PERCHÉ LA LUCE DEL SOLE È BIANCA?
La luce è una forma di energia radiante, costituita cioè da radiazioni di natura elettromagnetica. Ogni tipo di radiazione si presenta con una particolare frequenza, con un preciso intervallo, cioè, tra una emissione e l'altra di particelle luminose le radiazioni di diversa frequenza appaiono ai nostri occhi di colore diverso.
La luce solare è costituita dalla sovrapposizione di tante luci monocromatiche che vanno dal rosso al violetto, il cui insieme dà come risultato la luce bianca che vediamo.
Un raggio di sole fatto passare attraverso un prisma di cristallo viene scomposto in sette raggi di colore diverso: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto.
La variopinta banda di luce che si ottiene costituisce la parte di "spettro solare" visibile.
Fotografando lo spettro, sulla lastra fotografica appaiono anche altre radiazioni che il nostro occhio non aveva percepito, radiazioni che stanno al di là del violetto (ultraviolette) e al di là del rosso (infrarosse o ultrarosse).
Per inciso, anche altre radiazioni di natura elettromagnetica non sono visibili per la loro particolare frequenza: le onde hertziane che abbiamo incontrato quando abbiamo trattato della radio, i raggi X di cui possiamo vedere solo i risultati (ad es. la fluorescenza del platinocianuro di bario) e i raggi gamma, le radiazioni emesse dalle sostanze radioattive di cui parleremo in seguito. Ritornando alla luce del Sole, possiamo effettuare una semplice esperienza per dimostrare che i sette colori dell'iride sovrapposti danno come risultato la luce bianca, un'esperienza che si effettua con un disco mobile, detto «disco di Newton».
Prendiamo un disco diviso in tanti settori e coloriamoli con i sette colori dello spettro. Quindi facciamolo ruotare rapidamente: ben presto il disco ci apparirà bianco.
PERCHÉ C'È L'ARCOBALENO?
Abbiamo detto che lo spettro solare si ottiene facendo passare un raggio di luce attraverso un prisma. Talvolta si assiste ad uno spettro naturale che si disegna nel cielo in forma circolare: l'arcobaleno.
Lo straordinario fenomeno si realizza soprattutto dopo un temporale, quando l'atmosfera è pregna di goccioline d'acqua sospese che fanno le veci del prisma di cristallo e scompongono la luce bianca del Sole. Se il Sole è abbastanza vicino all'orizzonte (al di sotto di 42 gradi), così che le goccioline non si trovino esattamente tra noi e il Sole e i raggi formino attraversandole un angolo rispetto ai nostri occhi, possiamo assistere addirittura a due arcobaleni: i colori del primario si succedono dal rosso all'esterno all'azzurro e violetto verso il centro, in senso inverso nel secondario.
L'arcobaleno in un paesaggio campestre
PERCHÉ IL CIELO È AZZURRO?
L'azzurro del cielo è dovuto ad un fenomeno di diffusione atmosferica della luce. Che cosa s'intende per diffusione? La luce, quando incontra un ostacolo, in parte viene assorbita, in parte riflessa disordinatamente. Se l'ostacolo è trasparente e contiene delle piccole inclusioni, la luce vi passa attraverso e da queste viene diffusa.
Nel caso della luce proveniente dagli astri ed in particolare dal Sole, nell'attraversare l'ostacolo trasparente costituito dall'atmosfera, la luce incontra ostacoli dello stesso ordine di grandezza della sua lunghezza d'onda (pulviscolo o "limo" atmosferico) e viene diffusa.
L'effetto più evidente di questo fenomeno è, come sappiamo, la colorazione azzurra del cielo, in quanto sono le radiazioni violette ed azzurre che fanno parte della luce bianca a subire la massima diffusione.
La misura di questa diffusione segue una legge scoperta dal fisico Rayleigh secondo la quale essa è inversamente proporzionale alla quarta potenza della lunghezza d'onda: molto grande, quindi, per radiazioni di piccolissima lunghezza d'onda come le azzurre e le violette, molto piccola per le radiazioni rosse, di più grande lunghezza d'onda.
PERCHÉ UN CUCCHIAIO IMMERSO IN UN BICCHIERE D'ACQUA SEMBRA DIVIDERSI?
Se noi osservando un pesce nell'acqua, provassimo a prenderlo, ci accorgeremmo ch'esso non si trova proprio dove i nostri occhi lo hanno visto. Una prova di ciò l'abbiamo immergendo obliquamente nell'acqua un bastone: nel momento in cui incontra la superficie dell'acqua e vi si va immergendo, ai nostri occhi cambia direzione e il fondo del recipiente, di conseguenza, sembra si avvicini.
Se immergiamo un cucchiaio in un bicchiere colmo d'acqua e lo guardiamo attraverso il vetro, notiamo che il manico sembra spezzato in due e che la parte immersa nell'acqua non è la naturale continuazione della parte emersa, come è logico da parte nostra supporre.
Ciò non è dovuto al vetro perché, se vuotiamo il bicchiere, il cucchiaio ci appare così com'è, in trasparenza: la stessa cosa accade se poniamo il cucchiaio perpendicolare alla superficie della acqua.
Quindi l'illusione ottica dipende dall'acqua e dalla posizione del corpo in essa immerso ed è dovuta ad un altro fenomeno legato alla luce: la rifrazione.
Il fenomeno della rifrazione si verifica quando un raggio di luce passa da un corpo trasparente ad un altro (aria-acqua, aria-vetro, acqua-aria, stratosfera-atmosfera, etc.) e consiste in un mutamento di direzione a partire dal punto in cui incontra la superficie di separazione tra i due ambienti diversi.
Nei casi che abbiamo esaminato, dei due mezzi in cui si trova immerso il corpo (aria-acqua) è il corpo più denso, cioè l'acqua, ad essere più rifrangente: l'immagine, infatti, si presenta ai nostri occhi con un angolo di rifrazione minore dell'angolo di incidenza della parte dell'oggetto emersa.
In una parola, l'acqua tende a raddrizzare l'immagine, a rendere meno obliquo il corpo immerso e a ciò è dovuta l'illusione ottica che subiamo, aspettandoci di vedere il corpo proseguire nella acqua con la stessa inclinazione che possiede prima di essere immerso.
PERCHÉ IN CERTE CONDIZIONI SI VERIFICA IL MIRAGGIO?
Un curioso e suggestivo fenomeno dovuto alla rifrazione ed alla riflessione della luce è il miraggio. In zone molto calde e desertiche può accadere che il viandante scorga in lontananza un albero solitario che mostra la propria immagine riflessa e capovolta come se fosse in riva ad uno specchio d'acqua ma, man mano che si avvicina assetato e pieno di speranza, questa immagine sfuma lasciandolo con un palmo di naso. Che cosa è avvenuto?
Questa è la spiegazione. Sotto l'azione del calore solare gli strati d'aria in contatto con la superficie desertica ed arroventata diventano più rarefatti, meno densi degli strati superiori. Attraversando questi strati d'aria che, variando d'intensità variano conseguentemente nell'indice di rifrazione, i raggi luminosi provenienti dall'albero subiscono una serie di deviazioni fino a giungere agli strati d'aria più vicini al suolo con un angolo di incidenza sempre più grande... finché l'immagine dell'intero albero viene riflessa totalmente capovolta e dà al viaggiatore l'illusione, il «miraggio» di una fresca polla d'acqua nella quale poter estinguere la propria sete.
PERCHÉ POSSIAMO ASSISTERE ALLA «FATA MORGANA»?
Nello Stretto di Messina, in particolari condizioni, possiamo assistere ad una straordinaria forma di miraggio. Sul mare o addirittura in seno ad esso appaiono fantastiche costruzioni, castelli che alzano al cielo torri e pinnacoli. La fantasia dei poeti un tempo attribuì queste magiche costruzioni alla leggendaria sorellastra di re Artù, la fata Morgana.
Tale fenomeno è dovuto invece all'irregolare distribuzione dell'indice di rifrazione dei vari strati d'aria, più o meno densi, così che i raggi luminosi provenienti da uno stesso oggetto situato sull'opposta riva, di cui può essere visibile solo la parte superiore, subiscono deviazioni in vario senso pur restando su di uno stesso piano verticale. L'estrema variabilità degli strati d'aria e del loro indice di rifrazione, oltre che farci vedere i punti come linee verticali più o meno allungati, determina una continua instabilità delle immagini e dona alla «fata Morgana» un fascino unico.
PERCHÉ AL SOLE LA PELLE DIVENTA SCURA?
L'energia sprigionata dal Sole sotto forma di radiazioni elettromagnetiche di diversa frequenza sta alla base della vita sul nostro pianeta.
Utilizzando l'energia solare, le piante possono compiere la fotosintesi clorofilliana con la conseguente produzione di ossigeno. Amidi, zuccheri e la maggior parte degli altri composti necessari alla nostra esistenza sono prodotti dalle piante grazie all'intervento della luce.
