(dal latino
revelare: togliere il velo). Atto ed effetto del rivelare
qualcosa o del rivelare se stessi, cioè del rivelarsi. ║ L'oggetto
stesso della comunicazione, la notizia, la cosa rivelata:
ha fatto
un'importante r. ║ Per iperbole, scoperta inattesa e sensazionale,
fatto inaspettatamente reso noto, notizia che produce effetti di particolare
stupore, manifestazione, in una persona, di qualità insospettate. Detto
anche della persona stessa di cui si vengano a scoprire doti nascoste:
sei
una vera r.! ║ Azione libera e volontaria della divinità che
comunica e rivela se stessa all'uomo. • Elettr. - L'atto e l'effetto
dell'individuare un fenomeno o un oggetto:
r. di particelle. Procedimento
mediante il quale si trae da un segnale modulato il segnale modulante, mediante
l'applicazione del primo ad appositi circuiti detti rivelatori. • Dir. -
Tipologia di ipotesi di reato contraddistinta da divulgazione indebita e
illecita di notizie riservate o segrete. ║
R. del contenuto di
documenti segreti: divulgazione, a proprio o altrui profitto, di notizie
apprese abusivamente mediante visione di atti, documenti o supporti informatici,
pubblici o privati, non compresi nella categoria della corrispondenza ma
protetti da riservatezza. Tale delitto è punibile dietro querela per
l'inviolabilità dei segreti, ai sensi dell'art. 621 Cod. Pen. e della
successiva L. 23-12-1993, n. 547. ║
R. di segreti di Stato:
divulgazione di notizie di carattere segreto concernenti la sicurezza dello
Stato, la cui
r., appunto, può comportare danno per la sicurezza e
l'integrità dello Stato democratico. Tale delitto, contro la
personalità dello Stato, è punito d'ufficio con un periodo di
reclusione non inferiore a cinque anni. ║
R. di segreti di ufficio:
delitto commesso da pubblico ufficiale o da persona incaricata di un pubblico
servizio che, violando i doveri inerenti alle sue funzioni e servizio, o
comunque abusando della propria qualifica, divulga o agevola la diffusione di
notizie protette dal segreto. ║
R. di segreti scientifici o
industriali: divulgazione e impiego, a proprio o altrui profitto, di
notizie, scoperte, invenzioni scientifiche o applicazioni industriali destinate
a rimanere segrete, da parte di chi ne abbia avuto conoscenza in ragione del
proprio ufficio, professione o arte. Tale delitto è punito dietro querela
della parte offesa. ║
R. di segreto professionale: divulgazione,
senza giusta causa o per profitto, di notizie inerenti a segreti professionali
da parte di chi ne abbia avuto conoscenza in forza del proprio ufficio,
professione o arte. Il delitto è punito dietro querela della parte offesa
che ne abbia tratto nocumento. ║
R. di corrispondenza:
divulgazione, totale o parziale, del contenuto di corrispondenza chiusa o di
comunicazioni telegrafiche e telefoniche da parte di persona non destinataria
delle medesime. Il delitto è punito, se fonte di nocumento, con
reclusione e multe di entità variabile. • St. delle rel. - Nella
fenomenologia storico-religiosa, la
r. comporta per l'uomo il passaggio
da uno stato di conoscenza carente a uno di maggiore o totale compiutezza. Il
termine designa l'evento, il momento o il modo in cui è sollevato il velo
che teneva nascosta alla ragione dell'uomo una determinata verità,
indipendentemente dal suo grado di diretta attingibilità razionale. Il
concetto di
r. è attestato nell'ambito religioso fin dalle
esperienze più antiche e indica il raggiungimento da parte dell'uomo di
una conoscenza di Dio: tale conoscenza presupponeva sempre un contatto tra la
divinità stessa e l'uomo, che si verificava mediante sogni, visioni,
estasi, esperienze mantiche e presagi. In ogni sistema religioso, comunque, la
r. si configura come atto di libera volizione da parte della
divinità, anche quando essa sia stata sollecitata o impetrata dal fedele,
e pertanto implica una concezione della medesima come
ente
personale, ma trascendente, onnisciente, desideroso di manifestarsi
all'uomo. Il termine
r. può applicarsi alla manifestazione sia
dell'esistenza stessa e della natura delle divinità, sia all'espressione
della sua volontà o, ancora, di un complesso di verità altrimenti
