Voce latina, der. di
referre: riferire. Istituto giuridico di
democrazia diretta, che consente l'esercizio senza mediazioni della
sovranità popolare. Mediante
r. il corpo elettorale è
chiamato a esprimere approvazione o rifiuto in merito a una singola questione o,
in senso più ristretto, in merito a specifiche disposizioni normative
preposte alla disciplina della materia in questione. Nel caso di pronunciamenti
relativi ai confini dello Stato (annessioni o secessioni), alle persone dei
governanti o alla forma costituzionale è più diffuso l'uso del
termine
plebiscito (V.). Da un punto di
vista politico, l'istituto referendario consente di realizzare una coincidenza,
se non perfetta almeno tendenziale, fra attori e destinatari della decisione,
attribuendo ad essa in tal modo il massimo di legittimità. Per questa
ragione il
r. è di norma proposto in relazione a questioni di
elevata rilevanza culturale, etica o politica, rispetto alle quali sia
necessario raccogliere il più alto grado di consenso popolare; di contro,
però, la sua validità è subordinata a un alto livello di
partecipazione politica e a un buon grado di informazione generale dei
cittadini. ║ Per estens. - Rilevazione di opinioni individuali su una
questione, un prodotto, ecc., utilizzata nei sondaggi sugli orientamenti
politici e culturali dei cittadini e nelle ricerche di mercato. • Diplom.
-
Ad r.: locuzione latina indicante l'accettazione con riserva, da parte
di un diplomatico o di un negoziatore internazionale, di proposte che, eccedendo
il mandato d'azione ricevuto, devono essere necessariamente riferite e
sottoposte all'approvazione del Governo prima di un'eventuale ratifica. È
ugualmente definito
ad r. il limite del mandato che un Governo affida ai
propri agenti, nell'ambito di trattative internazionali, quando intenda dotarli
del potere di ricevere e valutare proposte ma non di rispondervi in modo
definitivo. • Dir. - Nei moderni regimi parlamentari, il
r.
rappresenta (con il diritto di petizione e le leggi di iniziativa popolare) un
esempio di democrazia diretta che si affianca agli istituti rappresentativi
(V. DEMOCRAZIA). La
sua origine storica risale alle diete cantonali della Svizzera, in cui i
delegati agivano con la riserva
ad audiendum et referendum nei confronti
dei propri deleganti, ma nel pensiero politico moderno ebbe come suo primo
sostenitore J.-J. Rousseau; questi, affermando che la sovranità popolare
non può essere delegata in nessun caso, riteneva necessaria la ratifica
di ogni legge mediante
r. Ch. Montesquieu, al contrario, esprimeva il
dubbio che il popolo, mentre è sempre dotato della facoltà
sufficiente per esprimere ed eleggere i propri rappresentanti, non è
sempre all'altezza di comprendere e giudicare i singoli problemi e i relativi
disegni di legge. L'istituto, in ogni caso, è stato previsto e applicato,
se pur con diversa frequenza e in varie forme, in tutti i regimi a
partecipazione popolare: in alcuni casi, come in Svizzera o in alcuni Stati
della federazione americana, è uno strumento assai partecipato di
autogoverno. Nella storia degli Stati liberali e democratici, tuttavia, il
r.
fu utilizzato esclusivamente in riferimento a materie costituzionali, mentre
le Costituzioni più recenti lo prevedono anche per le leggi ordinarie,
quale momento eccezionale di controllo e sindacato del popolo
sull'attività normativa del Parlamento. In base alla materia, si possono
distinguere due principali tipologie:
r. costituzionale, che può
riguardare tanto l'adozione integrale di una nuova carta costituzionale quanto
una sua parziale riforma, ad esempio della forma istituzionale dello Stato; il
quesito proposto può essere diretto, sospensivo o abrogativo;
r.
legislativo, che riguarda leggi ordinarie emanate dal Parlamento, ad
esclusione di specifici ambiti legislativi (norme tributarie, ecc.) i quali non
sono ammessi a consultazione referendaria. In questo tipo di
r. il
quesito può essere sospensivo (volto cioè a bloccare l'iter
parlamentare di una proposta di legge) o abrogativo (volto cioè ad
eliminare una legge già operante). In base alla natura del quesito,
invece, si possono distinguere:
r.