Possiamo dire che ogni attività vitale dipenda dal Sole o ad esso sia strettamente legata.
Oltre a ciò il Sole, come sorgente di radiazioni, può esercitare anche azioni terapeutiche sul nostro organismo.
L'elioterapia, infatti, è particolarmente vantaggiosa per la cura di diverse malattie benché occorra praticarla con accortezza.
La cura del sole si effettua preferibilmente al mare o in montagna e si pratica esponendo il corpo al sole gradatamente, con esposizioni giornaliere progressivamente crescenti.
Gli effetti dell'energia solare sul nostro corpo sono vari: il primo e più evidente è la notevole pigmentazione della pelle, la così detta «abbronzatura», dovuta soprattutto all'azione dei raggi ultravioletti sulla melanina delle cellule, abbronzatura che, oltre a costituire un mezzo di protezione, rivela una particolare situazione immunitaria determinando un aumento degli anticorpi del sangue e del potere fagocitario dei globuli bianchi.
Un effetto importantissimo dell'energia solare sull'organismo è costituito da un'azione tonica generale equilibratrice che essa compie sul sistema nervoso (vagosimpatico).
Le malattie che più si avvantaggiano dell'elioterapia marina e montana sono la tubercolosi osteoarticolare e ghiandolare, il rachitismo, il linfatismo, i vari tipi di ulcere superficiali e di infiammazioni.
Non tutte le radiazioni solari, però, agiscono favorevolmente sull'organismo. Particolarmente utili sono le radiazioni violette ed ultraviolette per la loro proprietà di produrre (così come su di una lastra fotografica) processi fotochimici nella pelle e soprattutto per il loro potere ionizzante, battericida e sterilizzante.
In molti casi, dannose sono le radiazioni rosse ed infrarosse poiché, quando sono assorbite dal corpo, danno luogo ad uno sviluppo di calore. Per questo è consigliabile, esponendosi al sole, proteggere la testa e gli occhi per difenderli da questi raggi cocenti, i quali, esercitando per molto tempo la loro azione calorifica, cessando ben presto d'essere benefici causano infiammazioni agli occhi e, cosa assai più grave, l'insolazione.
PERCHÉ ALCUNE RADIAZIONI SONO NOCIVE?
Poiché abbiamo parlato della bomba atomica, esaminiamo subito gli effetti nocivi, molto spesso letali, provocati dall'esplosione di questo ordigno. Oltre all'immane «onda d'urto» che produce lesioni interne di gravità estrema, nei polmoni, nello stomaco, la rottura del timpano, il determinarsi di emorragie interne ecc., le radiazioni più immediatamente nocive che seguono l'esplosione sono costituite dai raggi visibili e dagli infrarossi.
La luminosità del globo di fuoco, paragonabile a quella di cento Soli, può rendere ciechi, mentre una grande onda di calore, anche se brevissima (circa 5 secondi), ustiona spesso con risultati letali.
È stato osservato, nei colpiti dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, che le parti del corpo coperte da indumenti sono risultate alquanto protette, ma tanto meno quanto più i vestiti erano scuri.
Si è notato, tra l'altro, che le ustioni riproducevano il disegno delle zone oscure degli indumenti e che le parti scoperte presentavano ustioni di vario grado solo dal lato rivolto all'esplosione. Osservando, infine, la cicatrizzazione delle ustioni, si è osservato che le cicatrici sono del tutto depigmentate mentre intorno presentano un alone scuro, molto pigmentato, dovuto forse all'azione di raggi ultravioletti.
Ma gli effetti più terribili provocati dall'esplosione della bomba atomica sono senz'altro dovuti alle radiazioni emesse in seguito alla fissione nucleare che agiscono sull'organismo umano con capacità distruttiva.
L'azione più immediata dei raggi sull'organismo, indicata come «sindrome acuta da radiazioni», determina nei soggetti colpiti nausea, vomito e shock, insorgente dopo qualche ora nei casi più gravi, dopo qualche settimana in quelli più lievi.
Si assiste così ad un lento processo distruttivo che si realizza con gravità ed evidenza proporzionali al numero delle radiazioni assorbite.
Nei casi più gravi, dopo un breve periodo di febbre, un vertiginoso deperimento conduce i soggetti alla fine. In quelli meno gravi i risultati possono non essere mortali ma le conseguenze per lo meno disastrose: caduta dei capelli, locale distruzione dei tessuti, sterilità più meno temporanea etc.
