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Realismo.

Ogni dottrina filosofica che attribuisce alle cose un'esistenza reale, a prescindere dall'attività del soggetto. ║ Senso della realtà, spirito pratico. • Filos. - Nella sua accezione originaria il termine r. venne introdotto nella storia della filosofia a partire dal XV sec., per indicare una delle posizioni manifestatasi fra i secc. XI-XII, nel corso della disputa sugli universali, ossia sulle nozioni di genere e di specie e sul loro valore di realtà. Tale disputa vide fronteggiarsi tre «partiti»: quello dei realisti, secondo cui gli universali derivavano dall'esistenza reale di essenze universali presenti nella mente divina; quello dei nominalisti (per i quali gli universali erano solo segni convenzionali del linguaggio); quello dei concettualisti (per cui gli universali erano il risultato dell'attività logica della mente umana che costruiva un'immagine comune raccogliendo gli elementi simili delle cose). All'interno del R. medioevale era poi possibile distinguere due posizioni, a seconda che la realtà dei generi e delle specie venisse concepita come separata dalla realtà delle cose, considerando quindi gli universali alla maniera delle idee platoniche (R. trascendente), oppure intrinseca alla realtà delle cose, alla maniera della forma aristotelica (R. immanente). Esponenti di spicco del R., nelle sue due forme, furono Anselmo d'Aosta, Guglielmo di Champeaux, Tommaso d'Aquino e Giovanni Duns Scoto. ║ Nella filosofia moderna e contemporanea, il termine r. si è progressivamente legato alla questione se ciò che l'uomo conosce corrisponda, o meno, alla realtà vera delle cose e ha di conseguenza assunto un significato del tutto diverso da quello originario. Il R. moderno si affermò in opposizione all'Idealismo, come dottrina che rivendicava l'indipendenza della realtà empirica dal conoscere umano, dalle sfere mentale e spirituale. Tale spostamento di significato fu imposto definitivamente da Kant e dalla sua rilettura critica della Storia della filosofia. Assumendo questo secondo significato, si può affermare che tutta la filosofia occidentale, almeno fino all'affermazione del soggettivismo cartesiano, sia stata realista; di conseguenza i due diversi significati di r. possono anche trovarsi contemporaneamente presenti nel pensiero dello stesso autore: caso emblematico è quello di Tommaso d'Aquino il cui r. conoscitivo trova espressione nella dottrina della conoscenza come «adeguazione dell'intelletto alla cosa», cioè nell'idea che la conoscenza non sia altro che un rispecchiamento della realtà, reso possibile dal fatto che Dio ha creato le cose e le facoltà conoscitive umane. Sorto in opposizione all'Idealismo e caratterizzato dalla concezione del conoscere come riconoscimento e accettazione di elementi che sono indipendenti dal soggetto, il R. moderno ha assunto configurazioni diverse a seconda del tipo di Idealismo che si è trovato a fronteggiare. Alla concezione, iniziata da Cartesio e Locke, secondo cui il contenuto della conoscenza umana non sono le cose ma le idee, si contrappose a partire dalla seconda metà del Settecento la cosiddetta scuola del senso comune con Th. Reid, D. Stewart e H. Hamilton. Tali pensatori, adottando una visione simile a quella prefilosofica del senso comune, indicavano, nelle cose, l'oggetto proprio della percezione e della conoscenza umana. In funzione antiidealistica anche Kant si richiamò al R. empirico, sostenendo l'impossibilità di dedurre in maniera completa i fenomeni dagli elementi a priori della conoscenza e riconoscendo, quindi, a fondamento di essi un qualcosa di reale, indipendente dal soggetto. Il R. di J.F. Herbart va letto in opposizione alla grande stagione idealistica segnata dal pensiero di Fichte, Schelling e Hegel. Herbart ammetteva, al di fuori del soggetto conoscente, una molteplicità di reali, la cui natura intrinseca rimaneva, tuttavia, inconoscibile per l'uomo. Realistiche sono anche le posizioni di F. Brentano, A. von Meinong e di E. Husserl, che ammettevano l'autonomia della realtà conosciuta rispetto al soggetto conoscente, pur negando l'identificazione dell'oggetto reale con il contenuto dell'atto mentale. Fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento il R. antiidealistico trovò il suo centro d'irradiazione in Gran Bretagna, grazie soprattutto a G.E. Moore e B. Russell. Il primo, rifiutando l'identificazione idealistica dell'essere con il mentale, sostenne la compresenza nella sensazione di due elementi distinti; nei Principia ethica (1903) contrappose al monismo di Bradley un'ontologia realistica pluralistica che riconosceva autonomia e realtà alle qualità sensibili, ai significati, agli universali e anche ai valori etici ed estetici. Allievo di Moore, Russell, nella prima fase del suo pensiero, non solo ne riprese la teoria dell'irriducibilità del reale al mentale, ma cercò anche di basare le sue ricerche