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Risurrezione.

(o resurrezione). Atto ed effetto del risorgere. ║ Ritorno dalla morte alla vita, evento miracoloso e soprannaturale. ║ In senso assoluto, si intende la R. di Cristo dopo la morte in croce e la sepoltura. ║ Per estens. - Salvezza e redenzione spirituale. ║ Fig. - Ricostituzione di un ente, ripresa dell'attività dopo un lungo periodo di interruzione. • St. delle rel. - L'idea che l'uomo possa tornare a una nuova vita dopo la morte è credenza presente già in numerose mitologie delle antiche civiltà; essa tuttavia va rigorosamente distinta dai concetti di immortalità dell'anima, in quanto sopravvivenza in un aldilà variamente concepito, e di reincarnazione, cioè trasmigrazione dell'anima dopo la morte in altri corpi. Il tema della r. è attestato in numerosi miti legati al ciclo vegetativo annuale: nella religione mesopotamica, il re-dio Tammuz moriva ogni anno nel pieno della calura estiva per rinascere, insieme alla consorte Inanna, nella nuova vegetazione; Adone, divinità originaria della regione siro-fenicia, interpretava la medesima connessione con la natura che muore e rinasce: accolto nella mitologia greca, fu poi acquisito alla vicenda di Persefone e al suo occultamento negli Inferi per la metà dell'anno. Ancora più significativo il mito egizio di Osiride: questi, fatto a pezzi dal fratello Seth, ma ricomposto e risuscitato dalla moglie-sorella Iside, rappresentava la r. alla vita dopo la morte, la vegetazione che con la primavera si risveglia dopo l'inverno. A partire dal Medio Regno, nella religione egizia la speranza nell'aldilà si incentrò sulla figura di Osiride re dei morti: per suo mezzo fu reso partecipe della divina r. dapprima il solo faraone, poi, con opportuni rituali e l'imbalsamazione, ogni uomo. Tuttavia, mentre in origine il mito era stato elaborato per fondare e rendere ragione, con la r. divina, del ciclico morire e risvegliarsi della natura, estendendo tale r. all'uomo il nesso analogico veniva proposto in senso inverso: come la natura moriva e si risvegliava, così l'uomo dopo la morte sarebbe potuto risorgere. L'assicurazione di una personale r. dopo la morte per ogni singolo uomo fu certamente alla base della grande diffusione che ebbero i misteri di Iside e Osiride nel mondo greco-romano. Altre religioni proposero dottrine specifiche riguardo la r. per l'uomo: in ambito vedico, ad esempio, si credeva che il rogo funebre consentisse agli elementi del corpo del defunto di raggiungere in cielo la sua anima, costituendo così una sorta di doppione celeste della persona morta. Nella religione iranica, è di speciale interesse la predicazione di Zoroastro che, elaborando per la prima volta un elemento genuinamente escatologico, preannunciò non solo un giudizio di tipo morale e universale alla fine dei tempi, in corrispondenza con la venuta del salvatore (Saoshyant), ma anche la r. corporale. Dalla visione zoroastriana, che filtrò nel patrimonio religioso di Israele mediante i contatti che il popolo ebraico ebbe con la cultura persiana durante il suo esilio di Babilonia (VI sec. a.C.), ebbe poi origine quella giudaico-cristiana e, per influsso di quest'ultima, quella islamica. Nell'Antico Testamento, infatti, non si trovano elementi relativi al concetto di r. se non nei testi posteriori all'esilio. In un primo tempo, l'unico orizzonte offerto all'uomo dopo la morte era lo sheol, un luogo di tenebra indistinta, in cui si perdevano le ombre dei defunti, e la sola speranza per i credenti era quella di una vita terrena lunga e felice che Dio avrebbe concesso ai giusti; con l'evolversi dell'esperienza religiosa (che affrontava la contraddizione della sofferenza anche per i giusti e i credenti, della morte prematura, della sventura immeritata, ecc.) e della riflessione teologica (per cui Dio si delineava come Signore della vita e della morte), alle attese terrene si sostituì la speranza nell'aldilà. Tale speranza è attestata già in alcuni dei Salmi (16; 17; 49; 73) come quella di una perenne comunione con il Signore, mentre in taluni passi dei libri di Isaia (26, 19) o di Ezechiele (37, 1-14) è prospettata la fede nella r. della carne, che nel libro di Daniele (12, 2, 13) è espressa in quanto attesa di essere risuscitati da Dio e si arricchisce dell'idea di un destino differenziato