Gruppo di individui (o popolazioni) che si presenta diverso da altri della
stessa specie per un insieme di caratteri ereditari. ║ Con significato
più ristretto, generazione, discendenza, schiatta. ║
Essere di
r.: conservare le buone qualità della propria stirpe o famiglia.
║ Con significato elogiativo in espressioni come
un pittore di r.
║
Far r.: riprodursi, detto, in particolare, di animali. ║
Fig. -
Far r. a sé: non essere paragonabile a nessun altro.
║ Fig. -
Far r. a sé: non cercare la compagnia degli altri.
║ Fig. -
Far r. con qualcuno: trovarsi d'accordo con qualcuno,
essergli amico. ║ Specie, sorta, qualità, tipo:
frutta e ortaggi
di varie r. ║ Spreg. - In senso negativo e polemico, è spesso
seguito dalla preposizione
di, specie in espressioni di insulto:
con
individui di quella r. è meglio non aver niente a che fare. •
Encicl. - Nell'individuazione dei caratteri ereditari che stanno a fondamento
della suddivisione in
r. si possono adottare tre criteri distinti: quello
dell'antropologia fisica classica (cui si sovrappone parzialmente un criterio di
tipo geografico), quello genetico e quello culturale. Non ha senso istituire una
scala gerarchica fra i tre criteri cercando di stabilire quale sia il più
affidabile o efficace: ciascuno ha un suo significato e non può essere
sostituito dagli altri due. Certo è che solamente il criterio
antropologico ha elaborato una classificazione sistematica della specie umana in
r.; viceversa, il criterio genetico e quello culturale, ponendo tale
classificazione a fondamento della propria ricerca, si sforzano di individuare i
caratteri genetici e quelli culturali nell'ambito dei gruppi già
individuati dall'antropologia. • Antropol. - IL termine
r. venne
utilizzato per la prima volta dal naturalista G.-L. Buffon nell'opera
Histoire naturelle de l'homme (1749) per designare gruppi di individui
della specie umana distinti, gli uni dagli altri, sulla base di determinati
caratteri fenotipici comuni (il colore della pelle; la quantità di
pigmento negli strati profondi dell'epidermide; il tipo di capelli; la statura;
la forma del cranio, del naso, degli occhi, ecc.). Ciò nonostante, fu
solamente nella seconda metà del XVIII sec. che si giunse a una
classificazione sistematica delle
r. umane a opera di Buffon, J.F.
Blumembach e Linneo. Nel corso del XIX sec. e dei primi decenni del XX sec., la
definizione di
r. umana venne ulteriormente precisata: al criterio
sistematico-morfologico, infatti, si affiancò un criterio
geografico-funzionale in virtù del quale si procedeva a una suddivisione
degli individui sulla base del fatto che, in un dato momento della loro storia,
occupavano un determinato territorio. Tra i rappresentanti dell'antropologia
fisica classica del XIX sec. ricordiamo L.A. Desmoulin, J. Deniker e G. Sergi;
nel XX sec., invece, si segnalarono E. von Eickstedt, W.C. Boyd, C. Coon, S.M.
Garn e J.B. Birdsell. In Italia la figura che, più di altre,
contribuì allo sviluppo dell'antropologia fu quella di R. Biasutti, che
elaborò un interessante inventario descrittivo delle
r. umane.
