Pittore e architetto italiano. Fu indirizzato alla pittura dal padre Giovanni
Santi, pittore di non eccelse qualità, seguace di Piero della Francesca;
si giovò quindi degli insegnamenti di Evangelista di Pian di Meleto e di
T. Viti; quest'ultimo, ritornato nel 1495 a Urbino da Bologna, lo introdusse
alla pittura emiliana del Francia e di L. Costa. La corte di Urbino, ambiente
nel quale
R. iniziò la sua formazione, nella seconda metà
del XV sec. era un centro culturalmente attivo, grazie alla presenza di artisti
quali L. Laurana, F. di Giorgio Martini e Piero della Francesca, protetto di
Federico da Montefeltro. Le concezioni di tali artisti esercitarono un notevole
influsso sul Perugino, nella cui bottega, fra il 1500 e il 1504 circa, ebbe
luogo il sistematico apprendistato di
R., che
risentì dei
modi del maestro, del quale assimilò il mondo pittorico, formato da
figure dolcemente mistiche e malinconiche. Al 1498-99 risale l'affresco
raffigurante la
Madonna con Bambino (Urbino, casa Santi); nel 1500-01
dipinse, in collaborazione con Evangelista di Pian di Meleto, la
Pala di San
Nicolò da Tolentino per la chiesa di Sant'Agostino a Città di
Castello, di cui restano solo frammenti raffiguranti un
Angelo. Allo
stesso periodo risalgono due tavole con
Madonna leggente con Bambino e
Madonna con Bambino e i santi Girolamo e Francesco (1500-01; Berlino,
Staatliche Museen);
San Sebastiano (1501-02, Bergamo, accademia Carrara);
la
Crocifissione Mond o
Pala di Città di Castello (1502-03,
Londra, National Gallery); la
Pala Oddi (1502-03, pinacoteca Vaticana).
Nel 1503-04
R. dipinse per la chiesa di San Francesco a Città di
Castello lo
Sposalizio della Vergine (Milano, pinacoteca di Brera): in
quest'opera l'influsso del Perugino rimane valido, ma lo spirito che informa
l'opera è totalmente differente, in quanto è raggiunta la piena
consapevolezza della costruzione spaziale, ottenuta attraverso l'impiego della
prospettiva lineare e la disposizione delle figure su un piano ad andamento
curvilineo. La luce chiarissima, fluendo dal fondo sul tempio, si gradua nella
fuga prospettica delle lastre del piazzale, fino a comporsi armoniosamente,
senza bruschi passaggi, con quella che investe i personaggi.
R.
assimilò la tecnica luministica di Piero della Francesca e
realizzò magistralmente l'unità tra i personaggi, l'architettura e
il paesaggio. Nel 1504
R. si trasferì a Firenze: qui ebbe il primo
incontro approfondito con la cultura contemporanea, nella quale si inserì
ben presto da protagonista. Pur mantenendo contatti con l'ambiente urbinate e
umbro dal quale proveniva,
R. rimase a Firenze quattro anni, dedicandosi
ad aggiornare il proprio talento espressivo sulla base degli esempi di Leonardo,
di Michelangelo e di Fra' Bartolomeo. Ai primi mesi del soggiorno fiorentino
risale la tavoletta del
Sogno del Cavaliere (1504, Londra, National
Gallery), opera che rivela già la poetica di
R. Un tipo di
spiritualità originale scaturisce dall'unità della composizione:
il paesaggio, descritto con amore, trasmette la sua dolcezza al personaggio
inerte nel sonno attraverso le due classiche figure femminili; oltre a
ciò, appaiono evidenti le doti di colorista e di compositore innate in
R. Altri due dipinti di piccolo formato creati da
R. agli esordi
del periodo fiorentino sono le tavolette delle
Tre Grazie (Chantilly,
Museo Condé), realizzazione pittorica della perfezione plastica e ritmica
cara all'ideologia rinascimentale, e la
Madonna Connestabile (San
Pietroburgo, Ermitage), umana e semplice sullo sfondo del vasto paesaggio