successivo, tale quando
può essere esercitato solo successivamente all'adozione dell'atto
legislativo che sarà poi oggetto della consultazione popolare, e pertanto
esclusivamente abrogativo;
r. preventivo, tale quando esprime la
preferenza del corpo elettorale in ordine a una questione che presenti due o
più possibili soluzioni, detto anche
programmatico perché
l'esito della consultazione indica anche l'indirizzo che, coerentemente ad essa,
dovrebbe essere assunto dagli organi competenti. Da un punto di vista
strettamente giuridico, questo tipo di
r. è meramente consultivo,
cioè non legalmente vincolante per gli organi dello Stato che hanno
richiesto il
parere; tuttavia, essendo espressione diretta della
volontà popolare, esso risulta politicamente cogente. Si riconoscono,
inoltre,
r. obbligatori (previsti espressamente dalla legge
perché un determinato atto assuma efficacia),
facoltativi (indetti
solo se richiesti dal Governo, dal Parlamento o dal popolo, successivi o
preventivi in funzione dell'atto oggetto di consultazione),
eventuali
(cioè necessari solo nel caso in cui si presenti una determinata
situazione). ║
L'istituto referendario in Italia: la Costituzione
italiana prevede l'esercizio del
r. come strumento di partecipazione e
controllo popolare sull'attività legislativa e lo declina in forme
diverse in relazione alla materia che può essere oggetto di
consultazione. ║ L'art. 138 della Costituzione regola la gestione di
quesiti inerenti a leggi di riforma costituzionale o a leggi costituzionali.
L'approvazione parlamentare di queste ultime avviene mediante un iter speciale,
che prevede da parte di ciascuno dei rami del Parlamento due deliberazioni di
approvazione successive e distanti tra loro almeno tre mesi. Se la seconda
delibera ottiene o supera, sia alla Camera sia al Senato, la maggioranza
qualificata dei due terzi dei membri, non è necessario indire alcun
r.
in proposito e la legge viene direttamente promulgata. Quando invece la
maggioranza con cui è stata deliberata la legge è semplice (un
minimo del 50% più uno degli aventi diritto), può essere avviato
il percorso referendario. La legge viene, eccezionalmente, pubblicata prima di
essere promulgata; entro tre mesi dalla data di pubblicazione possono fare
richiesta di
r. 500.000 cittadini oppure cinque Consigli regionali (con
delibera votata dalla maggioranza semplice dei consiglieri), oppure un quinto
dei membri di una delle due Camere. Il
r. così richiesto, di
natura evidentemente facoltativa (V.
SOPRA), esprime il quesito in forma diretta, non
necessita del raggiungimento di un determinato
quorum di votanti per
essere considerato efficace e produce effetti di tipo sospensivo quando la
volontà popolare si esprima in senso contrario all'entrata in vigore
delle norme oggetto della consultazione. In questo caso, infatti, la legge,
benché già pubblicata, non può essere promulgata. Se,
invece, la maggioranza del 50% più uno dei voti validi espressi
(escludendo cioè dal computo le schede bianche e quelle nulle) è
favorevole alle norme in oggetto, esse sono senz'altro promulgate. La L.
25-5-1975, n. 352 disciplina ulteriormente, agli artt. 1-26, forma e
modalità del
r. costituzionale; essa stabilisce le norme di
pubblicazione e promulgazione delle leggi o riforme costituzionali e prevede le
modalità di richiesta del
r. L'istanza di esperibilità del
r. deve essere depositata all'Ufficio centrale per i
r., insediato
presso la Corte di Cassazione, costituito da tutti i presidenti di sezione della
Corte stessa, che ha il compito di esaminare la legittimità della
richiesta entro 30 giorni dal deposito. Entro 60 giorni dalla notifica del
parere positivo dell'Ufficio, il presidente della Repubblica indice il
r.,
su deliberazione del Consiglio dei ministri. La data della
consultazione deve essere fissata non prima di 50 e non oltre 70 giorni dopo la
data del decreto presidenziale di indizione. ║ L'art. 75 della
Costituzione regola il ricorso all'istituto referendario in ordine alla
legislazione ordinaria e ne stabilisce la forma facoltativa, successiva e
abrogativa. Il
r., infatti, risulta di tipo facoltativo, in quanto deve
essere richiesto da almeno 500.000 cittadini o da cinque Consigli regionali (con
delibera votata dalla maggioranza dei membri consiglieri); di tipo successivo,
in quanto si riferisce a leggi o atti legislativi già in vigore;
abrogativo, in quanto propone l'eliminazione totale o parziale (cioè di
articoli o di commi) delle leggi oggetto di consultazione. L'esito del
r.