inconoscibili per l'uomo. Nel primo caso, si possono distinguere alcune
tipologie di
r.: la
ierofania, manifestazione del divino in
fenomeni naturali impersonali e ingovernabili (ad esempio il fulmine, il vento,
l'eclissi, ecc.); la
teofania, manifestazione diretta di una
divinità personale (il roveto ardente biblico, mediante il quale Dio
parla a Mosè, l'apparizione di Cristo a san Paolo sulla via di Damasco,
ecc.); l'
epifania, manifestazione della divinità mediante atti e
gesti (l'adorazione dei Magi, il Battesimo di Gesù nel Giordano, il
miracolo alle nozze di Cana). Le ultime due accezioni sono venute col tempo a
coincidere. Molti sono invece i mezzi attraverso cui l'uomo ha creduto che la
divinità comunicasse la propria volontà o i propri intenti: sogni,
visioni, oracoli, divinazioni, ispirazioni che, direttamente o per segni,
rivelavano all'uomo fatti presenti ma a lui ignoti o eventi futuri. In molti
casi, poi, la comunicazione di una dottrina, cioè di un insieme coeso di
verità, precetti e riti, figurò come momento centrale e fondante
dell'esperienza religiosa e contenuto della
r. divina, assumendo spesso
forma scritta e codificata. Ad esempio, i libri sacri del Vedismo
(V. VEDA e
UPANISHAD) sono indicati con il vocabolo
s'ruti: ciò che è rivelato in quanto udito (dalla radice
s'r: udire); l'antichissimo e sacro libro dell'
Avesta
(V.) è frutto della
r. che Ahura
Mazdāh fece al suo profeta Zoroastro; gli scritti attribuiti dagli antichi
Egizi al dio Thoth, scriba degli dei, rivelarono agli uomini la sapienza divina.
È dunque esistita un'ampia coincidenza del concetto di
r. in
quanto parola scritta, implicante a sua volta le categorie di ispirazione,
profezia, tradizione e magistero, esercitato da un clero; sono tre tuttavia le
religioni definite, storicamente e per eccellenza, come
fondate e
rivelate: Ebraismo, Cristianesimo e Islam (secondo l'espressione di
Maometto, i tre popoli del Libro). ║ Per l'Islam, la
r. che Allah
volle fare al suo profeta è custodita nel Corano. Ebrei e cristiani
ritengono, in merito alle proprie scritture, che esse siano state composte da
santi uomini che agirono per ispirazione divina e ne esplicitarono i contenuti,
anche se in qualche modo lasciarono una traccia personale e contingente nelle
loro parole che non deve essere confusa con il nucleo dogmatico. Per i fedeli
dell'Islam, invece, il libro sacro non fu scritto da mano umana, né da
Maometto né da alcun altro, ma fu direttamente rivelato dall'angelo
Gabriele e il suo archetipo, di cui il Corano terreno è copia perfetta e
immutabile, è custodito in cielo (V.
CORANO). Ciò spiega la necessità,
per i credenti musulmani, di considerare le
sura coraniche anche nel
senso letterale e di attenervisi scrupolosamente, in quanto espressione diretta
e non mediata della volontà e dei precetti di Allah. ║
Nell'Ebraismo, trascendenza e immanenza di Dio sono entrambe sviluppate e
coniugate. In quanto trascende la sua creazione, Dio non può essere
direttamente percepito dall'uomo («nessuno può vedere Dio e poi
vivere»,
Esodo 33, 20), ma in quanto onnipresente e immanente alla
storia Egli si autocomunica. Nella Bibbia la
r. non coincide solo con la
creazione (sia come atto sia come effetto), ma è un evento radicale, una
manifestazione di Dio in quanto «non noto», che non solo esplicita la
sua volontà e il suo disegno, ma anche la sua natura
etica di
Signore della storia, sollecito verso l'uomo. Yahvé, infatti, si svela
nelle precise vicende storiche del popolo ebreo: la chiamata di Abramo dalla
terra di Ur, la liberazione dalla schiavitù in Egitto, l'Alleanza stretta
sul monte Sinai, la conquista della Terra Promessa. Mediante tale
prossimità di Dio, il suo popolo poté riconoscerne le
qualità: santità, assolutezza, trascendenza, potenza,
fedeltà, ecc. Le forze della natura che i Semiti, popolazioni vicine a
quella ebraica, identificavano direttamente con la divinità, divennero
per Israele elementi rivelatori degli attributi di Dio, mentre la creazione
stessa diveniva l'espressione intelligibile della sua natura: «narrano i
cieli la gloria di Dio, le opere sue proclama il firmamento» (
Salmi
19, 1-2).