percorso da sottili alberelli: in queste opere l'apparente semplicità
della struttura è di fatto il risultato di uno studio accurato degli
equilibri e dei ritmi della composizione. Allo stesso periodo appartengono anche
La Madonna in trono con San Giovanni Battista e San Nicola (Londra,
National Gallery) e le due tavole
San Giorgio e
San Michele
(Parigi, Louvre). Proprio negli anni del soggiorno di
R., Firenze
accoglieva Leonardo e Michelangelo, tormentati nella ricerca di una nuova
plasticità e di un nuovo linguaggio visivo; tuttavia,
R. non ebbe
questo travaglio spirituale, in quanto seppe selezionare - da uomo ancora
pienamente inserito nel Rinascimento - i risultati che i due grandi gli
offrivano. Il chiaroscuro, lo sfumato e il plasticismo arricchirono il suo
linguaggio nelle opere di questo periodo: fra esse la
Madonna degli
Ansidei (1504-06, Londra, National Gallery), dove le figure sono raccolte in
una quiete monumentale; la
Madonna del Granduca (1504 circa, Firenze,
palazzo Pitti), nella quale lo sfumato leonardesco viene assunto a esprimere
valori spirituali elementari; il
Ritratto di Ignota (Urbino, Galleria
nazionale), che costituisce forse l'espressione più notevole del processo
evolutivo dell'artista, il quale recepì originalmente lo sfumato per
scorporare la compattezza e la piattezza del modellato, conferendogli leggerezza
e morbidezza. Anche in altre opere
R. rivelò le sue doti di
ritrattista geniale: nel
Ritratto di Signora con liocorno (Roma, galleria
Borghese) e in quelli di
Agnolo e
Maddalena Doni (Firenze, palazzo
Pitti) tradusse in immagini di altissima poesia la ricerca psicologica
dell'essenza interiore del soggetto. Nei medesimi anni
R.
approfondì il tema della Madre, del Bambino e della Sacra Famiglia in una
serie di quadri: la
Piccola Madonna Cowper (Washington, National Gallery
of Art); la
Madonna detta
del Belvedere (Vienna, Kunsthistorisches
Museum), il cui schema piramidale riecheggia quello della
Vergine delle rocce
di Leonardo; la
Bella Giardiniera (Parigi, Louvre), la
Sacra
Famiglia con San Giovannino e Sant'Elisabetta (Monaco, Alte Pinakothek) e la
Madonna del Cardellino (Firenze, Uffizi). Dipinte tra il 1506 e il 1508,
queste opere descrivono il rapporto tra la Vergine e il Figlio in una natura
idillica: le immagini sacre, idealizzate, raggiungono un equilibrio che tende
all'assoluta perfezione formale, mentre la struttura delle composizioni e lo
sfumato - che penetra il colore delle figure e del paesaggio, avvolgendoli
entrambi in un'atmosfera rarefatta e misteriosa - sono di chiara impronta
leonardesca. A questo stesso periodo risalgono anche la
Madonna Tempi
(Monaco, Alte Pinakothek) e la
Deposizione (Roma, galleria Borghese),
dipinta per commemorare l'uccisione di quattro membri della famiglia Baglioni: i
numerosissimi disegni preparatori dimostrano l'estrema elaborazione della
struttura dell'opera. Lo schema della composizione è centrico e
R.
volle fondervi i due temi della deposizione di Cristo e dello svenimento della
Vergine: gesti e pose michelangioleschi esprimono la tragedia, mentre il
paesaggio, riflettendo il sentimento dei personaggi, concorre a unificare le due
azioni. Nel 1508 il papa Giulio II chiamò a Roma
R.,
il
quale lasciò incompiuta la
Madonna del Baldacchino (Firenze,
palazzo Pitti), che fu poi terminata nel 1697 da Nicolò e Agostino
Cassano. In essa si intuiscono già, nel nuovo rapporto fra figure e
ambiente architettonico, la pienezza e l'articolazione compositiva che
R.
