
contenuto del diritto di godimento è di fatto molto ampio e la
proprietà provinciale si distingue dalla proprietà quiritaria solo
perché quest'ultima è immune da imposte fondiarie, mentre la
proprietà provinciale paga un tributo, a riconoscimento dell'alta
proprietà dello Stato. Quanto alla proprietà pretoria, essa
riguarda l'acquisto di una
res mancipi avvenuto senza il ricorso all'atto
formale di trasferimento, necessario a rendere l'acquirente
dominus ex iure
Quiritium, e fu introdotta dal pretore per tutelare tale genere di
acquirente, garantendogli un'azione per difendersi contro il proprietario. Si
distinguono modi d'acquisto originari e derivativi, a seconda che l'acquisto
nasca, o meno, attraverso un rapporto con il precedente titolare, rapporto che
giustifica appunto l'acquisto (
causa). Un posto a sé occupa
l'usucapione: nel diritto giustinianeo esso risulta dalla fusione
dell'
usucapio (per i fondi in territorio italico) e della
longi
temporis praescriptio (per i fondi in territorio provinciale). Degno di nota
è poi l'istituto del condominio: a una fase più antica, in cui
ogni condomino poteva disporre liberamente della cosa, si sostituì in
epoca classica il principio della proprietà per parti ideali. Le
limitazioni legali, rare nel diritto classico, dilagarono poi nel diritto
giustinianeo. Quanto alla servitù, per i
R. indicava soltanto il
peso imposto a un fondo a vantaggio di un altro fondo (servitù prediali),
mentre l'origine delle
servitutes personarum risale ai compilatori
giustinianei, i quali, snaturando il concetto originario, le introdussero
accanto alle servitù prediali. Caratteristiche della servitù
prediale sono l'inalienabilità e l'indivisibilità, distinte in
rustiche e urbane. L'usufrutto e l'uso sono diritti personali di godimento della
cosa altrui. Nell'età postclassica si collocano, fra gli
iura in re
aliena, anche l'enfiteusi e la superficie. Il possesso è la fisica
disponibilità della cosa con l'intenzione di averla come propria;
è difeso mediante la protezione interdittale
(V. INTERDETTO) e,
se accompagnato da determinati requisiti, conduce all'usucapione. È una
semplice signoria di fatto, protetta dal diritto non in quanto si riscontri nel
possessore una legittimazione a tale protezione, ma per la conservazione della
pace sociale. Col diritto giustinianeo,
possessio diviene soltanto quella
del
dominus, o di chi crede in buona fede di esserlo (
animo
domini). Il semplice possesso di fatto è assimilato alla detenzione.
Infine, mentre i
R. non conoscevano che il possesso delle cose corporali,
nel Basso Impero fu introdotta la
quasi possessio, considerando e
tutelando come tale l'esercizio di un diritto reale da parte di chi non ne fosse
titolare. ║
Obbligazioni e contratto: i
R. ebbero chiara la
distinzione fra i diritti che si concretano in una signoria immediata sulla cosa
(diritti reali) e le obbligazioni, cioè diritti che si soddisfano
attraverso la collaborazione di un soggetto (debitore) legato da un vincolo a un
altro soggetto (creditore): l'obbligazione è definita infatti come
iuris vinculum quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei. Tale
definizione rimanda a una fase originaria in cui il vincolo non era giuridico,
bensì materiale: infatti, l'originario
obligatus era asservito a
titolo di pena, nelle obbligazioni da delitto, oppure a titolo di garanzia,
quando interveniva la
pactio o quando il
filius o
servus
veniva consegnato dal
pater familias mutuatario fino al pagamento del
debito. Residuo del più antico regime dell'
obligatio è la
noxae deditio, la consegna del figlio o del servo colpevole a chi ha
ricevuto l'offesa, con la quale il
pater familias si libera da ogni
responsabilità. È definito
contractus quell'accordo di
volontà cui il diritto riconosce la possibilità di costituire un
vincolo obbligatorio,
delictum quella lesione che il diritto riconosce
fonte di obbligazione. Nel diritto antico, la costituzione di obbligazioni
contrattuali richiedeva forme solenni, prevalentemente orali; più tardi,
accanto a questi sorsero altri contratti formali e letterali. Già prima
del periodo classico, inoltre, si riconobbe carattere di contratto ad alcune
cause di obbligazione, indipendentemente da forme tipiche e solenni; sorsero,
così, i contratti reali e consensuali. Nell'età postclassica si
riconobbero come contratti molti negozi, che vennero compresi genericamente
sotto il nome di contratti innominati (
do ut des,
do ut facias,
facio ut facias, ecc.). Si distinguono ancora contratti a titolo oneroso o a
titolo gratuito, a secondo che la causa giustificativa dell'acquisto
rappresenti, o no, una corrispondente perdita. I contratti a favore di terzi
sono nulli. L'obbligazione si può estinguere
ipso iure o
ope
exceptionis; altre cause di estinzione sono la
datio in solutum, la
novazione, la compensazione, la confusione. ║
Eredità e
successione: la successione
r. consisteva nel subingresso di una
persona nella posizione giuridica precedentemente occupata da un altro soggetto.
