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Razionalismo.

Ogni indirizzo filosofico che consideri la ragione come fondamento del conoscere. • Filos. - In ambito filosofico il termine R. viene usato in un'accezione estremamente allargata per indicare tutte quelle correnti di pensiero che affermano l'omogeneità fra reale e razionale: la realtà risulta cioè governata da un principio intelligibile, che è afferrabile dal pensiero e coincide con l'evidenza razionale o con il pensiero stesso. Con tale significato il R. si contrappone all'Irrazionalismo e trova numerose esemplificazioni nel corso della storia della filosofia. La prima consapevole formulazione del R. può essere individuata nel Sofista di Platone, laddove si distingue fra figli della terra e amici delle Idee: i primi, spiega Platone, asseriscono che tutto in natura sia materiale, accidentale e privo di scopo, mentre i secondi colgono nelle cose materiali il riflesso di forme ideali eterne, cui corrispondono nel pensiero umano i concetti. Poiché, aggiunge Platone, anche Dio va concepito come dotato di anima e pensiero, sono proprio le facoltà razionali a garantire la partecipazione dell'uomo al divino. Il parallelismo fra mente divina, che ordina o crea il cosmo, e mente umana, che lo indaga e lo conosce, rimase a lungo uno dei capisaldi del R. Esso è presente nella concezione aristotelica di Dio come autocoscienza assoluta; quanto al rapporto che lega Dio e la mente umana, in Aristotele si trova in nuce la prima formulazione del tema delle idee innate, da cui dipende l'evidenza razionale del pensiero. Il nostro intelletto non potrebbe passare dalla pura sensazione materiale al coglimento dell'essenza delle cose, se tali essenze non fossero già in atto nella mente divina che ne trasmette all'uomo la cognizione potenziale resa attuale dall'atto conoscitivo. La difficoltà di spiegare i rapporti fra intelletto divino, attivo, e quello umano, passivo, che contrassegna buona parte della storia della filosofia medioevale, spinse Tommaso d'Aquino a fare della ragione umana un autonomo principio conoscitivo. L'accostamento fra mente divina e mente umana ricorre anche nel pensiero di Galileo Galilei che, pur ammettendo un'eterogeneità di estensione, istituì un'uguaglianza di struttura fra le due. Fondamento di tale uguaglianza è la matematica: Dio crea la natura in base a principi matematici che poi fornisce anche alla mente umana: la vera natura delle cose è così accessibile all'uomo grazie ai teoremi matematici; tuttavia mentre Dio conosce l'interezza del reale, l'uomo può conoscere solo alcune verità. In epoca moderna la fiducia nel potere chiarificatore della ragione umana si estese al campo etico, politico e religioso, fino ad arrivare, nell'Ottocento con Hegel, a proporre una visione onnicomprensiva del reale. Già nel mondo antico, del resto, è possibile individuare una chiara posizione di R. etico nella dottrina di Socrate, secondo cui è impossibile conoscere il bene e agire male, comunemente conosciuta sotto il nome di intellettualismo etico. Nella filosofia moderna il R. allargò la sua influenza anche alla politica con Machiavelli, Bodin e soprattutto con Grozio. Quest'ultimo, riconoscendo l'identità di natura e ragione, applicò il metodo matematico-deduttivo al campo del diritto e della politica. Il Deismo settecentesco ricondusse ai limiti della ragione la stessa religione: le verità rivelate coincidono con le verità universali della ragione; l'uomo quindi, indipendentemente dalla Rivelazione, dai dogmi e dalla Chiesa, può pervenire al bene e alla felicità. Sempre in epoca illuministica si diffusero posizioni razionalistiche anche in campo estetico: l'opera d'arte venne concepita come una combinazione armoniosa di elementi e rapporti razionalmente calcolabili. Tale tipo di approccio al fatto artistico ebbe grande fortuna anche in epoca contemporanea, in contrapposizione all'estetica di derivazione romantica, intuizionistica o irrazionalistica. La formulazione più compiuta del R., come si è detto, è rappresentata dal sistema hegeliano e dal noto principio secondo cui «ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale», in base al quale si afferma che il divenire della realtà nella sua totalità (naturale, ma soprattutto storica) è razionalmente strutturato e razionalmente afferrabile dalla filosofia. Il R. hegeliano si configura come processuale e dialettico: esso include in sé anche il male e l'errore che risultano, dall'alto del sapere assoluto della filosofia, «astuzie della ragione», strumenti attraverso i quali essa trova modo di incarnarsi nel reale. Così nel campo biologico la ragione opera avendo come finalità suprema la salvaguardia dell'universalità della specie attraverso la sofferenza, i bisogni e la morte dell'individuo. Nel campo della vita spirituale la ragione agisce, attraverso il divenire storico, col fine di costruire le universalità crescenti della famiglia, della società civile e dello Stato. La realtà, quindi, considerata dal punto di vista individuale, può anche apparire indecifrabile, irrazionale e contraddittoria; è solo sollevandosi a considerare l'«intero», visto come totalità processuale necessaria, che si coglie il procedere dialettico della ragione per tesi, antitesi e sintesi. Questa visione d'insieme è raggiungibile solo attraverso l'arte, la religione e, in maniera suprema, con la filosofia, la quale consente all'uomo di ricondurre la sua coscienza finita all'autocoscienza assoluta. Dopo aver raggiunto l'acme con il sistema hegeliano, il R. conobbe una parabola involutiva, soppiantato dalle correnti irrazionalistiche di fine Ottocento e di inizio Novecento (Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Esistenzialismo). In epoca contemporanea, dopo il tramonto della metafisica e del sapere assoluto, il R. ha ridotto le sue pretese, presentandosi, in una dimensione più ristretta e tecnica, in veste di metodologismo logico-critico nelle correnti neokantiane, neopositiviste e marxiste. Il R. ha rinunciato a porsi come spiegazione onnicomprensiva del reale e i suoi compiti si sono fatti più limitati, oltre che dal punto di vista quantitativo, da quello del modello di razionalità proposto: la ragione non solo si muove in ambiti ristretti, al fine di chiarificare e organizzare dal punto di vista logico-operativo settori particolari dell'esperienza, ma assume come modello dell'attività conoscitiva quello probabilista e fallibilista delle scienze sperimentali. ║ Il R. moderno: in un'accezione più ristretta e storicamente più precisa il termine R. designa una corrente di pensiero sviluppatasi nel continente europeo nel corso del Seicento e contrappostasi all'Empirismo di matrice anglosassone. Le origini di questa categoria storiografica risalgono a Kant e alla sua distinzione fra giudizi analitici e giudizi sintetici. I primi, che procedono indipendentemente dall'esperienza (a priori), caratterizzano i sistemi razionalistici da Cartesio a Leibniz. I secondi, invece, basandosi sull'esperienza (a posteriori) sono propri del modo di ragionare degli empiristi da Locke a Hume. Tale distinzione serviva a Kant per sottolineare le contraddizioni insite in ciascuna delle due posizioni e superarle con la sua teoria dei giudizi sintetici a priori. Hegel riprendendo lo schema kantiano ebbe un ruolo decisivo nel diffondere l'idea di un netto divario fra R. ed Empirismo. La storiografia contemporanea tende a smussare i termini della contrapposizione, sottolineando come anche nell'Empirismo siano presenti elementi di matrice razionalistica. Il grande progetto che caratterizzò il R. moderno fu quello di procedere a una ricostruzione globale del sapere sulla base esclusiva della ragione, prescindendo dall'autorità, dalla tradizione, dal dogma. Iniziatore della corrente è considerato Cartesio, il cui Discorso sul metodo costituisce una sorta di manifesto del R. moderno. In esso Cartesio illustra i due momenti fondamentali della ragione: quello critico e quello costruttivo. Nel primo vengono accantonate le credenze del senso comune e il sapere delle scuole in quanto non costruito su solide basi. Il secondo consiste in un metodo che, sul modello del ragionamento matematico, conduce a conoscenze dotate di assoluta evidenza, ovvero alle idee chiare e distinte. Proprio il tema delle idee fu una delle grandi questioni che contrappose razionalisti ed empiristi. Cartesio distinse i contenuti mentali in tre categorie: 1) le idee avventizie, derivanti dall'esperienza; 2) le idee fattizie, prodotto dell'immaginazione tramite giustapposizione di parti di idee avventizie; 3) le idee innate, presenti nella mente fin dalla nascita e indipendenti dall'esperienza; tale è l'idea di Dio. Per i razionalisti solo la conoscenza delle idee innate è dotata di caratteri di assoluta certezza, e da essa bisogna partire per costruire catene di ragionamenti che, attraverso molteplici tappe dotate di certezza ed evidenza, conducano a conclusioni sicure. Gli empiristi, pur accettando le idee e la validità del metodo logico-analitico, rifiutavano la nozione di idee innate, cercando di mostrare la derivazione di tali conoscenze dall'esperienza. La scomposizione e ricomposizione delle idee devono portare, secondo i razionalisti, a individuare dietro l'apparente disordine qualitativo dei fenomeni, l'ordine razionale che li regola e a costruire una «seconda natura» delle cose, disponibile per la manipolazione dell'uomo. Il progetto di riforma del sapere perseguito dal R. doveva applicarsi a tutte le scienze, compresa la morale e la religione; si inseriscono in questo contesto i tentativi di Hobbes e di Spinoza di ricondurre la morale al metodo geometrico-deduttivo. Il più ambizioso progetto del R. fu concepito da Leibniz con la sua ars combinatoria. Posto che le connessioni fra le cose non possono mai contravvenire al principio logico di non contraddizione, l'individuazione delle idee prime di tutte le cose esistenti avrebbe permesso, secondo Leibniz, di calcolare algebricamente ogni loro combinazione logicamente possibile e di costruire, indipendentemente dall'esperienza, una sorta di mappa di tutti i possibili stati dell'universo conoscibile. • Arch. - Corrente architettonica sorta in Germania intorno al 1920 e in seguito diffusasi soprattutto in Francia e Olanda, spesso assimilata al Funzionalismo. Il R. affonda le sue radici nelle tendenze degli architetti della «rivoluzione illuminista» di fine Settecento, nella scuola inglese dell'Arts and Crafts del XIX sec., nelle teorie esposte dall'austriaco A. Loos in L'ornamento è delitto (1908). In realtà sotto l'etichetta storiografica di R. vengono accomunate posizioni alquanto distanti fra loro, quali quella di Le Corbusier, del Bauhaus, di L. Mies van der Rohe, degli architetti tedeschi della Repubblica di Weimar, che non costituiscono né una scuola né un insieme perfettamente omogeneo. È tuttavia possibile rintracciare, pur nella varietà delle posizioni, alcuni elementi comuni. Presupposto fondamentale su cui si basano le teorie del R. è il riconoscimento del fondamentale valore sociale dell'architettura; a ciò si accompagna un'estetica volta a ridurre la forma all'essenziale e puro segno, per cercare di costruire un linguaggio espressivo privo di riferimenti simbolici, che si adatti al «linguaggio delle cose» imposto dalla società tecnologica. Bisogna dunque ricercare e individuare le funzioni primarie di ogni elemento nell'ambiente umano; su tali fattori oggettivi e funzionali dovrà essere condotta la fase di progetto: la scelta di materiali e tecniche costruttive deve essere basata su principi di economicità e di industrializzazione della produzione, bandendo ogni riferimento agli stili storici e alle decorazioni. Le soluzioni progettuali ideate in questo modo dovranno essere applicabili non solo alle diverse tipologie architettoniche (edilizia residenziale, industriale, ecc.), ma anche a ogni bene d'uso (dall'oggetto alla città) in conseguenza di esigenze funzionali. In questo contesto l'adozione di caratteri architettonici regionali è condizionata da motivazioni funzionali. Dal punto di vista urbanistico, la città e il territorio vengono suddivisi in zone caratterizzate da distinte funzioni (residenziali, commerciali, agricole, industriali, ecc.). Contemporaneamente si afferma anche l'esigenza che il R. non si limiti a soddisfare solo le necessità materiali, ma che elabori anche soluzioni di carattere estetico e poetico. In questo contesto si inseriscono le commistioni fra R. e avanguardie artistiche del Novecento, volte a superare la mera esigenza funzionalistica e pervenire a una maggiore attenzione per gli aspetti estetici. La diffusione delle idee propugnate dal R. venne favorito dall'acceso dibattito che si sviluppò intorno ai problemi dell'urbanistica fra gli anni Venti e Trenta in connessione con importanti interventi di edilizia popolare. In Gran Bretagna il R. si affermò con il gruppo Tecton, cui parteciparono fra gli altri B. Lubetkin, D. Lasdun, O. Arup, e grazie all'intervento di molti architetti tedeschi (M. Breuer, E. Mendelsohn, e lo stesso Gropius) espatriati dopo la caduta della Repubblica di Weimar. Il R. svizzero è rappresentato da figure quali K. Moser, M. Moser e R. Mauillart. In Francia ricordiamo A. Perret, T. Garnier, R. Mallet-Stevens, H. Sauvage. In Unione Sovietica, il R. si diffuse negli anni Venti con V. Vesnin, G.B. Barhin e A.Z. Ginzburg. Il R. giunse anche in Giappone, dove il primo edificio razionalista venne progettato da T. Murano nel 1932. In Italia nel 1926 gli architetti riuniti nel Gruppo 7 (L. Figini, G. Pollini, G. Frette, A. Libera) si richiamarono al R.; una chiara influenza razionalista è anche individuabile nei progetti di G. Pagano, G. Terragni e I. Gardella. Negli Stati Uniti la diffusione avvenne tramite gli immigrati tedeschi. A partire dal 1932 venne presentato come International Style per sottolineare l'internazionalità del nuovo stile (H.R. Hitchcock e P. Johnson).