è considerato valido solo se la percentuale dei votanti è pari
al 50% più uno degli aventi diritto; in caso contrario, e
indipendentemente dal risultato che possa emergere dalle urne, esso non
sortirà alcun effetto legale. Se il
quorum dei votanti è
stato raggiunto, la proposta del quesito referendario viene attuata in presenza
di una percentuale favorevole all'abrogazione pari al 50% più uno dei
voti validi espressi (escluse cioè le schede bianche o nulle); nel caso
in cui la maggioranza dei voti validi sia invece contraria all'abrogazione
proposta, la legge interessata non subisce alcuna modifica. L'art. 75 esclude
esplicitamente l'esercizio del
r. abrogativo in riferimento a leggi o
riforme costituzionali (disciplinate dal sopracitato art. 138), per leggi o atti
legislativi di bilancio o tributari, di amnistia e indulto, di autorizzazione o
ratifica di trattati internazionali. La L. 25-5-1970, n. 352, agli artt. 27-40
disciplina le modalità per la raccolta delle firme, per la presentazione
di richiesta per un
r. e per la sua indizione. L'atto deve essere
depositato, nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 30 settembre,
presso l'Ufficio centrale per i
r., competente a verificare la
conformità o meno del quesito rispetto alla legge cui si riferisce e a
dichiararne avviato rispettivamente il
corso o il
non-corso (che
ricorre anche quando sia intervenuta nel frattempo, da parte del Parlamento, una
modifica della legge). Gli atti di un
r. dichiarato conforme vengono
consegnati dall'Ufficio alla Corte Costituzionale, competente a deciderne, con
sentenza, l'ammissibilità ai sensi dell'art. 75 della Costituzione.
Tuttavia la giurisprudenza, originatasi nel corso degli anni sulla base delle
sentenze della Corte stessa, ha articolato in misura più ampia i criteri
di non ammissibilità per i
r.: 1) il quesito presenta una matrice
razionale non unitaria e si riferisce contemporaneamente a disposizioni tra loro
eterogenee; 2) il quesito, benché riferito a leggi ordinarie, riguarda
però disposizioni vincolate a norme costituzionali che, in caso di
abrogazione, sarebbero di conseguenza intaccate, confliggendo sia con l'art. 75
sia con l'art. 138 della Costituzione (V.
SOPRA); 3) il quesito è rivolto a leggi
ordinarie i cui effetti però risultano strettamente collegati ad ambiti
legislativi non passibili, ai sensi dell'art. 75, a
r. abrogativo.
Inoltre, sentenze recenti della Cassazione (del 1987 e del 1991) hanno escluso
l'ammissibilità di
r. abrogativi totali a carico di leggi non
costituzionali ma costituzionalmente obbligatorie: in caso di accoglimento
dell'abrogazione, infatti, si creerebbe un vuoto legislativo in merito a una
materia di cui è prevista obbligatoriamente una disciplina. Sono invece
ammissibili quesiti per l'abrogazione parziale di tali leggi, perché,
anche in caso di vittoria del
r., rimarrebbe comunque in vigore una
seppur minima disciplina operativa. Se la Corte decide nel senso
dell'ammissione, il presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio
dei ministri, indice con decreto la convocazione elettorale in una domenica
compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Nel caso di scioglimento anticipato
delle Camere, un
r. già indetto rimane sospeso per un anno, al
termine del quale, se il nuovo Parlamento non ha provveduto a legiferare in
materia, vengono nuovamente convocati i comizi elettorali. Infine, l'art. 39
della sopracitata L. 352 dispone che l'Ufficio centrale annulli il corso del
r. se, prima della data di svolgimento, la legge o le singole sue norme
oggetto di consultazione vengono abrogate dal Parlamento. Nel caso, però,
all'abrogazione parlamentare sia annesso un atto legislativo che disciplina la
materia senza modificare sostanzialmente né i principi ispiratori
né i contenuti di quella precedente, l'Ufficio conferma il corso
referendario e provvede direttamente a riformulare il quesito sulla base delle
nuove norme. ║ La Costituzione italiana prevede altri due tipi di
r.
Quello previsto dall'art. 123, limitato al territorio regionale, può
essere sia consultivo sia abrogativo, ma relativo alle sole leggi e atti
amministrativi della regione stessa. La carta costituzionale, intendendo le
regioni come espressioni di autogoverno locale, non regola direttamente
l'istituto a livello regionale, in quanto materia disciplinata dagli statuti dei
singoli enti. Gli artt. 132 e 133 della Costituzione, inoltre, prevedono
r.