attuò soprattutto nei grandi cicli del periodo romano. Il pontefice
aveva già affidato la decorazione delle stanze Vaticane a Sodoma e al
Bramantino, i quali avevano dato inizio ai lavori nella stanza della Segnatura;
tuttavia Giulio II, entusiasta dei primi risultati di
R., affidò
solo a lui l'attuazione dell'intera impresa. Nella stanza della Segnatura
(1508-12) l'artista urbinate realizzò la celebrazione dei tre principi
basilari della dottrina neoplatonica (il Vero, il Bene, il Bello), attraverso
affreschi che per la loro grandiosità emulavano quelli che Michelangelo
andava allora eseguendo nella cappella Sistina. Il Vero è rappresentato
dalla
Teologia e dalla
Filosofia, sulla volta, accanto al pannello
del
Peccato di Adamo, cui corrisponde sulla parete la
Disputa del SS.
Sacramento (vero di fede): l'anima umana, perduta con il peccato di Adamo la
conoscenza della verità divina, è redenta da Cristo, con il
sacrificio che si rinnova nell'Eucaristia. Sempre sul soffitto è
raffigurata la
Contemplazione dell'Universo, e sulla parete sottostante
la
Scuola di Atene (vero di ragione e di scienza), che illustra la
continuità fra pensiero antico e pensiero cristiano. L'immagine della
Giustizia e il
Giudizio di Salomone, sulla volta, raffigurano
idealmente il concetto del Bene, mentre sulla parete appaiono le allegorie delle
Virtù del Giudice (
Forza, Verità e Moderazione) e i
due affreschi glorificanti il diritto civile e il diritto canonico, vale a
dire
Triboniano che consegna le Pandette a Giustiniano e
Gregorio IX
che approva le Decretali (celebrazioni della giustizia terrena e divina).
Infine la raffigurazione dell'idea neoplatonica del Bello è affidata
all'immagine della Poesia, con la
Gara di Apollo e Marsia sul soffitto e
la celebrazione del
Parnaso sulla parete. La complessità di una
simile concezione - in cui le personificazioni affrescate sulla volta si
configurano come proiezioni nella «sfera delle idee» dei concetti
rappresentati sulle pareti - venne risolta genialmente in immagini da
R.,
che articolò perfettamente il rapporto mito-religione, secondo i dettami
della dottrina neoplatonica. Cronologicamente, la prima delle decorazioni
parietali è la
Disputa del SS. Sacramento, in cui sono celebrate
la Chiesa Militante e la Chiesa Trionfante, unite dalla figura di Cristo che
rinnova il miracolo dell'incarnazione nell'Eucaristia. Accanto alla celebrazione
del mistero cristiano,
R. pose quella del pensiero antico, con la
Scuola di Atene: inserite in un contesto architettonico grandioso (il
tempio della sapienza, le cui forme furono ispirate a
R. dai progetti di
Bramante per il nuovo San Pietro), le severe figure dei sapienti acquistano
vigore dalla stessa monumentalità e rappresentano forse la più
compiuta esaltazione dell'Umanesimo; la compattezza del colore e del chiaroscuro
rivelano un rinnovamento nella pittura dell'artista, colpito dalla
plasticità delle figure della Sistina. La presenza della porta nella
terza parete costrinse
R. a una composizione dalla struttura forzata; il
Parnaso è il meno felicemente concluso degli affreschi, per il
tono enfatico dei personaggi, mentre il livello compositivo torna a più
alti valori nelle classiche figurazioni delle tre
Virtù e
nell'affresco di
Papa Gregorio IX. Contemporaneamente alla decorazione
della stanza della Segnatura, terminata nel 1512,
R. dipinse la
Madonna di Foligno (Roma, pinacoteca Vaticana), con il tipico schema
compositivo a due piani, ripetuto poi più volte nel Cinquecento; il
Ritratto di cardinale (Madrid, Prado), dove ancora una volta l'artista
rivelò le sue eccezionali capacità di analisi del personaggio; il
Trionfo di Galatea (Roma, Farnesina), celebrazione gioiosa e di
intensa plasticità del trionfo pagano; il
Profeta Isaia (Roma,
Sant'Agostino), ispirato agli affreschi di Michelangelo nella Sistina; la
Madonna d'Alba (Washington, National Gallery of Art). Nel 1512 iniziarono
i lavori per la decorazione della seconda stanza Vaticana, nella quale
R.