L'intuizione di Biasutti si basava sull'esistenza di cicli di forme razziali
(ciclo primario equatoriale, ciclo primario boreale, ciclo derivato subtropicale
e ciclo derivato del Pacifico e dell'America), a loro volta distinti in rami,
quindi in ceppi,
r. e sottorazze. Per quanto articolate e capaci di
fornire il più importante, se non addirittura l'unico, punto di
riferimento nella suddivisione della specie umana in gruppi, le classificazioni
dell'antropologia sono prive di valore scientifico e conoscitivo e risultano,
piuttosto, legate a motivazioni di ordine ideologico, politico, economico ed
esistenziale. Alla perdita di valore delle concezioni antropologiche
contribuì in modo determinante la critica, interna all'antropologia
medesima, all'eccessiva rigidità dei concetti di
r. ed evoluzione,
che nei primi decenni del XX sec. sfociò in un vero e proprio
rinnovamento degli strumenti conoscitivi della ricerca antropologica in senso
storico dinamico e interattivo. • Biol. - La moderna biologia ha
radicalmente rivoluzionato il concetto di
r., suddividendo la specie
umana non più in base a caratteri morfologici, bensì genetici o
interni (i sistemi dei gruppi sanguigni, i polimorfismi enzimatici, quelli delle
immunoglobuline e degli antigeni di istocompatibilità, ecc.). Rispetto a
quello antropologico, il criterio genetico presenta un indubbio vantaggio: i
caratteri interni sono meno esposti dei caratteri esterni alla selezione
naturale operata dell'ambiente, che ha agito in modo diverso a seconda
dell'ambiente proprio di ciascun individuo; misconoscendo questo processo,
l'antropologia classica aveva finito per confondere tra loro diversificazioni
razziali e distanze ambientali. Oltre a ciò la scienza biologica ha
inaugurato il trapasso da una visione qualitativa a una visione quantitativa,
che consente di tradurre i caratteri distintivi di ogni gruppo umano in termini
di frequenze genetiche. R.C. Lewontin, in particolare, avviò una ricerca
in cui si propose di individuare la percentuale della diversità di un
gene polimorfico in relazione a: 1) singoli individui di una medesima
popolazione; 2) popolazioni di una medesima suddivisione razziale; 3)
r.
diverse. I risultati cui giunse lo studioso sorpresero non poco i fautori della
vecchia scienza antropologica: l'85% della variabilità genetica totale si
trovava fra gli individui di una medesima popolazione, l'8% tra popolazioni
della medesima
r. e il restante 7% tra
r. diverse. Lewontin
dimostrò la costanza dei risultati ottenuti, che pure potevano
leggermente variare a seconda del gene considerato. A ciò occorre
aggiungere il fatto che i geni polimorfici esaminati dallo studioso
rappresentano circa il 25% dei geni umani, mentre il restante 75% è
costituito da geni monomorfici, cioè identici sia tra gli individui di
una medesima popolazione sia tra popolazioni diverse. Le somiglianze razziali
stabilite dalla scienza biologica differiscono, dunque, da quelle individuate
dalla vecchia antropologia e mostrano come le differenze tra gruppi geografici
sussistano solo quando ci si riferisce a caratteri fenotipici. ║
Origine delle r.: l'origine di
r. diverse, oltre alla
variabilità genetica, presuppone necessariamente l'isolamento
riproduttivo determinato, come tale, da barriere di vario genere, ad esempio
geografiche, sociali, culturali, politiche, religiose, di casta, ecc. (barriere
che, a loro volta, possono costituire il fondamento di future barriere genetiche
e fisiologiche). All'isolamento riproduttivo si affiancano poi molteplici
fattori, ugualmente responsabili dell'origine di
r. diverse: fattori
deterministici, cioè selettivi e stocastici, come la mutazione, la deriva
genetica e commistione genetica con altri gruppi. • Zoot. - L'insieme
degli individui di una specie animale che si differenziano per uno o più
caratteri costanti, fissati tramite la selezione artificiale e trasmissibili ai
discendenti. Si parla di
r. pura o di
r. imbastardita a seconda
del grado di purezza con cui appaiono nel fenotipo i caratteri voluti. ║
Animale di r.: animale che possiede al massimo grado di purezza le
caratteristiche della sua
r. ║
Animale da r.: animale
allevato per essere destinato alla riproduzione. ║
Passare in r.:
detto di animale che, dopo aver portato a termine l'attività agonistica,
viene impiegato per la riproduzione.