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Regione.

(dal latino regio: linea di confine). Parte, di varia ampiezza, della superficie terrestre, che si delinea come entità unitaria distinguendosi dai territori circostanti o per determinate caratteristiche fisiche o per specifiche condizioni storiche. In entrambi i casi sono in genere riconoscibili confini naturali (mari, monti, fiumi, ecc.) o caratteri omogenei (morfologici, climatici, antropici, economici, culturali, ecc.) in base ai quali viene individuata e definita la r. stessa: r. alpina, industriale, ecc. ║ Ciascuna delle 20 circoscrizioni amministrative, a base storico-geografica, in cui è ripartito il territorio nazionale della Repubblica italiana (V. OLTRE). ║ Vasta sezione dello spazio o della volta celeste. ║ Ognuno dei quartieri in cui era anticamente divisa la città di Roma. Per analogia, nell'archeologia cristiana si chiamano r. le diverse parti in cui erano divise le catacombe. • Dir. can. - R. pastorale: circoscrizione eretta dalla Santa Sede, su proposta della Conferenza episcopale locale, e costituita dall'unione di più province ecclesiastiche tra loro limitrofe. L'assemblea dei vescovi della r. ha il compito di favorire e sostenere un'attività pastorale comune e la cooperazione tra le chiese particolari che sono parte della r. stessa. La Santa Sede, in casi particolari, può trasferire alcuni dei poteri specifici della Conferenza episcopale nazionale ai vescovi di una r. ecclesiastica. In Italia esistono 18 r. pastorali. • Aer. - R. aerea: per l'aeronautica militare italiana, ente territoriale con funzioni sia logistiche, sia tecnico-amministrative, sia di comando sui reparti di volo che ospita. Milano, Roma e Bari sono le sedi rispettivamente della I, II e III r. aerea italiana, ciascuna delle quali è organizzata in sei sezioni (servizi, demanio, armamento, commissariato, telecomunicazioni, sanità), e uno stato maggiore. • Mil. - R. militare: nell'organizzazione territoriale dell'esercito italiano, una delle sette circoscrizioni, a loro volta suddivise in zone, che ospitano enti e reparti militari. Sono dotate di un comando proprio, retto da un generale di corpo d'armata, cui spettano i compiti amministrativi, disciplinari, ispettivi, di addestramento e mobilitazione relativi alla r. stessa. ║ R. fortificata: territorio difeso da un complesso organico e sinergico di opere fortificate. • Anat. - R. anatomica: ognuna delle partizioni secondo le quali gli studiosi, mediante linee convenzionali e in base a criteri topografici, rappresentano il corpo umano. Ciascuna deriva il proprio nome dall'organo più importante in essa compreso. • Meteor. - R. meteorologiche italiane: aree che presentano condizioni climatiche relativamente uniformi, in quanto condividono i medesimi fattori geografici (presenza del mare, altitudine dei rilievi, esposizione a venti costanti, ecc.). Complessivamente sono sette (alpina, padana, adriatica, ionica, ligure, versante tirrenico, isole maggiori) definite in base all'analisi dei parametri di alcune condizioni climatiche, quali temperatura, precipitazioni e umidità relativa. • Geogr. - Il concetto di r. fisica o naturale si costituì nel XVIII sec. a indicare un territorio circoscritto da confini naturali netti (monti, fiumi, ecc.), dotato di caratteri omogenei e chiaramente connotato da forti differenze rispetto al territorio circostante. Tale definizione (confermata ai primi del Novecento dal francese P. Vidal de La Blache) nasceva dalle radici umanistiche della disciplina geografica e rappresentava la r. come un territorio dotato di caratteri corografici uniformi sul quale l'uomo aveva prodotto un genere di vita, abitativo ed economico, altrettanto uniforme. Questa impostazione restò in uso, almeno in Italia, fino agli anni Sessanta e in base ad essa i geografi hanno prodotto studi essenzialmente descrittivi delle caratteristiche originali di una r., mediante un modello canonico: analisi geologica, morfologica e climatica; analisi culturale e storica degli insediamenti; rilievo demografico e descrizione delle attività produttive. Tra il 1960 e il 1970, tuttavia, si impose un importante mutamento disciplinare che pose al centro delle ricerche regionali più che la descrizione formale, l'analisi delle strutture (sia relative alla geografia fisica sia a quella umana) e, soprattutto, della loro interdipendenza. Ne conseguì una definizione di r. non più come spazio originale e chiuso, ma come territorio organizzato intorno a un centro polarizzatore, che può essere rappresentato da una rete urbana, da una concentrazione industriale, ecc. Furono