La successione si attuava solamente in alcuni casi particolari, quali
l'arrogazione (V.), la
conventio in manum a
favore del
pater familias coëmptionator, la riduzione in
servitù a favore del
dominus (tutti casi di successione
inter
vivos), l'
hereditas. È opinione ormai consolidata che
l'
hereditas, nella sua primitiva funzione, dovesse servire al trapasso
della sovranità sulla
familia: nata quindi come designazione
dell'erede per mezzo del testamento, essa rimase comunque trapasso di
sovranità anche quando la morte del
pater familias cominciò
a determinare la fine dell'unità familiare. Nel sistema del diritto
r. non solo prevale la successione testamentaria ma, a differenza di
quanto in genere previsto nel diritto degli Stati moderni, è escluso che
tale forma di successione possa concorrere con quella legittima
sull'eredità (
nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere
potest): in base a questo principio, all'erede istituito limitatamente a una
parte del patrimonio è assegnato l'intero patrimonio ereditario. La forma
più antica di testamento, abbandonata alla fine della Repubblica,
è quella detta
calatis comitiis: consisteva nell'adozione di un
pater familias da parte di chi era privo di discendenti legittimi
attraverso la procedura della rogazione, compiuta in presenza dei comizi
curiati. In epoca classica era in uso il testamento
per aes et libram, da
cui derivò il testamento pretorio. In mancanza di testamento, aveva luogo
la successione
ab intestato. Nelle XII Tavole l'ordine di successione
è:
sui,
adgnatus proximus,
gentiles. L'opera del
pretore finì per sostituire al vincolo agnatizio il vincolo di sangue
(cognatizio). Sorse così la
bonorum possessio, alla quale erano
chiamati nell'ordine: i
liberi o
discendenti, i
legitimi, i
cognati, il coniuge superstite. Nel diritto giustinianeo, l'ordine dei
successibili è stabilito dalle Novelle 118 e 127: discendenti;
ascendenti; germani, germane e loro figli; fratelli e sorelle unilaterali; gli
altri parenti più prossimi. Mentre nel diritto si considera erede colui
che è chiamato a succedere nella totalità o in una quota di beni
singoli, nel diritto
r. erede è colui a cui è attribuito il
titolo. ║
Processo civile: caratteristica fondamentale del processo
civile, strumento di tutela del diritto, è il suo carattere volontario e
privato, in ogni sua fase. Lo Stato intervenne solo tardi e con molte
limitazioni: l'intervento più importante fu la divisione del processo in
due stadi:
in iure (dinanzi al magistrato) e
in iudicio (dinanzi
al giudice arbitro). Le tre fasi del processo civile in cui si manifesta la
progressiva ingerenza dello Stato sono le
legis actiones,
le
formulae,
la
cognitio extra ordinem. Nel II sec. a.C. una
lex Aebutia introdusse, o almeno legittimò, un nuovo
modus
procedendi, che prese il nome di procedimento formulare, e che era
caratterizzato dal fatto che, al momento della
litis contestatio, il
magistrato consegnava al giudice un'istruzione scritta nella quale erano esposti
i fatti (
demonstratio), il diritto accampato dall'attore
(
intentio) e l'ordine alternativo di condannare o di assolvere a seconda
che i fatti fossero veri o no (
condemnatio). Il procedimento
extra
ordinem era caratterizzato infine dall'assenza della distinzione nelle due
fasi
in iure e
in iudicio. In seguito a tali modificazioni e
all'intervento sempre maggiore da parte dello Stato, il processo, diretto dal
principio alla fine dal magistrato, si configura come una funzione statale.