L'Antico Testamento offre numerose affermazioni circa le
manifestazioni di Yahvé al popolo di Israele. Egli è innanzi tutto
il Dio nascosto che rimane comunque velato, almeno in parte, perfino ai
più grandi tra i «mediatori» della
r.: Mosè,
Elia, Isaia, ecc.; allo stesso modo, i suoi disegni sono celati agli uomini, a
meno che Dio stesso non li voglia rendere palesi (
Deuteronomio 29, 29
dice che «le cose nascoste appartengono a Yahvé, ma quelle rivelate
sono per noi»). Ogni manifestazione divina resta dunque misteriosa, anche
quando si propone attraverso la figura antropomorfa dell'«angelo del
Signore»: questi sarebbe, secondo l'esegesi, una ipostasi di Dio stesso, di
cui la Bibbia riporta alcune apparizioni in forma umana. Ne sono esempio le
visite ad Abramo dei tre viandanti, che sostano alla sua tenda e gli annunciano
la nascita di un figlio, e quella dell'angelo che ferma la sua mano pronta a
sacrificare Isacco (
Genesi 12) o la lotta notturna sostenuta da Giacobbe,
cui l'angelo diede poi il nome di Israele: «egli lotta con Dio» (dalla
radice
sr: essere forte e
El: signore, nome semitico della
divinità). Più spesso però, Yahvé comunica
attraverso visioni profetiche e i sogni. La grandezza e potenza di Dio fu
pienamente rivelata al popolo ebraico nell'esperienza storica della liberazione
dalla schiavitù in Egitto, tanto che l'espressione «Colui che ci
fece uscire dal paese d'Egitto» divenne un attributo stabile del nome di
Dio, memoriale di tale
r. Anche nel momento culminante della teofania
concessa a Mosè, tuttavia, Yahvé indicò chiaramente la
Parola come via privilegiata della comunicazione di sé e dei suoi
precetti. La
Tōrāh non corrisponde solo al concetto legalitario
del
nomos greco, ma rappresenta la parola che Dio ha pronunciato
direttamente, il contenuto ineludibile della
r. Quest'ultima si verifica
sia mediante le parole (rivelate e conservate nelle tavole della legge) sia
attraverso gli atti (Dio, Signore della storia, non solo spiega gli eventi ma ne
è l'artefice), che si chiariscono tra loro, perché la
r.
è verbale e storica: Dio si manifesta nella creazione e nella storia del
suo popolo e parla all'uomo.
Oltre al Pentateuco, perciò,
l'Ebraismo riconosce come
r. di Yahvé anche gli scritti dei
profeti (Isaia, Geremia, Ezechiele, Osea, Gioele, Amos, ecc.), che Dio ha
chiamato e ai quali si è rivelato direttamente perché essi fossero
mediatori nei confronti del popolo dei suoi precetti e ammonimenti (
r.
mediata). ║ Il Cristianesimo riconosce la piena
r. di Dio in
Gesù Cristo: il Nuovo Testamento ne rappresenta nel medesimo tempo il
racconto e il contenuto: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui
al quale il Figlio abbia voluto rivelarlo» (
Matteo 11, 27). Paolo
per primo introdusse il concetto di gradualità della
r.,
quando scrisse che Dio, come aveva parlato in precedenza agli uomini per
mezzo dei profeti, parlò poi mediante il Figlio: attraverso parole e
gesti, Cristo aveva rivelato pienamente la volontà salvifica di Dio.