(limitati alle popolazioni iscritte alle liste elettorali delle zone
interessate) in relazione a: fusione tra due regioni o creazione di nuove (
r.
di tipo obbligatorio e successivo, perché la legge costituzionale non
potrebbe avere efficacia se non con il voto favorevole della maggioranza dei
cittadini); passaggio di province o comuni da una regione a una limitrofa (
r.
di tipo preventivo e consultivo, perché il Parlamento può
legiferare in merito solo dopo il consenso della popolazione); variazione delle
circoscrizioni territoriali di comuni già esistenti o creazione di nuovi
municipi (
r. consultivo di interesse regionale). ║
Lo
svolgimento dei r. in Italia: il primo
r. cui è stato chiamato
il corpo elettorale italiano, per la prima volta con suffragio universale, si
svolse il 2 giugno 1946 e non fu di tipo abrogativo ma diretto: il quesito
proposto era infatti
istituzionale, relativo cioè alla forma dello
Stato, per la scelta tra regime repubblicano o monarchico. Il suo esito fu
favorevole alla Repubblica, mentre l'opzione monarchica raccolse circa 2.000.000
di voti in meno. A parte questo caso, che si potrebbe anche definire come
plebiscito,
finora
in Italia non si è mai tenuto un
r. costituzionale, mentre sono numerosi gli esempi di
r.
abrogativi. Alcuni furono conseguenti a una reale mobilitazione
dell'opinione pubblica e alla volontà popolare di esercitare il
controllo, garantito dalla Costituzione, su atti legislativi inerenti a
importanti diritti civili e democratici, la cui valutazione eccedeva
l'appartenenza o la preferenza partitica e risedeva piuttosto nella coscienza
dei singoli cittadini. Negli anni più recenti, però, i quesiti
referendari sono stati avvertiti dal corpo elettorale come una consultazione in
merito a questioni sempre più tecniche e minute, di ardua valutazione da
parte del semplice cittadino che a tale compito aveva delegato i propri
rappresentanti in Parlamento
. Nel 1974, fu indetto il
r. relativo
all'abrogazione della legge istitutiva del divorzio, che si concluse con la
vittoria dei NO. Nel 1979, si svolsero i due
r. per l'abrogazione della
cosiddetta legge Reale (L. 22-5-1975, n. 152), in materia di ordine pubblico e
antiterrorismo, e quello relativo al finanziamento pubblico ai partiti; entrambi
ebbero esito contrario all'abolizione. Nel 1981 furono indetti cinque
r.,
per l'abrogazione della cosiddetta legge Cossiga (sempre in materia di
antiterrorismo), delle norme istitutive la pena dell'ergastolo e di alcune
disposizioni in merito alla concessione del porto d'armi. Gli ultimi due
r., invece, riguardavano la legge che disciplina l'interruzione
volontaria della gravidanza (V.
ABORTO): il primo, promosso dal Partito Radicale,
era diretto nel senso di una maggior liberalizzazione della legge; il secondo,
promosso dal Movimento per la Vita, era volto alla restrizione del diritto
d'aborto solo in ambito terapeutico. Tutti i
r. dell'anno si conclusero
con la vittoria dei NO. Nel 1985, si svolse, con esito negativo, il
r.
per l'abrogazione della riduzione dei punti di contingenza introdotta dal
Governo Craxi prima con decreto legge, poi con la L.12-6-1984, n. 219. Nel 1987,
i quesiti di cinque
r. furono tutti accolti, con l'abrogazione di norme
inerenti alla limitazione della responsabilità civile dei giudici; alla
commissione inquirente parlamentare; alla competenza del Governo alla
localizzazione di impianti nucleari sul territorio nazionale; all'erogazione da
parte dell'ENEL di contributi agli enti locali che accettino centrali nucleari
nel proprio territorio; alla possibilità per l'ENEL di compartecipare
alla costruzione di impianti nucleari all'estero. Nel 1990 furono indetti tre
r. abrogativi di norme relative alla libertà di caccia, alla
libertà di accesso per i cacciatori nei fondi privati e all'uso di
pesticidi: per nessuno dei quesiti fu raggiunto il
quorum del 50% dei
votanti e per questa ragione la consultazione fu invalidata (benché la
percentuale di SÌ, tra i voti validi, avesse superato il 90%). Nel 1991
si svolse il primo tra i cosiddetti
r. elettorali, per l'abrogazione
della preferenza multipla, il cui esito positivo produsse effetti di grande
importanza in vista di una riforma complessiva del sistema elettorale italiano.
