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Orféo ed Euridice.

Opera in tre atti di C.W. Gluck, libretto di Ranieri de' Calzabigi. Fu rappresentata per la prima volta a Vienna nel 1762, in occasione del compleanno dell'imperatore, e ripresa a Parigi nell'agosto del 1764. Quest'opera segnò l'inizio di un nuovo corso nel dramma musicale, che ebbe compimento definitivo nell'Alceste: è caratterizzata da una nuova purezza espressiva, da una scrittura orchestrale più severa e connessa con la parola, secondo un ricercato equilibro tra aria e recitativo, priva di eccessi patetici, misurata e incline all'elegiaco. La parte di Orfeo fu scritta per voce di sopranista (evirato), secondo l'uso settecentesco; e tuttavia qui più che mai la scelta è conforme al carattere del personaggio, colui che al di là di ogni definizione umana, era in grado di incantare gli uomini, gli dei e gli animali. Il soggetto è tratto dal mito greco di Orfeo (V.), con il lieto fine come variante: Orfeo decide di violare il regno dell'Aldilà, per riavere la sua sposa Euridice; Amore gli appare e gli promette che riavrà Euridice, a patto che non si volga a guardarla mentre uscirà dall'Averno. Orfeo intraprende il viaggio nell'oltretomba; con la sua dolce cetra placa i guardiani infernali e può giungere nei Campi Elisi, dove ritrova Euridice. Senza guardarla, la conduce con sé. Euridice chiede allo sposo perché egli eviti di guardarla, e se ne rammarica. Orfeo, vinto, viene meno al patto, ed Euridice cade al suolo esanime. Orfeo vuole uccidersi per disperazione. Ma Amore interviene e salva definitivamente Euridice.