Nelle traduzioni greche degli scritti neotestamentari e negli originali in tale
lingua, il concetto di
r. è reso con il vocabolo omologo
apokálupsis: in tale contesto esso ha assunto tre accezioni fra loro
complementari ma non identiche. In un caso, infatti, il termine indica la
manifestazione delle verità della fede e della natura di Dio («le
cose occulte di Dio sono rivelate a noi per mezzo dello Spirito»,
I
Corinzi 2, 10); in un secondo caso definisce apparizioni o visioni
straordinarie (come quella a Paolo sulla via di Damasco o a Pietro in carcere);
nell'ultimo significato, infine, prevale l'indicazione del valore escatologico
della manifestazione finale di Cristo (
parúsia) nel momento del
giudizio (V.
APOCALISSE). I Vangeli conservano la testimonianza
delle verità rivelate agli apostoli, da essi ricevute come primi
destinatari e poi trasmesse e predicate a tutti gli uomini, in quanto mediatori
della
r. Oggetto della
r. sono la completa conoscenza del mistero
di Dio, che si è palesato in Gesù Cristo, e il Vangelo stesso, la
Buona Novella: Dio, che si era già comunicato all'uomo attraverso la
creazione, l'Alleanza particolare con il popolo ebraico e l'intervento diretto
nella storia, si manifesta totalmente in Cristo. Tuttavia tale
r. non
può essere compresa e accolta se non con un atto di fede e con
l'intervento dello Spirito (grazia). Per questo è necessaria la
mediazione della predicazione degli apostoli, ministri della
r.: non
bisogna deflettere dal loro insegnamento, cui deve essere conforme ogni
interpretazione e carisma («se qualcuno vi predica un Vangelo diverso dal
mio, sia scomunicato!»;
Galati 1, 9). Con la morte degli apostoli la
Chiesa ritiene completa e compiuta la
r., quale deposito di verità
cui nulla va tolto e nulla va aggiunto (secondo le parole di Ireneo,
Adversus
haereses III, iv,
1). Le verità rivelate, infatti, non vengono
direttamente comunicate da Dio a ogni uomo mediante l'intervento dello Spirito
Santo, ma giungono al credente nella sua contingenza storica attraverso la
mediazione della Chiesa, in cui tali verità sono custodite e discendono
dagli apostoli che le ricevettero dal Cristo e, per mezzo suo, da Dio stesso.
• Teol. - Già durante i primi secoli del Cristianesimo, la
progressiva ellenizzazione della riflessione teologica e filosofica e il
parallelo emanciparsi dal carattere esclusivamente giudaico della predicazione
iniziale esposero la Patristica greca all'influsso del Neoplatonismo. Giustino,
Atenagora, Clemente Alessandrino poterono così affermare che Dio, prima
di rivelarsi in Cristo, non aveva parlato solo per mezzo dei profeti, ma aveva,
per così dire, comunicato dei «semi di verità» anche ai
pagani, per mezzo dei loro poeti e filosofi. Da questo medesimo approccio deriva
la posizione, ancora attuale nella Chiesa, per cui mentre si riconosce
l'esistenza di elementi di verità anche in altre esperienze religiose,
tuttavia si rivendicano al solo Cristianesimo gli attributi di completezza e
unicità della
r. (dal momento che anche l'Ebraismo, non
riconoscendo Gesù come Messia, si sostanzierebbe di una
R.
incompleta). Durante l'Alto Medioevo l'esegesi biblica non innovò
rispetto alla Patristica, mentre in seguito la Scolastica intraprese l'indagine
della
r. dal punto di vista delle sue cause (finale: la visione di Dio;
efficiente principale: Dio; strumentale: Cristo e il magistero della Chiesa;
formale: la Parola divina; materiale: gli uomini) e dei suoi oggetti. In quanto
ha per oggetto le verità di ragione o le verità rivelate, la
r. può infatti essere distinta rispettivamente in naturale o
soprannaturale: in quest'ultimo caso essa è a sua volta oggetto della
scienza teologica. Per Scoto Eriugena,
r. e fede sono precondizione a
ogni ulteriore comprensione, di modo che la speculazione filosofica appare come
integrazione e sviluppo della fede; tuttavia, posto che la
r. divina
è assolutamente vera, altrettanto non si può dire della tradizione
esegetica e nei suoi confronti si può dunque esercitare la ragione e la
critica. Per Tommaso d'Aquino, la
r. è guida per condurre l'uomo
al suo fine ultimo, cioè a Dio: essa supera la ragione, senza però
renderne vano l'esercizio. La ragione infatti, per quanto non possa essere
applicata direttamente al contenuto della
r. e della fede, può
però esplicitarne i presupposti ragionevoli e avvicinare l'intelletto
alle verità rivelate seguendo la via delle similitudini e delle analogie.