Il passaggio, infatti, dal sistema proporzionale a quello maggioritario
uninominale fu completato dal
r. del 1993, con l'abolizione delle quote
proporzionali nelle elezioni al Senato (esito di necessità perfezionato,
in seguito, da una nuova legge elettorale). Nel medesimo anno raccolsero voto
favorevole i
r. per l'abrogazione dei ministeri del Turismo e dello
Spettacolo, dell'Agricoltura e delle Partecipazioni statali, delle norme
relative alle nomine pubbliche nelle Casse di Risparmio e nei Monti di
Pietà e degli articoli istitutivi la perseguibilità penale del
consumo personale di droghe leggere. Nel 1995 fu indetto un altro consistente
pacchetto referendario, comprendente 12 quesiti. Quattro di essi riguardavano il
sistema televisivo e, in particolare, miravano a ottenere, mediante
l'abrogazione di alcune norme specifiche: l'apertura della RAI al capitale
privato (vittoria dei SÌ); la limitazione, per soggetto titolare, a una
sola concessione televisiva per reti a diffusione nazionale (vittoria dei NO);
la limitazione della raccolta pubblicitaria a un massimo di tre reti nazionali
per singola agenzia (vittoria dei NO); la riduzione delle interruzioni
pubblicitarie durante la trasmissione di film, opere teatrali, liriche, ecc.
(vittoria dei NO). Altri quattro
r. si riferivano invece all'ambito
sindacale: due sui limiti da imporre alla costituzione di rappresentanze
sindacali (approvato quello per una limitazione parziale, respinto seppur di
pochissimo quello per una totale liberalizzazione); uno per l'abolizione
dell'automaticità, dopo il primo assenso, della trattenuta in busta paga
della quota di iscrizione al sindacato (vittoria dei SÌ); l'ultimo per
l'abrogazione delle norme che individuavano nei soli sindacati confederali i
titolari della trattativa per i contratti del pubblico impiego (vittoria dei
SÌ). Contestualmente i cittadini hanno espresso il loro voto in merito
all'abrogazione delle norme restrittive la concessione di licenze commerciali e
l'orario di apertura dei negozi (vittoria dei NO), all'estensione del
maggioritario secco anche per i comuni con più di 5.000 abitanti
(vittoria dei NO), alla soppressione dell'istituto del soggiorno cautelare
(vittoria dei SÌ). Nel 2000 venne presentato un pacchetto comprendente 7
r. concernenti: la riforma dell'elezione dei membri togati del CSM, la
separazione delle carriere dei magistrati, il divieto di incarichi
extragiudiziali per i magistrati, l'abolizione della quota proporzionale nella
legge elettorale e della legge sui rimborsi elettorali ai partiti, l'abolizione
dei finanziamenti ai partiti, l'abolizione di alcuni vincoli sui licenziamenti,
l'abolizione delle trattenute associative e sindacali. Non fu raggiunto,
però, il
quorum. Di natura completamente diversa, invece, è
stato il
r. consultivo svoltosi nel 1989, in contemporanea con gli altri
Paesi della CEE, in merito al conferimento da parte del popolo italiano di un
mandato costituente al Parlamento europeo: esso fu indetto infatti con apposita
legge costituzionale, dal momento che questo tipo di
r. è di norma
previsto dalla Costituzione solo su base regionale e non su scala nazionale.
Risale al 2001 il primo
r. confermativo (dove cioè non è
necessario raggiungere un
quorum) della storia della Repubblica,
riguardante una modifica costituzionale sul federalismo. La vittoria dei
SÌ confermò la riforma costituzionale che diede nuovi poteri a
regioni, comuni e province. Nel 2009 fallì il
r. sulla legge elettorale:
per nessuno dei tre quesiti proposti, infatti, venne raggiunto il quorum. Secondo
i dati diffusi dal Viminale, l'affluenza alle urne fu del 23-24%.
Nel dettaglio, per il quesito 1 (abolizione del premio di maggioranza alla coalizione
più votata alla Camera) votò il 23,4% degli aventi diritto; per il quesito 2
(abolizione del premio di maggioranza alla coalizione più votata al Senato) votò il 23,4%,
mentre per il quesito 3 (abolizione della possibilità per un candidato di presentarsi in più
di una circoscrizione) votò il 24,08%. Si è trattato del peggior risultato di sempre nella
storia dei
r.: il precedente primato negativo risaliva al 2003, con il 25,5% di
affluenza alle urne in occasione del
r. sul reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati.