Filosofo statunitense. Compiuti gli studi superiori a Baltimora, nel 1939 si
iscrisse alla Princeton University dove, nel 1950, conseguì il Ph.D.;
nella sua tesi,
Studio sui fondamenti della conoscenza etica,
R.
si concentrò sull'analisi della formulazione di giudizi etici da parte di
soggetti razionali. Nel 1953, ottenne una cattedra alla Cornell University, cui
nel 1960 rinunciò per insegnare al Massachusetts Institute of Technology;
nel 1962 fu nominato professore di Filosofia presso l'università di
Harvard. Dopo un accurato e scrupoloso lavoro di ricerca raccolto in vari saggi
e articoli,
R. compose la sua opera principale,
Una teoria della
giustizia (1971). In essa il filosofo fece propria l'idea di un
«contratto sociale» che Hobbes, Locke, Rousseau e Kant, pur con le
debite differenze, svilupparono come segue: dal momento che, per diritto
naturale, tutti gli uomini governano se stessi, ma nessuno governa sugli altri,
allora occorre istituire un ordinamento politico, purché giusto e
legittimo. La tradizione filosofica, tuttavia, non era stata in grado di
rispondere a varie domande: come si poteva considerare giusto un governo se in
esso gli individui erano poveri o venivano sfruttati o, ancora, se erano nati
già all'interno dello Stato, senza aver avuto la facoltà di
sottoscriverlo esplicitamente? Per superare queste difficoltà,
R.
reinterpretò l'idea del «contratto sociale», elaborando una
teoria contrattualista della giustizia sociale, da lui definita come
equità (
fairness) e considerata quale virtù delle
istituzioni sociali e pietra di paragone per il loro giudizio. Fondamento di
tale teoria è la scelta da parte di esseri razionali dei principi cui
dovrebbero ispirarsi le istituzioni sociali, allo scopo di assicurare
contemporaneamente i maggiori benefici possibili per i singoli e la
collettività.
R., dunque, postulò un «contratto
ipotetico» finalizzato a garantire l'equità dei principi di
giustizia scelti e stipulato in un'ipotetica «situazione originaria»,
in cui un «velo d'ignoranza» impedirebbe ai soggetti di conoscere a
priori le conseguenze delle loro scelte (sia verso loro stessi sia verso gli
altri), nonché la posizione che occuperanno una volta costituita la
società e le doti naturali possedute da ciascuno. Solamente in tale
situazione, secondo
R., gli uomini sceglierebbero due fondamentali
principi di giustizia, riuscendo a prescindere da interessi o pregiudizi e
ispirandosi unicamente al rispetto per gli altri e alla volontà di
istituire un piano di vita razionale: in base al «primo principio», i
limiti della libertà di ognuno sono rappresentati dalla medesima
libertà di cui devono godere anche gli altri; in base al «secondo
principio» o «principio della differenza», le disuguaglianze
economiche e sociali risultano accettabili solo nel caso in cui apportino dei
vantaggi ai gruppi più svantaggiati. Principi basilari della teoria di
R. sono l'accordo fra la ricerca razionale e l'intuizione o il sentimento
di ciò che è giusto, la cooperazione sociale per il mutuo
vantaggio contro l'utilitarismo e la stretta relazione che intercorre fra
giustizia, società e dignità delle persone, tutte idee di chiara
ispirazione kantiana. L'opera di
R., per prima, ha considerato la
riflessione sulla giustizia come autonomo campo di studio a metà strada
fra la filosofia della politica e la filosofia morale. A
Una teoria della
giustizia fecero seguito vari articoli e l'altro grande scritto di
R.,
Liberalismo politico (1993). In esso il filosofo
riaffermò i medesimi principi che avevano ispirato la sua prima
produzione, esaminando anche come si porrebbero di fronte a questi principi
individui con visioni morali diverse e diverse concezioni del bene. Tra le opere successive si ricordano
Hiroshima non dovevamo (1995) e
Il diritto dei popoli (2001) (Baltimora
1921 - Lexington, Massachusetts 2002).