Duns Scoto distinse nettamente l'ambito della fede da quello della conoscenza
razionale, negando la possibilità di pervenire a qualsivoglia
dimostrazione razionale della
r. Il Protestantesimo da un lato
affermò il primato della Sacra Scrittura, in quanto Parola di Dio
rivelata, ripudiando il valore che la Chiesa cattolica attribuiva anche alla
tradizione e al magistero autentico, dall'altro concepì la
r. come
manifestazione diretta dello Spirito a ogni credente: fonte di conoscenza di Dio
sono la natura, la Provvidenza, le Sacre Scritture e la testimonianza interiore.
Il concetto di una
r. non mediata portò con sé l'idea del
sacerdozio universale di tutti gli uomini che, pertanto, si opponeva alla
definizione dei dogmi da parte di un clero esclusivo e segregato rispetto al
popolo dei fedeli. Secondo il Protestantesimo liberale, il dogma, contenuto
della
r., non deve essere considerato
locutio externa, ma
interpretazione umana di un evento religioso: la
r. consisterebbe invece
nel sentimento della divinità, nella coscienza acquisita dall'uomo della
propria costitutiva relazione con Dio. La corrente della mistica tedesca,
caratterizzata da tale immanentismo e sentimentalismo teologico, promosse l'idea
di una
r. diretta e perenne del divino all'uomo, orientandosi talvolta a
una visione francamente panteistica. Con Locke, al contrario, si accentuò
l'esigenza di fondare la dogmatica cristiana su elementi razionali, al punto di
deprivare il concetto di
r. delle sue qualità di necessità
e propedeuticità alla fede: il Razionalismo portò alle estreme
conseguenze tale impostazione, valorizzando la critica storica delle fonti
cristiane e, da parte di alcuni, contestando il presupposto di una
r.
divina. Anche in reazione a tali opposte interpretazioni del concetto di
r., la Chiesa cattolica si preoccupò di riaffermarne la
storicità e necessità. Il Concilio Vaticano I (1870)
confermò la dottrina tradizionale, secondo la quale l'uomo può
attingere mediante la ragione e senza il concorso di una
r. solo alcune
verità su Dio, che sono di ordine naturale. La
locutio externa, a
partire dalla quale il magistero formula il dogma, non esclude però
l'azione continua dello Spirito per una progressiva e sempre maggiore
comprensione della
r., sia da parte del singolo credente sia della Chiesa
in generale. Il Concilio Vaticano II (1963-65) ripropose una definizione di
r., esposta nella costituzione dogmatica
Dei Verbum. La
r.
è stata qui considerata nella sua particolare natura storica, come
progressivo compiersi di eventi attraverso cui Dio manifesta sé e la sua
volontà. Si tratta di una sequenza fattuale che dalla creazione si
continua nel patto con l'umanità stretto da Dio con Noè dopo il
diluvio, prosegue nell'Alleanza con Abramo, nella liberazione del popolo dalla
schiavitù e nel dono a Mosè della Legge, culminando
nell'incarnazione di Gesù, nella sua vita e predicazione, morte e
resurrezione. Essa si configura come un percorso
pedagogico che Dio offre
all'uomo per prepararlo all'incontro con la sua manifestazione piena,
cioè Gesù, e che prosegue nell'opera della Chiesa. Quest'ultima
infatti è chiamata a custodire la
r., intesa sia come Scrittura
sia come tradizione, cioè come incessante tentativo di meglio
comprenderla, approfondirla, interpretarla e trasmetterla.