logico-matematiche su un'ontologia realistica di marca platonica, conferendo autonoma esistenza a relazioni logiche e significati. Il R. di Moore trovò nuovi approfondimenti nel corso del Novecento fra i filosofi statunitensi, che ne svilupparono le implicazioni gnoseologiche. Risale al 1912 il manifesto del Neorealismo a opera di W.P. Montague, R.B. Perry, E.B. Holt, T.P. Nunn e S. Alexander; in esso l'analisi della sensazione portava all'individuazione del dato sensoriale come oggetto della conoscenza e alla sua identificazione con le cose e le qualità reali. Contro questo tipo di conclusioni, giudicate troppo ingenue, si mossero gli esponenti del cosiddetto R. critico, sorto, sempre negli Stati Uniti, nel corso degli anni Venti. Questa corrente, di cui fecero parte A.O. Lovejoy, J.B. Pratt, G. Santayana, B.W. Sellars, avanzò una teoria della conoscenza basata su tre elementi: l'atto percipiente, il dato colto dalla percezione e la cosa extramentale cui il dato, come segno, rinvia. • Lett. - In senso del tutto generale il termine r. sta a indicare l'assunzione del reale come oggetto proprio della rappresentazione letteraria. In tale accezione generica il termine r. non indica nessun preciso indirizzo letterario, ma riguarda piuttosto la riflessione estetica intorno a scelte formali e contenutistiche del singolo autore. In maniera più circoscritta, si può individuare una specifica corrente realistica che si affermò in letteratura dal XVIII sec. in poi, come conseguenza dei mutamenti socioeconomici e dell'estetica romantica. In concomitanza con l'ascesa storica della borghesia, la classe media cominciò a diventare oggetto di rappresentazione artistica. Si giunse in tal modo a un rinnovamento totale della letteratura, ancora influenzata dalla concezione aristotelica secondo cui i generi «alti», dovevano avere per protagonisti eroi, re e membri delle classi elevate, mentre i generi «bassi», di tipo comico, avevano come personaggi principali esponenti delle classi popolari. In questa direzione agì anche la poetica del Romanticismo con il suo rifiuto delle tematiche tradizionali della letteratura e il richiamo a una produzione più vicina alla realtà concreta dei lettori, al linguaggio e alle problematiche del tempo. In senso più circoscritto il termine r. viene utilizzato, in alcuni casi, per indicare la letteratura narrativa e teatrale fiorita in Francia fra il 1830 e il 1870, i cui teorici furono A. Comte e H. Taine e H. de Balzac il suo maggiore esponente. Il tratto caratteristico del R. di fine Ottocento, ciò che lo individua rispetto alle precedenti correnti realistiche, è l'attenzione da esso conferita alle problematiche sociali. Pur essendo errata l'identificazione fra R. e Socialismo, dal momento che molti degli scrittori realisti furono ben lontani da tale ideologia, è d'altra parte certo che questo ebbe un ruolo notevole l'osservazione della società, con le sue ingiustizie, all'attenzione della letteratura. Dal primitivo nucleo di sviluppo, il R. si irradiò in tutta Europa, assumendo caratteri peculiari a seconda della personalità dei singoli autori e delle peculiari tradizioni nazionali, e diede la sua impronta a tutta la narrativa e il teatro ottocenteschi. Di particolare rilevanza furono gli sviluppi che il R. assunse in Francia e in Italia. In Francia il R. romantico, sotto l'influsso del trionfo del Positivismo, dello scientismo e del materialismo, si evolse nel Naturalismo, mentre in Italia, mescolandosi con la tradizione letteraria nazionale, diede avvio al Verismo. • Arte - Parallelamente all'affermarsi del R. letterario, si registrò un'analoga tendenza nel campo della pittura e della scultura. Tale fenomeno si sviluppò in Francia con particolare evidenza fra il 1848 e il 1860. L'obiettivo di tale corrente artistica era quello di creare un'arte per tutti, non più riservata a fini intenditori, e in grado di rappresentare in modo non retorico la società borghese. Dal punto di vista dell'artista il R. ruppe con la tradizione accademica, affermandosi come un'arte senza scuole. La prima manifestazione del R. può essere fatta coincidere con il Salon del 1848 che, per ordine del Governo rivoluzionario, fu aperto a tutti gli artisti, senza nessuna esclusione. Vi parteciparono non soltanto i pittori parigini, ma anche quelli provenienti dalla provincia, che vi portarono la rappresentazione di un mondo povero e in gran parte rurale, in opposizione alla vita raffinata ed elegante della capitale. Fra gli artisti che parteciparono al Salon del 1848 ricordiamo: i fratelli Adolphe e Armand Leleux, Ch.-J.-E. Loubon, I.