• Dir. pen. - Fin dalle origini si procedette a Roma a una duplice
repressione contro i reati: infatti fra gli atti che suscitavano la riprovazione
della coscienza comune si distinse fra reati pubblici, diretti cioè
contro la
civitas (
crimina) e delitti contro privati (
maleficia
o
delicta). Il delitto pubblico implica una vera e propria lesione
del bene comune e si configura come offesa recata a tutta la comunità:
pertanto la città stessa interviene direttamente o attraverso i suoi
organi. Il delitto privato si configura invece come offesa arrecata al diritto
individuale, che determina la necessità di una riparazione: in origine
questa assunse la forma di vendetta privata, assolutamente discrezionale e
incontrollata; in un secondo momento si strutturò invece sul modulo del
«taglione» (diritto attribuito alla parte lesa di arrecare all'autore
del delitto un'offesa pari a quella da lui ricevuta); infine, in età
classica, il delitto privato divenne riscattabile mediante composizione
pecuniaria, dapprima libera, poi fissata. In tal modo il diritto penale privato
divenne progressivamente una branca del diritto delle obbligazioni. La
repressione criminale restò invece sempre monopolio della
civitas.
Con la Repubblica, la giurisdizione criminale venne accentrata nelle mani
dei magistrati, in particolare dei questori; nello stesso tempo, però, in
seguito al sorgere e agli sviluppi della
provocatio ad populum si
cominciò ad attribuire ai comizi la pronuncia sui reati capitali. Una
riforma che trasformò completamente il processo e lo stesso diritto
penale fu apportata all'epoca dei Gracchi, con l'introduzione delle
quaestiones perpetuae, cioè di particolari commissioni d'inchiesta
con competenza esclusiva su determinati reati (V.
QUAESTIO). I legislatori successivi, in
particolare Cesare e Augusto, perfezionarono il sistema e inclusero nelle
quaestiones reati fino ad allora esclusi. Fra i crimini previsti nelle
quaestiones (
crimina ordinaria) particolarmente importante era la
maiestas, in cui Augusto comprese anche la
perduellio; altri erano
il peculato, al quale fu equiparato il
sacrilegium, e la
calumnia
(nei reati contro l'amministrazione della giustizia). Silla regolò
attraverso le
Leges Corneliae tutte le varie forme di omicidio e di
violenza pubblica, mentre sotto Augusto furono repressi i reati contro l'ordine
della famiglia. Tale sistema venne imitato talora anche nelle province, come
mostrano gli editti di Augusto ai Cirenei. Accanto ai crimini repressi dalle
quaestiones (
crimina ordinaria) fin dall'inizio del principato fu
previsto un complesso di altri delitti repressi direttamente dalla giurisdizione
del principe e dei suoi maggiori funzionari, prefetti della città o del
pretorio (
crimina extraordinaria). Il nuovo processo era inquisitorio, si
fondava cioè sull'iniziativa del magistrato, mentre nelle
quaestiones
era accusatorio; inoltre, le pene erogate erano assai più severe e,
dal II sec., applicate diversamente a seconda della classe sociale del reo;
è tuttavia innegabile che con il nuovo processo penale si tentò di
ottenere una maggiore proporzione della pena al delitto e di tenere in maggior
considerazione il fattore intenzionale. Nel III sec. la procedura
extra
ordinem era ormai la sola vigente, in considerazione del concetto di
autorità giurisdizionale del principe. • Dir. pubbl. - In
età storica, Roma si configura già come una
civitas