per i giusti e per i malvagi. L'epoca ellenistica dell'Ebraismo, che precisò il concetto di r. come piena immortalità (Libro della Sapienza 3, 4), ne incrementò l'importanza sul piano escatologico, anche in conseguenza delle persecuzioni perpetrate da Antioco IV Epifane (V.) contro gli Ebrei (II Maccabei 7; 12, 43 e seguenti). Rispetto alla r., tuttavia, l'antico Giudaismo non ebbe un atteggiamento unanime. Essa era di primaria importanza all'interno dei circoli apocalittici, assai fiorenti anche ai tempi di Gesù, ma alcuni attribuivano valore solo alla r. dei giusti (Salmi di Salomone 3, 9-11), altri predicavano una r. universale, cioè tanto dei giusti quanto dei reprobi (Esdra 7, 32), altri ancora distinguevano tra una prima r. concessa da Dio ai giusti quando il Messia avesse instaurato il suo Regno e una seconda universale nel momento del Giudizio. I Sadducei, al contrario, negarono la fede nella r. e ne ostacolarono a lungo l'affermarsi all'interno del Giudaismo, opponendosi ai Farisei che, però, riuscirono a farla prevalere: al I sec. d.C. risalgono preghiere in cui era professata la r. come articolo di fede. Gesù, negli anni della Sua predicazione, mostrò di accogliere la dottrina farisaica della r., ma la innovò profondamente, caratterizzandola come evento apportatore di una vita rinnovata, nuova creazione, non come mera rianimazione del corpo (Marco 12, 18-27). Da un lato, dunque, la concezione cristiana della r. si pose come continuazione di quella vetero-testamentaria e farisaica, ma dall'altro risultò radicalmente differente, in quanto fondata e originata dall'evento centrale e salvifico della R. di Gesù. La r. dei corpi, tuttavia, continuò a essere avversata da taluni tra i cristiani, cui rispose anche san Paolo che, in I Corinzi 15, 12 e seguenti, distinse tra «corpo animale» terreno e «corpo spirituale» dopo la r. Questa dottrina trovò particolare sviluppo nella Chiesa orientale e nella Patristica greca, che per la sua impronta culturale ellenistica non era in grado di accogliere la cruda e realistica interpretazione della r. finale propria, ad esempio, degli occidentali Tertulliano e Ireneo. Il Cristianesimo primitivo, caratterizzato dall'attesa della parusia (V.) e dunque da una forte componente apocalittica, come era stato per il messianismo giudaico, diede maggiore importanza alla r. finale e collettiva, connessa, appunto, al ritorno di Cristo giudice. La fede nel giudizio del singolo, immediato e personale, post mortem e nella r. individuale si affermò solo in seguito, via via che si attenuava la certezza di un imminente compiersi del tempo escatologico. Sulla medesima linea della tradizione giudaica, da cui dipese direttamente più che dal Cristianesimo, si sviluppò il concetto di r. dell'Islam: rappresentando il Paradiso anche come godimento sensuale, l'Islamismo ritenne che la r. universale nel giorno del giudizio avrebbe assegnato a ciascun beato un corpo nuovo e perfetto. • Teol. - Nel Simbolo (V.) apostolico, la r. della carne costituisce l'11° articolo di fede, in base al quale si afferma che i corpi risorgeranno alla fine del tempo per ricevere il premio o il castigo eterno. Per un certo periodo i teologi si sono interrogati a proposito dell'identità o meno tra corpo terreno e corpo risorto e in merito alle caratteristiche di quest'ultimo (incorruttibile e immortale, cioè non soggetto alla materialità; impassibile, cioè insensibile al dolore fisico; sottile, cioè totalmente permeabile all'anima; agile, cioè totalmente docile alla volizione dell'anima; chiaro, cioè dotato di splendore senza macchia, ecc.). Ai corpi degli empi, tuttavia, non potevano essere attribuite le stesse qualità: essi sarebbero stati corpi immortali e incorruttibili, ma non impassibili al dolore e alla pena dell'anima separata da Dio. La riflessione teologica più recente ha invece inteso la r. della carne non tanto come recupero della realtà fisico-chimica dei corpi terreni, ma come certezza di una salvezza integrale del singolo uomo in tutte le sue dimensioni ontologiche e con tutta la sua storia personale: la locuzione «noi risorgeremo», infatti vuole esprimere la certezza della continuità tra vita terrena e spirituale, il mantenimento dell'identità personale anche nel momento della r. Completando la fede nell'immortalità dell'anima, fondata sulla