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Orchestrazione.

Mus. - L'arte e la pratica di distribuire le parti ai vari strumenti che costituiscono l'orchestra, tenendo conto delle loro intrinseche risorse sonore, espressive e tecniche. A differenza del termine strumentazione, che viene generalmente usato con lo stesso significato, quello di o. sottintende anche un concetto di arte compositiva che la strumentazione non ha. Quest'ultimo vocabolo si addice, più propriamente, alla trascrizione per orchestra di un brano musicale già scritto per pianoforte o per altro strumento, o anche per gruppi di pochi strumenti. L'o., come fatto di espressione artistica, ha cominciato ad essere tale soltanto verso la fine del Settecento, anche se le prime forme di o. cominciarono a svilupparsi alla fine del XVI sec., quando i vari strumenti presero il posto delle voci, o furono impiegati come accompagnamento alle voci stesse, dapprima disordinatamente e, a poco a poco, seguendo delle regole basate sul timbro, sulla sonorità e sull'estensione degli strumenti. Grado per grado i musicisti si impossessarono della necessaria conoscenza delle varie tecniche strumentali, dei meccanismi che permettevano il funzionamento degli strumenti, dei diversi colori dei suoni; queste conoscenze erano richieste anche per l'elaborazione di composizioni scritte per strumenti polifonici come il liuto, l'organo e il clavicembalo; si passò poi al raggruppamento di strumenti tutti dello stesso tipo (i "concerti" di viola, per esempio). Prima di allora il compositore si limitava a scrivere sulla musica una generica indicazione come "da cantare" oppure "da sonare con ogni sorta di strumenti", mentre non veniva precisato quali erano gli strumenti da usare, dal momento che non si dava importanza al timbro che, invece, costituisce il fondamento della o. Anche i musici della "Camerata Fiorentina" si accontentavano di scrivere sotto le parti vocali il solo "basso continuo" sul quale gli strumenti dovevano improvvisare l'accompagnamento. Nel 1607 venne pubblicato a Siena l'antenato dei manuali di strumentazione: Del suonare sopra il basso con tutti gli strumenti e del loro uso nel concerto; l'autore, Agostino Agazzari, vi distingueva gli "strumenti di fondamento", ovvero l'organo e il cembalo, e gli "strumenti di ornamento" quali le arpe, i violini e i liuti. I primi avevano il compito di dare un sostegno armonico alle voci; i secondi dovevano rendere più gradevole e sonora l'armonia scherzando e contrappunteggiando. Claudio Monteverdi fu uno dei primi ad arricchire i melodrammi con brani completamente strumentali, oppure a indicare quali strumenti fossero preferibili nell'esecuzione per raggiungere i migliori effetti sonori ed espressivi: così nelle Sacrae symphoniae, nei Concerti strumentali, nelle Sinfonie concertate del XVII sec. vennero contrapposti agli archi gli strumenti a fiato. Nel Settecento, secolo in cui gli strumenti ad arco ebbero l'assoluta prevalenza su tutti gli altri, si registrò un impoverimento del colore, almeno in rapporto al Seicento. Lulli, mezzo secolo dopo Monteverdi, arricchì l'orchestra, pur basata sugli archi, di vari altri strumenti che ne aumentavano i contrasti. Si trattava di strumenti a pizzico, a fiato, a percussione, che intervenivano qua e là ad interrompere la monotonia di timbro offerta dagli archi. Bach e Gluck fecero abbondante uso di strumenti a grande sonorità, strumentando in modo "grandioso" e talvolta persino "magniloquente". Tra le più belle strumentazioni di J.S. Bach ricordiamo i Concerti brandeburghesi e particolarmente quelli in forma di "concerto grosso" dove, nel "concertino" vennero introdotti anche strumenti a fiato. Gluck eliminò il clavicembalo che prima serviva, in teatro, a fornire il "basso continuo", e rese lo strumentale perfettamente aderente alla drammaticità dell'azione scenica. A lui si deve anche l'introduzione del clarinetto come strumento importante dell'orchestra. Evidente è l'attenzione ai timbri e agli impasti strumentali nelle o. di Mozart e di Haydn; il risultato è un maggior equilibrio ed una perfetta logica sonora. Nel XVIII sec., gradatamente, il violoncello prese il posto delle viole da gamba, prima usatissime come tutta la famiglia delle viole; il "quintetto d'archi" assunse una fisionomia definitiva, composto dai violini primo e secondo, dalla viola, dal violoncello e dal contrabbasso. Al quintetto d'archi venne contrapposto il quartetto dei legni: flauto, clarinetto, oboe e fagotto, tutti in raddoppio, mentre gli ottoni vennero ridotti a due sole trombe e a due soli corni. Più ricca era la tavolozza sonora di Beethoven, che portò a quattro i corni, aggiunse due tromboni, un controfagotto, un ottavino e strumenti a percussione. Maggiormente risolta, con Beethoven, che pure non raggiunse la perfezione di equilibrio ottenuta da Mozart, la capacità espressiva degli strumenti. Iniziò con lui l'orchestra sinfonica di carattere romantico e, naturalmente, l'o. impiegò tutti i mezzi di cui disponeva questo tipo di orchestra. Altre innovazioni furono apportate successivamente sia all'orchestra che alle o.; fu Hector Berlioz con il suo fondamentale Trattato di strumentazione a creare le vere basi stabili della grande orchestra moderna che fu poi sviluppata da Richard Wagner. Con lui va ricordato anche Mendelssohn-Bartoldy, così come Giuseppe Verdi, delicato e potente negli impasti, e vivace nel colore delle sue o. Poi il gusto dell'o. portò a nuove interpretazioni del suono considerato come facente parte di un tutto inscindibile; Debussy introdusse l'impressionismo e l'uso di timbri nuovi (trombe con sordina, il "vibrato" degli archi eseguito sul ponticello, ecc.). Stravinskij pose l'o. sul piano della moderna civiltà meccanica; egli riuscì ad esprimere l'atmosfera sonora usando un disegno ritmico inconsueto e intensissimo, caratterizzato dal dinamismo degli strumenti a percussione e degli ottoni. Nel nostro secolo, a parte un certo numero di compositori che ricalcarono la via del grande musicista, si è registrato un ritorno alla semplicità elementare nell'impiego degli strumenti che ricorda da vicino i preclassici.