(città-stato), costituita con tutti i suoi organi e con un territorio sul
quale esercita la sovranità: è però probabile che nella
fase più arcaica, anteriore a tale ordinamento, le
familiae,
le
gentes e le tribù costituissero entità politiche
autonome. Quanto alla posizione occupata in seno alla
civitas dalla
plebe, si tratta di un problema irrisolto, in quanto, benché non risulti
che fosse mai stata priva del fondamentale diritto di cittadinanza, l'esclusione
in età storica dal
commercium e dal
connubium induce a
credere che in una fase primitiva fosse considerata estranea alla
civitas. La tradizione attribuisce a Roma fin dalle sue origini i tre
organi fondamentali della città-Stato: il
rex, nominato
verosimilmente per cooptazione da parte del predecessore; il
senatus,
assemblea dei capi delle
gentes; i
comitia curiata, l'assemblea
del popolo in armi, a organizzazione ternaria, sulla base delle trenta
curiae e delle tre tribù primitive (
Ramnes,
Tities,
Luceres). Al re, organo prevalente della costituzione
primitiva, spettava un ampio potere esecutivo, rafforzato dal suo ruolo di
interprete della volontà degli dei per tutta la
civitas:
i
suoi poteri furono ulteriormente accresciuti durante la dominazione etrusca, la
quale favorì anche l'affermarsi delle caratteristiche
dell'
imperium del re, che vennero poi ereditate dai magistrati della
Repubblica. Al Senato spettava soprattutto, in un periodo in cui i comizi non
avevano il potere legislativo, l'
interregnum nel caso di morte del
sovrano senza che questi avesse cooptato un successore; in seguito gli fu
attribuita anche la ratifica delle deliberazioni comiziali. Per quanto riguarda
i comizi curiati, non pare che essi avessero altra funzione che l'assistenza
agli atti che introducessero mutamenti nella compagine della città-stato
e dei gruppi politici che la componevano. Rovesciata la Monarchia di tipo
etrusco e ridotte le attribuzioni della Monarchia latina, un'evoluzione che non
è possibile ricostruire con tutta chiarezza, portò al sorgere
della magistratura repubblicana dei due
praetores, poi
consules;
si trattava di una magistratura a carattere collegiale, caratterizzata dal fatto
che l'
intercessio opposta da uno dei due consoli aveva il potere di
annullare le decisioni prese dall'altro. La Costituzione repubblicana
subì quindi una graduale trasformazione, determinata soprattutto dalla
partecipazione della plebe alla cittadinanza, e dalle sue rivendicazioni nei
confronti dei patrizi. L'organo del quale la plebe si valse a questo scopo fu il
tribunato della plebe: i tribuni avevano infatti il diritto di opporre il veto
alle decisioni prese dagli organi controllati dai patrizi, che ritenevano
contrarie agli interessi della plebe. Benché i particolari
dell'evoluzione costituzionale repubblicana in questa fase non siano del tutto
chiari, alcuni elementi risultano certi: fra essi sono il precisarsi dei compiti
dei consoli, ai quali vennero affiancati altri magistrati con competenze
specifiche; lo sviluppo delle tribù da personali a locali, con la
distinzione in rustiche e urbane; la nascita dei comizi tributi, in cui patrizi
e plebei erano parificati in proporzione della relativa proprietà
fondiaria. L'
imperium in pace e in guerra spettava ai consoli e poteva
essere prorogato per impieghi nei territori di conquista (proconsolato); le
funzioni degli altri magistrati erano invece limitate al territorio
r.
