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Rāmāyana.

Voce sanscrita: il viaggio di Rāma. Poema epico indiano, è la composizione più estesa, dopo il Mahābhārata, della letteratura sanscrita: esso consta di 24.000 strofe (s'loka), divise in 7 libri (kānda), per 645 capitoli (sarga). L'anziano re di Ayodhyā, Das'aratha, ha tre figli, Rāma, Bharata e Lakshmana. Il primo è il successore designato ma, a causa degli intrighi della matrigna, viene condannato a un esilio di 14 anni insieme alla moglie Sītā e al suo posto è destinato al trono Bharata. Quest'ultimo tuttavia, alla morte del re, rifiuta il titolo regale e si definisce reggente in favore del sovrano legittimo, Rāma; questi, per mantenere la parola data al padre, decide di continuare il suo esilio fino al tempo stabilito, accompagnato dalla moglie e, volontariamente, dall'altro fratello Lakshmana. Nella foresta dove vivono, i tre sono perseguitati dagli attacchi di demoni feroci (i rākshasa), cui i due guerrieri infliggono gravi sconfitte. Per rappresaglia il re dei rākshasa, Rāvana, rapisce Sītā e la nasconde sull'Isola di Lankā. Rāma, con l'aiuto del popolo delle scimmie e del loro re, dopo un lungo viaggio, libera la moglie, uccide il demone e sale vittoriosamente e piamente al trono che gli spetta di diritto. La narrazione si segnala per una qualità artistica di prima grandezza, sia per le atmosfere fantastiche, sia per l'esaltazione di grandi valori umani (l'eroismo, il senso del dovere, la devozione negli affetti, in particolare sponsale e fraterno, l'amore per la natura, ecc.), sia per gli esempi di profonda intuizione psicologica relativi alle figure dei protagonisti e alle loro azioni. La misura narrativa dello s'loka, inoltre, fu utilizzata per la prima volta nel R. che, a buon diritto, fu poi detto l'Adikāvya (il primo poema). Con esso fu anche inaugurato uno stile, chiamato appunto kāvya, che prosperò in epoca classica, caratterizzandosi per la cura formale, per l'argutezza e la ricercatezza delle descrizioni, talvolta manieristiche, che, invece, nel R. mostrano la freschezza, la semplicità, la felicità espressiva delle innovazioni. Secondo la tradizione, cui nella sostanza si accorda anche la moderna filologia, il R. fu opera del poeta e brahmano Vālmīki, primo poeta d'arte (kavi), autore del nucleo centrale del poema contenuto nei libri dal II al VII e composto verosimilmente tra il III e il II sec. a.C. La materia del R., tuttavia, era diffusa nella cultura orale dell'India già da prima che Vālmīki la raccogliesse e la rielaborasse secondo una concezione unitaria; al di là della lettera del racconto, essa è stata interpretata dagli studiosi secondo chiavi differenti ma non sempre inconciliabili. A partire dall'etimologia del nome della sposa di Rāma (sītā: solco), la vicenda è stata letta come drammatizzazione di un mito agricolo, in cui Rāma avrebbe il ruolo di difensore della terra e dell'agricoltura, introdotta dai conquistatori ari, dagli attacchi degli indigeni ostili, e mutuerebbe anche la funzione mitica dell'ormai dimesso Indra della religione vedica, liberatore delle acque fecondatrici della terra. Un'altra possibile interpretazione è quella che vede adombrata nel racconto la storia dell'espansione e della penetrazione aria (culturale prima che armata) dal Nord del subcontinente indiano verso l'altopiano del Deccan, a Sud dei Monti Vindhya. In quest'ottica, i demoni rappresenterebbero gli aborigeni ostili alla penetrazione aria, Rāma e i suoi le avanguardie civilizzatrici, la cui avanzata era favorita da alleanze con altri gruppi tribali aventi come totem la scimmia. Il dato di maggiore importanza, tuttavia, è che, a partire dal nucleo dovuto a Vālmīki, unitario nella concezione e nella composizione, si irradiarono nei secoli numerose interpolazioni e divagazioni, aggiunte da bardi e rapsodi di vari luoghi ed età, per compiacere esigenze locali, politiche e comunque, in primo luogo, della casta brahmanica. I brahmani, infatti, riuscirono a trasformare quest'epica, nata come celebrazione delle virtù e della potenza della classe guerriera (kshatriya), nell'esaltazione della priorità sociale e del monopolio religioso di quella sacerdotale. A tale scopo rispose anche la macroscopica interpolazione dei libri I e VII del R., narranti rispettivamente la fanciullezza di Rāma e una sorta di epilogo della saga relativa: sono queste due sezioni, sicuramente apocrife, a presentare il protagonista come settima incarnazione del dio Visnu (talvolta anche in piena disarmonia rispetto alle caratteristiche di estrema umanità attribuitegli negli altri libri) e a volgere a gloria dei brahmani la sua natura di re e guerriero modello. I tentativi di definire con buona approssimazione una data cui collegare il R. hanno dovuto conciliare problematiche inerenti la non coincidenza, sia testuale sia cronologica, tra il nucleo composto da Vālmīki e la forma attuale del poema stesso, che comprende le cospicue interpolazioni citate (V. SOPRA). In generale tuttavia, gli studiosi concordano nel ritenere conclusi gli interventi apocrifi entro il II sec. d.C.: se consideriamo che la stesura iniziale dell'autore può risalire, verosimilmente, anche al III sec. a.C., risulta che il R. si costituì nel corso di ben 500 anni. Al termine di un siffatto processo, ci sono pervenute ben tre redazioni, che presentano varianti reciproche di consistenza importante, al punto che circa un terzo di ciascuna versione manca completamente nelle altre due. Tali diversità sono senza dubbio da attribuire a influenze di carattere regionale ed è stato anche grazie alle tecniche filologiche di raffronto tra i testi che sono state individuate le sezioni più antiche del poema, sicuramente riferibili a Vālmīki. La versione nord-occidentale pare la più antica e sembra aver subito meno interventi tardivi; la meridionale, detta anche di Bombay perché stampata più volte in questa città, è la più nota e diffusa; quella bengalese è la redazione più ampia e che ha subito maggiori interpolazioni, ma è stata anche la prima a essere tradotta integralmente in una lingua europea, con la pubblicazione della versione italiana di Gaspare Gorresio (Parigi 1843-67; Milano 1869-70). Attualmente, in aggiunta alle traduzioni del poema che sono state fatte in tutte le lingue moderne dell'India, è quasi conclusa la preparazione dell'edizione critica del R., a partire dai manoscritti delle versioni principali, a cura dell'Istituto Orientale dell'università di Baroda.