costitutiva partecipazione dell'uomo al divino (il soffio dello spirito che vivifica l'uomo nel racconto del Genesi), la r. è garantita non dalla natura (insieme spirituale e terrena) dell'uomo, ma solo dall'amore gratuito e libero di Dio, fedele alla Sua promessa di salvezza, di cui Cristo è stato primizia. ║ La R. di Cristo: cardine e contenuto principale della predicazione cristiana. La R. è considerata dal Cristianesimo non solo come evento decisivo della vita di Gesù, prova e riconoscimento della sua natura e identità di Figlio di Dio, ma anche come punto di vista, prospettiva entro cui ricondurre e comprendere tutta la vita e l'insegnamento di Cristo: da essa prende origine e acquisisce il proprio carattere salvifico l'annuncio cristiano e a partire da tale evento furono composti gli stessi Vangeli. Essi narrano come Gesù avesse profetizzato pubblicamente due volte la Sua morte e R.: una prima volta (Giovanni 2, 18-19) servendosi dell'immagine del Tempio che Egli avrebbe distrutto e ricostruito in tre giorni; una seconda volta (Matteo 12, 39) paragonandosi a Giona che rimase nascosto nel ventre della balena per tre giorni prima di uscire alla luce. Più riservatamente, nel dialogo coi suoi discepoli, Gesù annunciò altre volte la R., senza però che questi comprendessero davvero cosa intendesse dire loro. I Vangeli, nel racconto degli eventi seguiti alla R., adottano una prospettiva di tipo cronachistico, al fine di avvalorare con elementi positivi il dato soprannaturale: la realtà della morte di Gesù (la lancia nel costato), la definitività della sua sepoltura nel sepolcro, la scoperta della tomba vuota (con le bende in terra, il sudario ripiegato), le apparizioni del primo giorno e quelle successive, di sette giorni in sette giorni, le mani di Tommaso nelle ferite di Cristo. Il Nuovo Testamento nella sua totalità, comunque, è intessuto di riferimenti alla R., nella forma sia della professione di fede (Romani 10, 9; I Corinzi 15, 11) sia dell'annuncio missionario (Atti 2, 23; 3, 15; 10, 40): secondo l'affermazione di san Paolo, infatti «se Cristo non è stato resuscitato, la nostra predicazione è vuota e vuota la nostra fede» (I Corinzi 15, 14). Anche dal libro degli Atti degli Apostoli risulta l'assoluta centralità, nella predicazione, della R. come fatto storico: apostolo è colui che è testimone della R. Tuttavia è l'epistolario paolino a segnare con particolare efficacia il valore fondante, per la fede e l'insegnamento, della R. (di cui in I Corinzi si premurò anche di citare testimoni viventi): quest'ultima è il dato centrale della nuova economia della salvezza voluta da Dio, anticipazione e primizia della r. di tutti gli uomini, perché la sconfitta della morte in Gesù prelude alla sua eliminazione in tutti gli uomini. La sua potenza ed efficacia è tale che il credente è salvo non più per le opere secondo la Legge, ma per la sola fede in Cristo risorto (V. anche PAOLO, SANTO). Gesù infatti non è stato semplicemente «rianimato» alla vita, ma innalzato a una vita nuova, radicalmente diversa da quella terrena e pertanto è stato costituito quale Signore e mediatore della salvezza per tutti gli uomini (Filippesi 2, 9-11), di cui Egli stesso è pegno e caparra. Attraverso i secoli, e fino ad anni recenti, la riflessione teologica ufficiale e l'esegesi delle fonti bibliche sono state ugualmente impostate secondo finalità apologetiche, volte cioè a giustificare, garantire e, se possibile, provare storicamente la realtà della R. di Gesù e dunque l'autenticità ed esclusività della missione ecclesiale. Attualmente, e in particolare dopo il Concilio Vaticano II, è privilegiata la prospettiva ermeneutica, vale a dire il tentativo di comprendere e, quindi predicare, il messaggio, il contenuto della R. stessa. In quest'ottica molti argomenti appassionatamente dibattuti in precedenza (natura del corpo del Risorto, modalità pratiche delle sue apparizioni, ecc.) sono passati in secondo piano a favore di una riflessione più profonda sull'evento nella storia della Salvezza (iniziata con l'alleanza tra Yahvé e il popolo ebraico). ║ La liturgia celebra il mistero della morte e R. ogni domenica, giorno dedicato a tale evento e misura dello scorrere dell'anno liturgico. Il giorno di Pasqua (V.), tuttavia, rappresenta la celebrazione solenne del memoriale della R. di Cristo.