I danni delle radiazioni sulle cellule sono in rapporto alla loro sensibilità; le cellule più colpite sono quelle del tessuto linfatico e del midollo osseo, mentre le più resistenti sono quelle nervose.
Abbiamo detto come una sostanza radioattiva, sia spontaneamente per l'instabilità dei propri nuclei, sia perché eccitata dall'uomo tramite il bombardamento con altre particelle, emetta radiazioni diverse, raggi alfa, beta e gamma.
L'azione dei raggi alfa (nuclei di elio) si arresta agli strati superficiali della pelle, in virtù della loro scarsa penetratività. Un'esposizione prolungata, però, può provocare infiammazioni e piaghe di difficile guarigione.
Analoga è l'azione svolta dai raggi beta (elettroni velocissimi, quasi quanto la luce), naturalmente più profonda per il maggiore potere penetrante.
Estremamente pericolosa è invece l'azione dei raggi gamma che possono attraversare l'intero corpo umano ed esercitare la loro azione su ogni organo provocando, in dosi elevate, la morte dei tessuti.
Un'azione altrettanto pericolosa, anche se meno immediata, svolgono i raggi X, anch'essi a causa della loro forte penetratività, sui soggetti sottoposti a dosi massicce e sugli stessi radiologi.
Come i raggi gamma anche i raggi X producono effetti necrotizzanti sulle cellule dei tessuti e soprattutto sul sangue.
Per finire, con le radiazioni nucleari, particolare pericolosità rivestono i neutroni, le particelle non elettrizzate del nucleo, capaci di penetrare in profondità, nei nuclei delle varie sostanze, modificandone la struttura e la natura.
Micidiali sono ancora le radiazioni cosmiche che, dallo spazio, penetrano nell'atmosfera terrestre. Forse di origine galattica, i raggi cosmici sono assai penetranti ma sono assorbiti dall'atmosfera prima di giungere a noi in quantità tali da risultare letali.
Ed ora parliamo della luce e di come essa debba essere considerata una straordinaria forma di energia, vivificante per la maggior parte dei casi, micidiale in qualche recente applicazione tecnica.
Si deve ad Hertz la scoperta che una superficie metallica emette elettroni quando è colpita da radiazioni luminose. Questo interessante fenomeno è chiamato «effetto fotoelettrico» e può essere osservato con una semplice esperienza.
In un'ampolla di vetro contenente aria molto rarefatta si trovano due lastrine metalliche comunicanti con i due poli di una batteria di pile. All'oscuro, la corrente non passa tra le due lastrine perché non è sufficientemente potente da vincere la resistenza del mezzo interposto (semivuoto); ma se sul catodo si fa giungere un raggio di luce si assiste immediatamente al passaggio di una debole corrente dal catodo allo anodo.
Questa corrente, detta «corrente fotoelettrica», è dovuta proprio agli elettroni emessi dal catodo sotto lo stimolo dell'eccitazione luminosa e trova una applicazione oggi abbastanza diffusa nelle cosiddette «cellule fotoelettriche».
Questi sono degli «occhi elettrici» che, colpiti dalla luce, lasciano passare la corrente in un circuito e quindi possono dare un segnale o azionare un qualunque meccanismo.
All'effetto fotoelettrico non si devono solo le «cellule» ma soprattutto una maggiore conoscenza del processo luminoso.
La luce, infatti, che si riteneva seguisse un moto ondulatorio, in realtà è formata da granuli di energia luminosa, detti «fotoni», particelle che vengono «sparate» dalla sorgente in incessante emissione.
Poiché la corrente fotoelettrica, si è osservato, risulta proporzionale alla frequenza della radiazione incidente, così anche l'energia di un fotone è proporzionale alla frequenza, all'intervallo, cioè, tra l'arrivo di un fotone e l'altro.
Questa energia è nota sotto il nome di «quanto» e ciò ci porta alla «teoria dei quanti» che domina la fisica moderna: così come la materia anche l'energia si ritiene essere di natura corpuscolare e se il primo componente della materia è l'atomo, l'atomo dell'energia è il «quanto». È noto che gli elettroni che attorniano i nuclei possono, sotto la spinta di eccitazioni esterne, saltare su altre orbite. Ad ogni salto che porta l'elettrone verso le orbite più lontane dal nucleo, l'atomo assorbe un quanto di energia, mentre ad ogni salto verso l'orbita primitiva esso emette un fotone, un quanto di energia sotto forma di radiazione luminosa.
La radiazione luminosa dunque è una forma di energia potente e micidiale se opportunamente concentrata.