elaborate due teorie, per così dire «funzionaliste», mediante le quali individuare aree a carattere regionale: quella delle località centrali, elaborata da W. Christaller già negli anni Trenta, poneva all'origine dell'aggregazione territoriale di una r. le attività urbane del terziario, in particolare commerciali. La teoria detta del polo di sviluppo riteneva, invece, che le r. si organizzassero in funzione dell'indotto esercitato sul territorio circostante dalle concentrazioni di attività industriali, specie se tecnologicamente innovative. Nel medesimo quadro metodologico si inseriva la distinzione tra r. elementare, riconosciuta in forza della rilevabilità di un unico fenomeno costitutivo (ad esempio, una r. botanica si definisce per la presenza di una determinata specie vegetale), e r. complessa, interessata da una pluralità di fenomeni (ad esempio, una r. agraria è tale grazie al concorso di fattori climatici, geografici, umani e tecnologici). Un ulteriore progresso nelle ricerche a carattere regionale è stato compiuto negli ultimi decenni del XX sec., passando da un concetto statico di r. come territorio aggregato intorno a un centro gravitazionale (urbano, terziario o industriale che sia), a quello di sistema aperto, rispondente perciò alla teoria generale dei sistemi. In base ad essa, la r. è considerata come uno spazio in cui tutti gli elementi, sia fisico-naturali sia umani, agiscono in dipendenza reciproca, al punto che la variazione di un parametro comporta quella, più o meno ingente, di tutti gli altri. Nell'interpretazione sistemica, dunque, la regionalizzazione è conseguente non tanto alla capacità di polarizzazione esercitata da sedi urbane di funzioni terziarie o da poli produttivi, quanto ai processi innescati da relazioni di interdipendenza tra le strutture fisiche del territorio (corografia, geologia, idrografia, clima, ecc.) e strutture antropiche (demografia, comunicazioni, attività produttive, ecc.). Connessa all'approccio sistemico, d'altra parte, è anche una nozione non più statica ma dinamica di r., sia perché essa viene definita in funzione dei processi che intercorrono tra gli elementi del sistema, sia perché tali processi possono configurarsi come lineari e/o di crescita (nel caso in cui tutti i fattori coinvolti mantengano un rapporto costante e direttamente proporzionale) oppure di sviluppo e/o crisi (nel caso in cui il comportamento di uno degli elementi induca una modifica sostanziale dei rapporti di interdipendenza, cambiando di conseguenza la struttura stessa). In questo caso l'esito sul territorio del processo di regionalizzazione può variare, tanto dal punto di vista dell'aggregazione degli insediamenti o dei centri di riferimento, quanto da quello strettamente economico e produttivo (localizzazione degli stabilimenti, tipo di attività, modalità di produzione, ecc.). Un esempio illuminante di processi di crisi e sviluppo con ricadute sulla regionalizzazione è dato, su scala macrogeografica, dal mutamento innescatosi nel territorio dell'ex Unione Sovietica in seguito ai rivolgimenti politici e istituzionali dei primi anni Novanta. ║ R. fitogeografiche: aree di distribuzione delle specie vegetali sulla superficie terrestre, chiamate anche zone floristiche, determinate in base a criteri geografici e ad un complesso di fattori biotici (tipo di terreno, disponibilità di acqua, condizioni macro e microclimatiche, luminosità, ecc.). Tale suddivisione, per il fatto stesso di definire le località di diffusione delle specie vegetali, permette altresì di riconoscere i fattori che favoriscono la loro ambientazione e ha dunque una ricaduta positiva sulla conoscenza dell'ecologia della zona stessa. Le r. comprendono spesso territori piuttosto vasti, caratterizzati, nella maggior parte dei casi, dalla netta prevalenza di alcune specie su altre (è stata rilevata in tal modo l'esistenza di specie cosiddette cosmopolite, la cui area di diffusione riguarda moltissime r., o al contrario di specie endemiche, relative a singole e circoscritte località, come una valle, un'isola, un arcipelago). Una r. fitografica può risultare dunque costituita da una sequenza di territori senza soluzione di continuità o da zone disgiunte tra loro ma affini per fattori morfologici, climatici, ecc. ║ R. zoogeografiche terrestri: partizioni della superficie terrestre definite in base alla presenza di determinate associazioni faunistiche. Il territorio di distribuzione di una specie viene stabilito in base all'analisi di vari fattori (quali esigenze minime per la sopravvivenza, capacità di diffusione, età della specie, coefficiente temporale di