Con il progressivo diradarsi del patriziato e il pareggiamento dei due ordini si
arrivò alla formazione di una nuova
nobilitas, costituita da
quelle famiglie i cui membri coprivano pressoché costantemente le massime
magistrature, e che costituiva il nucleo del Senato, massimo organo della
Costituzione repubblicana. A quest'ultimo era attribuita una funzione politica
consultiva, attraverso l'emanazione dei
senatoconsulti: tuttavia, dal
momento che tali deliberazioni erano vincolanti per il magistrato, il Senato
assunse di fatto il controllo della politica estera e finanziaria. Al Senato
spettava inoltre l'organizzazione delle province, considerate territori
soggetti, secondo il criterio dello stato patrimoniale, salvo il rispetto delle
città-stato preesistenti. Per quanto riguarda più in particolare
il territorio italico, il sistema delle
civitates sine suffragio venne
abbandonato relativamente presto, per adottare il sistema del
foedus
aequum o
iniquum, insieme all'istituzione di colonie agricole e
militari. Le altre assemblee del periodo repubblicano erano i comizi, centuriati
e tributi. Questo ordinamento costituzionale entrò in crisi nel II sec.
a.C., a causa delle nuove esigenze della piccola proprietà fondiaria e
della nuova classe dei cavalieri che, arricchitasi con il commercio e l'appalto
delle imposte nelle province, si appoggiò al proletariato urbano per
mutare a proprio favore l'ordinamento esistente. A tale fenomeno si aggiunsero
la frequenza dei comandi militari straordinari, che consentì a
personalità dominanti di utilizzare l'esercito
r. quasi come
milizia personale, mobilitandolo al fine di impossessarsi del potere; le
numerose leggi agrarie, nel tentativo di risolvere il problema delle
distribuzioni di terre; i movimenti politici diretti a trasferire il potere ai
cavalieri e ai tribuni della plebe; infine, la restaurazione sillana, con la
quale i magistrati divenivano meri organi del Senato. Un passo fondamentale
nell'evoluzione del diritto fu la concessione della cittadinanza agli Italici,
estesa poi da Giulio Cesare alla Gallia Cisalpina. La crisi repubblicana
sfociò, dopo la battaglia di Azio, nel principato di Augusto, il cui
merito, rispetto al nuovo ordinamento, consistette nello svincolare il proprio
potere dall'organismo costituzionale dello Stato: formalmente non fu annullato
né modificato alcun organo del regime repubblicano, ma accanto ad essi si
pose la nuova figura del
princeps, la cui
auctoritas derivava
dall'aver posto termine alle guerre civili e dal prestigio di cui godeva fra la
cittadinanza e l'esercito. All'
imperator spettavano la
tribunicia
potestas, che gli conferiva il potere di opporre l'
intercessio alle
iniziative magistratuali contrarie agli interessi del principato, e
l'
imperium proconsulare maius, che gli dava il comando delle milizie
fuori Roma. Con il principato si affermò gradualmente un nuovo spirito
nell'amministrazione delle province, sempre più protette dagli interventi
del Senato, che favorì un nuovo equilibrio e un graduale livellamento del
vasto territorio dominato da Roma. Ma, nei fatti, l'imperatore assommava in
sé un tale complesso di poteri, che necessariamente privò di ogni
effettiva ingerenza e autorità gli organi della Costituzione
repubblicana. In particolare, con l'età degli Antonini ebbe luogo un
progressivo affermarsi dell'assolutismo imperiale, che, dopo la crisi del III
sec., culminò nella riforma dioclezianea. Dopo la concessione della
cittadinanza
r. a tutti i cittadini dell'Impero da parte di Caracalla
(212), Diocleziano abolì di fatto ogni distinzione tra suolo italico e
provinciale. Egli inoltre favorì la formazione di una vasta gerarchia
civile e militare, che faceva capo soltanto all'imperatore e attraverso la quale
vennero definitivamente soppresse le ultime caratteristiche della magistratura
repubblicana. Ormai, l'imperatore è
dominus e
legibus
solutus, in quanto legge egli stesso; la divisione in classi della
popolazione
r. ha un significato solo amministrativo e gli stessi
funzionari sono un'emanazione diretta dell'
imperator, non più
organi propri dello Stato.