-Fr. Bonhomme. Fu proprio in riferimento al quadro di uno di questi artisti di provincia, Porcari di A. Leleux, che venne usata per la prima volta dai critici la parola r. Tuttavia, il R. come corrente artistica precisa nasce nel 1855, anno in cui Gustave Courbet inaugurò a Parigi la sua esposizione personale denominata Pavillon du réalisme. L'iniziativa di Courbet diede il via a un vero e proprio movimento artistico, organizzato e consapevole, cui parteciparono artisti (Bonvin, Carpeaux, Gigoux), critici (Champfleury, Duranty, Castagnary e, in una prima fase, Baudelaire). Contemporaneamente altri pittori francesi, come H. Daumier, si inserivano nell'estetica realista attraverso il tramite della caricatura politica. Il R. di Courbet non si prefiggeva di essere un puro e semplice rispecchiamento della realtà, ma di stimolare nello spettatore un'interpretazione che lo portasse a dare un giudizio critico sulla realtà rappresentata. Ben presto sorsero diverse scuole realiste, non solo in Francia, ma un po' in tutta Europa: a Marsiglia (E. Lobon, A. Aiguier, M. Engalière, P. Gresy, P. Guigou), Lione (A. Ravier, L.-H. Carrand, F. Miel), in Romania (N. Grigorescu, I. Andreescu), in Ungheria (Làzo de Pal), in Svizzera (K. Bomer, B. Menn), nei Paesi Bassi e in Belgio. L'impostazione del R. arrivò anche in Italia, influenzando i paesisti piemontesi, la scuola di Posillipo e gli stessi macchiaioli. Mentre in Francia il R. evolveva verso l'Impressionismo e verso un sostanziale disimpegno sociale, altrove il R. si tradusse soprattutto in rivolta verso l'arte accademica. È il caso della Russia dove, verso il 1870, il gruppo degli Ambulanti ruppe con la tradizione iconografica nazionale per arrivare a un pubblico più vasto. Negli Stati Uniti intorno al 1908 il gruppo degli Otto, di cui facevano parte fra gli altri E. Hopper, J. Marin e P.Evergood, si pose come finalità quella di rappresentare la realtà americana e in particolare quella agricola e industriale, in modo oggettivo. Il R. statunitense trovò ben presto un importante mezzo espressivo nella fotografia, grazie soprattutto all'opera di A. Stieglitz ed E. Steichen. Nato come arte rivoluzionaria vicina alle istanze del Socialismo, nella Germania nazista il R. si trasformò in arte reazionaria con il movimento della Neue Sachlichkeit, sorto come opposizione all'«arte degenerata» degli espressionisti e del Bauhaus. Negli anni Settanta, in concomitanza con la battuta di arresto dei movimenti di protesta studenteschi, negli Stati Uniti e in Europa si andò affermando l'Iperrealismo, dove la rappresentazione del reale portata all'eccesso, si capovolgeva in un'immagine aggressiva e allucinata della realtà. Fra i rappresentanti di questa corrente ricordiamo gli scultori J. De Andrea, D. Hanson e i pittori A. Flack, P. Goings e G. Johnson. ║ R. socialista: metodo della letteratura e della critica letteraria sovietica. Il R. socialista venne ufficialmente adottato durante il primo congresso panrusso dell'Unione degli scrittori sovietici (1934), indetto a seguito della risoluzione del 23 aprile 1932 del Comitato centrale del Partito comunista sovietico che aveva sciolto forzosamente tutte le associazioni letterarie esistenti per creare l'unica Unione degli scrittori sovietici. A questa decisione si accompagnò l'elaborazione di un nuovo metodo cui avrebbero dovuto attenersi tutti gli scrittori operanti all'interno del regime comunista. L'assunzione del R. a forma ufficiale dell'arte rivoluzionaria trovava i suoi fondamenti teorici nel pensiero di Engels. Egli infatti, nei suoi scritti, aveva teorizzato la funzionalità dell'arte realista agli scopi rivoluzionari: rappresentando fedelmente i mali e i beni tipici di una certa situazione storica, essa avrebbe aiutato a preparare l'avvento di una società migliore, o a conservare una condizione sociale giusta. Rompendo con il formalismo borghese, la nuova letteratura sovietica doveva diventare strumento di crescita ideologica nel Paese, celebrando i nuovi eroi e miti socialisti. Fondato sui tre cardini dello spirito di partito, del carattere ideologico e di quello popolare, il R. socialista pose fine alla prima fase «rivoluzionaria» della letteratura socialista, caratterizzata da un forte sperimentalismo. Ispiratore principale del R. socialista fu Maksim Gor'kij, che proprio in occasione del congresso del 1934 esaltò la positività e la carica ottimistica del R., in contrapposizione alla negatività del R. critico borghese. Fra i classici della letteratura realista sovietica ricordiamo: La madre (1906) di M. Gor'kij, Cemento (1925) di F. Gladkov, La disfatta (1927) di A. Fadeev, Sbarre (1928-37) di F. Panferov. Il R. socialista durante l'epoca staliniana fu strumento di censura e repressione; negli anni della destalinizzazione andò mitigando il suo rigore, includendo temi prima proibiti, quali appunto le repressioni staliniane, e dando luogo a una rappresentazione della società sovietica meno ottimistica e celebrativa. • Pol. - R. politico: espressione indicante l'adeguarsi dell'agire politico alla realtà del momento, con spirito pragmatico, senza preoccupazioni di carattere ideologico o morale.
Attilio Pusterla: "Le cucine economiche di Porta Nuova" (Milano, Galleria d'Arte Moderna)