diffusione, ecc.) e, generalmente, i suoi limiti coincidono con barriere ecologiche (morfologiche o climatiche) nette che inibiscono la diffusione stessa: ciò è particolarmente evidente in zone di alta montagna, o lungo le coste marine, o al margine dei deserti o comunque in territori tra loro limitrofi che presentano però condizioni climatiche marcatamente differenti. Si riconoscono tre macroregioni: l'Artogea, che comprende le r. paleartica, neartica, etiopica e orientale; la Neogea, costituita dalla sola r. neotropicale; la Notogea, costituita dalla r. australiana. Ciascuna di esse può a sua volta essere suddivisa in sottoregioni. ║ R. fitogeografiche marine: possono essere definite in base a diversi criteri: geografici (r. polare, nord-atlantica, sud-atlantica, indopacifica, pacifica); climatici o della temperatura delle acque (r. boreale, antiboreale, tropicale) o ancora in relazione alla profondità dei fondali (r. costiera, pelagica). • Dir. - In quanto realtà storica e geografica, le r. italiane hanno la loro origine più lontana nelle circoscrizioni censuarie (e non amministrative) istituite da Augusto su tutto il territorio delle penisola e incrementate nel numero e nella funzione (di Governo decentrato) dalla riforma di Diocleziano nel III sec. d.C., fatto che agì forse come concausa nella frammentazione territoriale e politica durata tanti secoli. Un'organizzazione regionale, ossia il riconoscimento delle r. quali enti territoriali ed autonomi dotati di propri poteri e funzioni, fu reintrodotta in Italia dalla Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948. L'"idea regionale" era già stata proposta, ad opera di Minghetti, quasi subito dopo l'unificazione nazionale, ma non ebbe fortuna per il timore che un simile progetto potesse avere conseguenze negative per l'unità dello Stato e significare di fatto un ritorno alle antiche circoscrizioni politiche. Del resto, nel corso del Risorgimento si era sviluppato un ampio dibattito sulla forma dello Stato. La sinistra del tempo - fortemente influenzata dalla Rivoluzione francese ma non dal modello imperiale napoleonico - era per una forma repubblicana e federalista, ritenuta più coerente con la storia delle varie r. geografiche e culturali del Paese, le quali avevano avuto storie e amministrazioni le più diverse nel corso dei secoli, pur conservando un intimo legame unitario nella lingua e nelle matrici culturali. L'influenza delle grandi potenze del tempo ed anche l'abilità diplomatica della monarchia sabauda fecero prevalere la soluzione monarchica e la graduale annessione al Piemonte, con plebiscito, dei vari Stati nei quali era divisa l'Italia. L'unificazione venne, pertanto, realizzata con l'estensione a tutto il Paese del modello accentratore piemontese, fondato sulle prefetture, di origine napoleonica. Questa tendenza politica fortemente accentratrice si accentuò durante il regime fascista, che eliminò anche i pochi spazi residui di rappresentanza locale: le ultime figure elettive furono sostituite da funzionari ministeriali, che realizzarono il massimo controllo centralista, sia finanziario che amministrativo. Ciò nonostante, alcune città, prescelte come sede delle prefetture e degli uffici periferici che esercitavano attività relative a più province, guadagnarono la qualifica, tanto nel senso comune quanto ufficialmente, di capoluoghi circoscrizionali. Dopo la seconda guerra mondiale il dibattito sulle r. e sulle autonomie locali, peraltro mai venuto meno, si riaccese. Nell'Assemblea Costituente - che elaborò sia la Costituzione, sia gli Statuti delle r. a ordinamento speciale (gli Statuti, infatti, vennero promulgati come leggi costituzionali) - prevalse la scelta regionalista, ossia il convincimento che il potere politico-amministrativo viene esercitato meglio se più vicino alle esigenze degli amministrati e se controllato da questi. Fu determinante anche la considerazione che il fascismo, nel 1922, aveva potuto vincere "occupando" Roma e quindi il centro dello Stato. Un'articolazione dell'Italia in organismi sub-statuali sparsi nel territorio avrebbe costituito una rete di poteri tali da garantire le istituzioni democratiche da colpi di stato. Pertanto l'Italia venne trasformata nel 1948 in uno Stato regionale con l'istituzione delle r. quali enti territoriali autonomi, comprendenti più province, e definiti in base a criteri storico-geografici. Il principio su cui si basava lo Stato regionale era quello del decentramento alle r. di una serie di funzioni prima esercitate dallo Stato. Un'altra importante caratteristica concerneva il controllo: nello Stato regionale poteva essere impedita l'entrata in vigore di atti legislativi regionali incompatibili coi principi generali della legislazione statale o contrari agli interessi dello Stato, anche se non violavano la Costituzione. La Costituzione italiana (art. 114) prevede che la Repubblica sia ripartita in comuni, province, città metropolitane e r.; queste ultime furono inizialmente stabilite in numero di 14 a statuto ordinario (Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria), portate a 15 con l'istituzione a ente autonomo del Molise nel 1963. Cinque r. (Valle d'Aosta, Trentino Alto-Adige, Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia), per la loro particolare condizione - geografica (r. di confine con popolazioni alloglotte), storica, economica e sociale - avrebbero goduto di uno status particolare e quindi di un'autonomia più pronunciata. Tali r., dette a statuto speciale, sono state dotate di ordinamento particolare, stabilito caso per caso in relazione alle esigenze dei vari gradi di autonomia - comunque superiori a quello delle r. ordinarie -, ordinamento riconosciuto a ciascuna di esse e sancito da leggi costituzionali (art. 116). A differenza delle r. a statuto ordinario, alle r. a statuto speciale fu riconosciuta anche la potestà legislativa primaria, ovvero il potere di legiferare in determinate materie col solo limite delle norme costituzionali, dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e degli obblighi internazionali. La scelta regionalista venne realizzata in tempi differenziati: fu data la precedenza alle r. a statuto speciale; quattro (Sicilia, Sardegna, Trentino Alto-Adige e Valle d'Aosta) create nel 1948 ed una, il Friuli-Venezia Giulia, nel 1963. Il trasferimento di competenze dallo Stato alle r., iniziato solo nel 1970 con la prima legge attuativa del dispositivo costituzionale, è stato condotto a più riprese con leggi e decreti legislativi nel 1972, 1975, 1977. Un importante intervento in tal senso è stato quello operato con la L.8-6-1990, n.142, che ha fissato i fondamentali in materia di rapporti tra r. a statuto ordinario ed enti locali: fermo restando le esigenze di coordinamento e unità dei territori regionali, si promuove un maggior esercizio delle attività amministrative mediante province e comuni, affidando il coordinamento dei tre diversi livelli della giurisdizione locale alla r. che, mediante leggi regionali, stabilisce le forme e i modi con i quali i vari enti contribuiscono alla pianificazione dello sviluppo socioeconomico e del territorio. Tale legge attribuisce inoltre alle r. il controllo sui comuni e sulle province, precedentemente esercitato dalle prefetture o da altri organi statali: esso è esercitato dal Comitato di Controllo Regionale (CO.RE.CO.), al cui giudizio compete rilevare la legittimità o meno degli atti e, solo in casi esplicitamente previsti dalla legge, valutarne il merito. ║ La Costituzione definisce la r. un ente territoriale, in quanto esercita i suoi poteri all'interno di un territorio ben determinato e sulla popolazione in esso residente; autarchico, perché può amministrarsi da sé nell'ambito, tuttavia, del superiore ordinamento dello Stato; autonomo, nel senso che ha potestà legislativa propria. Può, quindi, fare leggi anche se con le modalità e nei limiti fissati dallo Stato. L'autonomia ha carattere prevalentemente politico: la r., infatti, nell'esercizio dei suoi poteri, può darsi un indirizzo politico eventualmente differente con quello dello Stato. La sovranità, invece, è caratteristica peculiare dello Stato, in quanto in posizione di indipendenza rispetto a qualunque altro ente. La r., invece, incontra diversi limiti per cui è subordinata rispetto allo Stato. Ad esempio, non può erogare sanzioni limitative della libertà personale del cittadino, né adottare provvedimenti che ostacolino la libera circolazione delle persone e delle cose fra le r. L'art. 132 della Costituzione, inoltre, sancisce la possibilità, mediante lo strumento di leggi costituzionali, di unire due r. già esistenti o crearne di nuove, dietro richiesta di un certo numero di Consigli comunali, che rappresentino almeno un terzo dei cittadini interessati, e con l'approvazione, mediante referendum, della maggioranza della popolazione totale residente nelle zone. Sempre mediante referendum tra i cittadini e ratifica con legge ordinaria della Repubblica, è possibile a singoli comuni o province staccarsi da una r. per aggregarsi a un'altra. Le attribuzioni giuridiche e amministrative delle r. sono state via via incrementate nel corso degli anni e del dibattito inerente al federalismo e al decentramento dei poteri dello Stato. La L.18-10-2001, n.3 ha costituito una svolta in senso federalista, riformando il Titolo V della seconda parte della Costituzione. Sono stati conferiti maggiori poteri a r., province e comuni, sia sul fronte legislativo che su quello fiscale, pur rimanendo in vigore un regionalismo differenziato, che permette di riconoscere a certe r. maggiore autonomia. Tale revisione costituzionale, elaborata durante il Governo di centrosinistra guidato da M. D'Alema e riaffermata da un referendum confermativo (svoltosi il 7 ottobre 2001, cioè dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni generali del 2001), ha comportato la riscrizione dell'art. 117 della Costituzione nel senso di un'inversione del criterio di ripartizione delle competenze, non di un mero allargamento di competenze: alle r. è riconosciuta piena competenza legislativa, a parte alcune materie espressamente riservate allo Stato - politica estera, immigrazione, rapporti con le confessioni religiose, difesa e forze armate, moneta e tutela del risparmio e mercati finanziari, tutela della concorrenza, ordine pubblico e sicurezza, perequazione delle risorse finanziarie, determinazione dei livelli minimi dei servizi, norme generali sull'istruzione, previdenza sociale, tutela dell'ambiente e dei beni culturali, ecc. Sono stati accresciuti i poteri delle r. su materie cruciali come istruzione e ambiente, inoltre le autonomie hanno il compito di organizzare i giudici di pace. Alle r. è poi riconosciuta l'autorità di intervenire nel processo legislativo dell'Unione europea, quando le leggi comunitarie trattano materie di competenza regionale. Anche l'art. 118 della Costituzione è stato riscritto introducendo nel nostro sistema i principi di sussidiarietà verticale (o istituzionale) e orizzontale (o sociale). Ciò significa conferimento delle funzioni amministrative ai comuni, in quanto enti più vicini ai cittadini, e maggiore responsabilizzazione della società civile nella gestione dei servizi pubblici. Un altro principio su cui si basa la riforma in senso federalista è l'autonomia finanziaria, in base alla quale ogni r. si sostiene con proprie risorse. Il nuovo art. 119 della Costituzione introduce infatti il federalismo fiscale stabilendo che gli enti locali possono stabilire e applicare tributi propri, in più sono chiamati a compartecipare al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio. Tuttavia, la maggiore autonomia fiscale regionale non deve portare a tagli delle entrate statali: alla legge ordinaria è infatti attribuito il compito di istituire un fondo perequativo (ma senza vincoli di destinazione) per le zone più svantaggiate. In più lo Stato ha il compito di rimuovere gli squilibri sociali ed economici, destinando risorse aggiuntive in favore di determinati enti locali. Con il nuovo ordinamento è poi istituito in ogni r. il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione tra r. ed enti locali, e vengono soppressi istituti di impronta centralista ancora presenti in Costituzione, come quello del commissario governativo, che l'art. 124 della Costituzione (abrogato con la riforma) istituiva in ogni capoluogo di r. Infine, è entrata nella Costituzione la promozione della "parità d'accesso tra donne e uomini alle cariche elettive", in quanto questo importante compito viene attribuito alle leggi regionali.La Legge costituzionale 22-11-1999, n.1, sull'elezione diretta dei presidenti delle r. e la Legge costituzionale 31-1-2001, n.2, che estende la riforma alle r. a statuto speciale, avevano del resto aperto importanti spazi per una nuova fase dell'autonomia regionale: le r., da un lato, sono tenute ad utilizzare tutti gli spazi offerti dalla revisione costituzionale; dall'altro, sono state chiamate alla redazione dei nuovi Statuti, atti dotati di un amplissimo margine di autonomia che, in armonia con la Costituzione, determinano la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento di ciascuna r. Lo Statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della r. e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Tali Statuti sono approvati e modificati dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Per tale legge non è richiesta l'apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli Statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione. Lo Statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della r. o un quinto dei componenti del Consiglio regionale. Lo Statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi. ║ Gli organi costitutivi della r. sono il Consiglio, la Giunta esecutiva e il presidente della r. Al Consiglio regionale, in quanto organo deliberativo, è affidata in primo luogo la funzione legislativa, ma anche quella di indirizzo e di controllo sull'attività esecutiva della Giunta, oltre a eventuali altre competenze ad esso attribuite dallo Statuto regionale stesso. L'organo legislativo della r. è quindi unico, a differenza del Parlamento nazionale che si articola, invece, nella Camera dei Deputati e nel Senato della Repubblica. Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un presidente e un ufficio di presidenza. Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali nonchè del presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, devono essere disciplinati da una legge regionale nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi. In ogni caso, nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, oppure al Parlamento europeo. Il Consiglio regionale si compone di un numero di consiglieri proporzionale alla popolazione residente accertata nell'ultimo censimento. Il rinnovo dei membri consiglieri avviene ogni 5 anni, regolato dalla L.23-2-1995, n.43, secondo un sistema di tipo maggioritario (da alcuni definito plurinominale con forte premio di maggioranza): l'80% dei seggi è attribuito proporzionalmente ai voti ottenuti da liste presentate nei singoli collegi provinciali ma obbligatoriamente collegate a una lista regionale. Le liste regionali, a loro volta, devono essere sostenute da una o più liste presenti in almeno la metà delle province: esse concorrono all'assegnazione del restante 20% dei seggi (che costituisce il premio di maggioranza o governabilità), ottenuto dalla lista con più voti su base, appunto, regionale. Il cittadino esprime, dunque, un primo voto per scegliere la lista provinciale, avendo anche la possibilità di indicare la preferenza per un candidato; un secondo voto per scegliere la lista regionale cui attribuire il premio di maggioranza. I due voti possono anche essere disgiunti, cioè riferiti a una lista provinciale e a una regionale non collegate tra di loro. Ogni formazione regionale è guidata da un proprio capolista che con sarà, in caso di vittoria, il presidente della r. La lista vincente gode del premio di maggioranza (pari, superiore o inferiore al 20% in rapporto a un risultato rispettivamente compreso tra il 40% e il 50%; inferiore al 40%; superiore al 50%) per assicurare la stabilità di Governo della r. Il Consiglio regionale, infine, può essere sciolto nel caso in cui, per dimissioni dei suoi membri o per impossibilità politica di formare una maggioranza di Governo, non possa svolgere le sue funzioni oppure, con decreto motivato del Presidente della Repubblica, possono essere disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale. La Giunta regionale ha invece funzioni esecutive, nel senso che deve dare attuazione alle leggi e, in genere, alle deliberazioni del Consiglio regionale. Il numero degli assessori che compongono la Giunta e le modalità della loro elezione sono stabiliti dallo Statuto della r. Le competenze della Giunta sono stabilite dallo statuto e dalle leggi regionali al fine di coadiuvare il presidente nei suoi compiti; ogni assessore assume la responsabilità di uno o più dicasteri inerenti ai servizi pubblici di competenza regionale (sanità, trasporti, ambiente, ecologia, bilancio, agricoltura, industria, ecc.) e ne è responsabile verso la Giunta. Quest'ultima, a sua volta, risponde politicamente al Consiglio dei suoi atti collegiali e di quelli degli assessori. Il coordinamento delle attività di ogni settore è comunque proprio del presidente della Giunta al fine di assicurare la coerenza di indirizzo. Il presidente della Giunta – secondo quanto disposto dalla Legge costituzionale 22-11-1999, n.1 - viene eletto a suffragio universale e diretto, salvo che lo Statuto regionale disponga diversamente. Il presidente esercita funzioni che per un verso richiamano quelle del presidente della Repubblica (promulgazione delle leggi regionali ed emanazione dei regolamenti regionali, rappresentanza generale della r., convocazione dei comizi elettorali, indizione del referendum popolare) e, per un altro verso, invece, sono analoghe a quelle del presidente del Consiglio dei Ministri (nomina e revoca degli assessori, convocazione e presidenza della Giunta, enunciazione della volontà di quest'ultima). Avendo la responsabilità delle funzioni amministrative delegate dallo Stato alla r., in tale ruolo egli è anche ufficiale di Governo. Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio, e quindi lo svolgimento di nuove elezioni.
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