intese celebrare il pontificato di Giulio II: gli affreschi parietali
rappresentano l'intervento di Dio nelle vicende umane, con la
Cacciata di
Eliodoro dal tempio, il
Miracolo di Bolsena,
Attila davanti a
Leone Magno, la
Liberazione di San Pietro. Inoltre, il
Sacrificio
di Isacco, la
Visione di Giacobbe, il
Roveto ardente e
l'
Uscita di Noè dall'arca costituiscono la decorazione del
soffitto, quasi certamente compiuta dagli aiuti. Dalla solennità della
prima stanza
R. passò in questa (detta stanza di Eliodoro)
a visioni piene di
pathos e di tensione lirica. I suoi mezzi
espressivi si erano nel frattempo arricchiti, anche in virtù del
contatto
con la pittura veneziana di Sebastiano del Piombo e di Lorenzo
Lotto.
R. approfondì infatti lo studio del colore e riuscì
a svilupparne tutte le possibilità espressive, superando i limiti del
cromatismo veneto: il colore, distribuito sui piani con intensità e
gradazioni legate al ritmo della composizione, diviene luce vibrante sui volti e
nei gesti dei personaggi. Il capolavoro della stanza è il
Miracolo di
Bolsena, nel quale
R., spostando l'asse della composizione,
riuscì a superare brillantemente la difficoltà costituita dalla
finestra, inscritta nella parete, in posizione insolita: il movimento inizia da
sinistra con il gruppo delle madri, in sintonia con il graduarsi dei colori che
passano dai toni dolcemente rosa e gialli ai rossi intensi e caldi degli abiti
dei cardinali e delle guardie immobili. Anche nella
Liberazione di San
Pietro la luce assurge al ruolo di protagonista, irradiandosi dalla figura
dell'angelo a dare consistenza alle guardie e al santo prigioniero; un'intensa
drammaticità pervade la
Cacciata di Eliodoro, mentre la forte
presenza degli aiuti G. Romano e G.F. Penni
interrompe, nell'
Incontro
di Attila e di Leone Magno, il discorso svolto da
R. sulle altre tre
pareti. Una serie di opere attribuibili a
R. appartengono a questo
periodo (1512-16): fra esse la
Madonna Sistina (Dresda,
Gemäldegalerie) e
Santa Cecilia (Bologna, pinacoteca nazionale), che
costituiscono l'esito degli studi di
R. volti a rinnovare la pala
d'altare con soluzioni moderne e originali; importanti appaiono anche il
ritratto di
Baldassarre Castiglione (Parigi, Louvre), incarnazione
perfetta dell'uomo del Rinascimento, sereno, colto, intelligente; la
Donna
Velata (Firenze, palazzo Pitti); il ritratto di
Fedra Inghirami
(Firenze, palazzo Pitti); il dipinto
Sibille e angeli (Roma, Santa Maria
della Pace), la
Madonna del Pesce (Madrid, Prado) e la
Madonna della
Seggiola (Firenze, palazzo Pitti). Quest'ultima creazione ripropone il tema
del tondo, risolto con l'annullamento dello spazio circostante, con la
morbidezza dei gesti che accompagnano l'andamento circolare della composizione,
quasi esaltando l'atteggiamento affettuoso e dolce della madre e del figlio. Nel
frattempo, nel 1513 era morto Giulio II e gli era succeduto Leone X: con il
nuovo pontefice, nella corte romana fu elaborata una cultura di tono dotto,
apertamente erudito e classicheggiante. Di tale orientamento si fece interprete
R.,
il quale mirò a sintetizzare le esperienze artistiche
del Quattrocento al fine di creare un linguaggio artistico fondato sulla
classicità. Assai caro a papa Leone X,
R. venne nominato, alla
morte di Bramante, architetto della nuova fabbrica di San Pietro, e nel 1515
«conservatore delle antichità romane»; dopo il ritorno di
Michelangelo a Firenze, egli divenne protagonista incontrastato dell'ambiente
culturale romano. In breve tempo, la mole degli incarichi affidatigli crebbe
considerevolmente; per tale motivo scarse sono le sue opere sicuramente
autografe di quest'ultimo periodo, mentre sempre più evidente diviene la
mano degli aiuti, ai quali ricorreva per assolvere gli impegni. Inoltre,
convinto della superiorità dell'ideazione - come testimoniano i
numerosissimi disegni - sulla concreta esecuzione dell'opera, affidò
sempre più spesso alla sua scuola la realizzazione pratica dei dipinti.
