Voce araba: ardente, torrido. Nono mese del calendario lunare musulmano;
finché il calendario arabo fu lunisolare (cioè soggetto a
correzioni che permettevano di mantenere una corrispondenza abbastanza stabile
tra un mese e una determinata stagione), il
R. cadeva durante l'estate,
fatto cui deve il suo nome. La riforma coranica, però, istituì il
calendario lunare puro, con mesi di 29 o 30 giorni, per il quale le
festività musulmane risultano essere mobili rispetto al susseguirsi delle
stagioni, secondo un ciclo di circa 33 anni. • Rel. - Il
R.
è un periodo di particolare importanza nell'anno islamico
perché al suo interno (e precisamente la notte tra il 26 e il 27) ricorre
laylat al-qadr (la notte del destino), durante la quale il Corano fu
rivelato al Profeta e discese dal cielo. Questo è il mese più
sacro, celebrato mediante il digiuno obbligatorio (
saum), stabilito dal
Profeta come uno dei cinque pilastri della fede (
arkn al-dīn)
(V. anche PRECETTO).
Maometto, infatti, durante il secondo anno dell'Egira, sostituì il giorno
settimanale di preghiera e riconciliazione, mutuato dalla tradizione ebraica,
con il digiuno ramadanico. Tale precetto, a tutt'oggi quello osservato
più scrupolosamente dalla quasi totalità dei fedeli, è
assai gravoso e impegnativo e prescritto a ogni musulmano sano e maggiorenne.
Consiste nell'astensione dal cibo, da bevande di qualunque tipo (secondo alcune
correnti di esegeti sarebbe addirittura proibito deglutire la propria saliva),
dal fumo e dalle attività sessuali a partire dall'alba e fino al
tramonto. Il fedele deve assumere come criterio per stabilire con esattezza
l'inizio e la sospensione quotidiana del digiuno il momento in cui diventa,
rispettivamente al sorgere e al calare del Sole, possibile o impossibile
distinguere alla luce del crepuscolo un filo bianco da uno nero. Ogni sera le
famiglie si riuniscono in casa a condividere l'unico pasto della giornata e dopo
la preghiera rituale della sera (
salāt), possono trascorrere parte
della notte in lettura, meditazione e preghiera libera (
du'ā). Il
periodo di digiuno termina al sorgere della prima esile falce di luna del mese
successivo (
shawwāl), e la sua fine coincide con una delle due feste
principali del calendario musulmano, detta
īd al-fitr (festa della
rottura [del digiuno]) o
īd al-saghīr (festa piccola), in
quanto collegata a
īd al-kabir (festa grande), che dura quattro
giorni e ricorda il sacrificio di Ismaele. Malgrado il nome, la festa piccola
è in quasi tutti i Paesi islamici la più popolare: dura tre giorni
e, poiché vi è l'usanza di regalarsi dolciumi, è anche
detta
sheker bayram (festa dello zucchero). Per quanto riguarda il
significato del digiuno del
R., è importante rilevare la
differenza sostanziale che intercorre tra tale pratica e il digiuno quaresimale
dei cattolici. Il
saum islamico non ha carattere penitenziale e di
espiazione, bensì prettamente quello di esercizio di autocontrollo e
disciplina sia individuale sia comunitaria. A riprova di ciò sta sia la
consuetudine per cui ogni giorno i fedeli annunciano ad alta voce la propria
libera volontà (
nīya) di rispettare l'impegno del digiuno,
sia il quotidiano ritorno alla normalità con il pasto serale (per nulla
frugale). Infatti l'Islam non conosce, a differenza della mistica ebraica e
cristiana, la connessione salvezza-sofferenza-espiazione: per l'Islam la
sofferenza non ha alcun valore soteriologico (Maometto morì vincitore
nella sua opera religiosa, militare, e politica e anche la sua vita privata fu
positiva). Il fedele musulmano non cerca, dunque, nella pratica religiosa
né consolazione per le proprie sofferenze, né il raggiungimento di
un fine salvifico mediante la libera assunzione di una pratica espiatoria, ma
piuttosto una guida per la conduzione della propria vita che gli consenta, se
mai, di eliminare da essa il dolore.