L'uomo ha recentemente costruito un congegno capace di concentrare un'emissione stimolata di radiazioni visibili: il «laser». Per ottenere fasci di luce di grande intensità bisogna che tutti gli atomi di una determinata sorgente emettano radiazioni in modo coerente e non disordinato e cioè che le oscillazioni di frequenza siano tutte in fase. In una parola occorre che l'intervallo che passa tra l'emissione di un fotone e l'altro sia uguale per tutti gli atomi.
Vi sono vari tipi di «laser» ma per poter comprendere il principio del loro funzionamento parliamo del «laser» a cristallo di rubino.
L'apparecchio è costituito dunque da un cristallo di rubino circondato da un tubo a xeno.
La radiazione detta «di pompaggio» viene fornita da una scarica di condensatori nel tubo a xeno; questa entra nel rubino il quale alle due estremità porta delle superfici argentate altamente riflettenti così che la radiazione luminosa possa attraversare varie volte il rubino conservando la fase. Da una delle due superfici argentate, opportunamente trasparente, il fascio di luce esce infine concentrato e intenso.
Il noto «raggio della morte» che esce dal rubino con radiazioni situate, nello spettro della luce visibile, nella zona del rosso scuro, ha un potere ustorio eccezionale.
Quest'arma micidiale è utilizzata con risultati clamorosi in medicina per compiere operazioni delicatissime, per saldare la retina, ad esempio, o per bruciare cellule cancerose, grazie alla sua proprietà di fornire una sorgente di calore puntiforme.
Il laser è usato anche dagli astronomi: un raggio indirizzato verso la Luna può illuminarne una superficie di qualche chilometro di diametro. Ed infine può venir utilizzato nell'industria per tagliar metalli o... stoffe.
Dovendo infatti tagliare dei modelli in serie basta preparare un muro di tessuti e disegnare sul primo il modello; quindi seguirne i contorni col raggio-laser per ottenere in una sola volta una enorme quantità di abiti pronti per la confezione.
Abbiamo passato in rassegna i vari tipi di radiazione ed abbiamo accennato alla loro pericolosità nei confronti dell'organismo umano. Ma l'uomo è riuscito a controllare spesso questa loro pericolosità e ad utilizzare le caratteristiche peculiari di ogni radiazione per i propri scopi. Sfrutta così il potere calorifico delle radiazioni rosse ed infrarosse soprattutto nell'industria, il potere penetrante dei raggi ultravioletti e dei raggi X soprattutto in medicina, e quello delle radiazioni nucleari in fisica e per la produzione di energia elettrica, piegando così ai suoi voleri le potenti forze della natura.
PERCHÉ GLI SPECCHI RIFLETTONO LE IMMAGINI?
Che cos'è uno specchio? Generalmente è una superficie piana, concava o convessa sottoposta a speciali trattamenti tesi ad ottenere una regolare riflessione della luce e, quindi, degli oggetti.
Gli specchi comuni sono fatti di vetro e a superficie speculare piana. La faccia posteriore del vetro è argentata. Attenzione! Se avete ritenuto il vetro l'autore della vostra immagine riflessa, ricredetevi! È proprio sulla superficie metallica che avviene la riflessione, mentre il vetro non è altro che un supporto dell'argentatura, posto a protezione della sua integrità contro gli agenti atmosferici e la nostra distrazione.
I più antichi specchi ricordati sono di metallo di bronzo levigato, ma già nell'età tolemaica (VI sec. a.C.) erano in uso specchi di vetro, anche se non molto diffusi. Questi si ottenevano ponendo su di un disco di vetro soffiato una foglia d'oro, di stagno o, più spesso, di piombo. I più antichi specchi appartengono agli Egiziani che li consideravano oggetti sacri, quali simboli del Sole e facevano parte dell'abbigliamento femminile durante le cerimonie religiose.
Specchi metallici e di vetro subirono, nel corso dei secoli, mutamenti nello stile assai più sensibili che non nella tecnica di costruzione, adattandosi in ogni epoca all'arredamento della casa. Fino al '400, essi ebbero dimensioni ridotte essendo costruiti generalmente per essere trasportati.
Nel XV secolo si affermò invece l'usanza di appenderli al muro, soprattutto quando si trovò l'amalgama di mercurio e stagno grazie al quale si ottenne una perfetta copertura.
In quei tempi Venezia fu il centro principale della fabbricazione degli specchi, in concorrenza con la successiva e temibile produzione francese. In seguito lo specchio divenne un vero e proprio oggetto di arredo, complemento abituale dei caminetti e, fino al secolo scorso, incorniciato in modo ricco e raffinato.