Infine, le numerose cariche assegnategli lo allontanarono dalla pittura,
inducendolo ad approfondire gli studi di architettura e di urbanistica e ad
analizzare i rapporti tra architettura e decorazione scenografica. Così
gli affreschi della terza stanza Vaticana furono affidati quasi completamente
agli aiuti, con un livellamento del tono artistico, quantunque alcune parti
dell'
Incendio di Borgo siano ancora di mano raffaellesca. Dal 1514
l'attività di
R. fu assorbita dalle opere architettoniche e dalle
ricerche archeologiche; fra l'altro progettò di rilevare la pianta di
Roma antica e ideò un sistema di disegno per eseguire il rilievo dei
monumenti, ma queste iniziative non furono attuate a causa della sua morte
prematura. Oltre a ciò, la fantasia archeologica di
R. si espresse
con estrema raffinatezza nella creazione di un nuovo tipo di decorazione a
fresco e a stucco, ispirato a modelli antichi: i risultati straordinari sono
visibili negli affreschi della
stufetta del cardinale Bibbiena (1516,
palazzi Vaticani), della loggia di Psiche (1517, Roma, villa Chigi), delle logge
Vaticane (1516-08). Tali opere furono ideate da
R., ma eseguite dalla
bottega; sempre gli aiuti realizzarono le idee del maestro per i dieci arazzi
che dovevano decorare lo zoccolo sotto gli affreschi della cappella Sistina. La
Pesca miracolosa e la
Consegna delle chiavi sono i due capolavori
della serie, notevoli per perfezione di struttura e per intensità
poetica: i vasti paesaggi sereni accolgono i personaggi disposti in un ordine
perfetto, la tensione drammatica è espressa da gesti raccolti e dai volti
illuminati da luci radenti, senza atteggiamenti enfatici e declamatori. G.
Romano è forse l'autore materiale di altre due opere composte tra il 1516
e il 1518, la
Visione di Ezechiele (Firenze, palazzo Pitti) e la
Sacra
Famiglia di Francesco I, mentre sicuramente autografi sono il
Ritratto di
giovane donna, detta
la Fornarina (Roma, Galleria nazionale d'arte
antica), il
Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de'
Rossi (Firenze, Uffizi) e l'ultima opera, incompiuta, la
Trasfigurazione, terminata da G. Romano e da G.F. Penni.
R.
operò anche come architetto, seguendo le orme di Bramante con l'ideazione
della cappella Chigi di Santa Maria del Popolo e l'interno di villa Madama:
anche in questo campo, si rivelò interprete dell'universalismo
rinascimentale e studioso della classicità.
R. godette di enorme
fortuna in vita: dotato di un'estrema facilità espressiva, di un
eccezionale senso del colore e della composizione, sviluppò un discorso
spirituale e artistico assai complesso, ma sempre intimamente coerente.
Pienamente inserito nel suo tempo, che esaltò l'uomo nella sua
perfezione,
R. espresse pittoricamente l'Umanesimo e la
classicità, arricchendo man mano il suo linguaggio descrittivo con i
mezzi formali che gli venivano offerti dalle esperienze dell'epoca, assorbendoli
ed elaborandoli nell'ambito della propria personalità poetica (Urbino
1483 - Roma 1520).
Raffaello Sanzio: “Ritratto di Agnolo Doni” (Firenze, Palazzo Pitti)