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Oratòrio.

Mus. - Componimento musicale di soggetto sacro, composto di recitativi, arie, cori, eseguito in forma non rappresentativa, privo, dunque, di allestimento scenico e di azione drammatica. Sviluppatosi in età barocca, nacque come evoluzione di un genere documentato fin dal Rinascimento, la lauda polifonica intonata negli o. romani di S. Filippo Neri, accompagnata dalla narrazione di uno storico, e da un coro che commentava i fatti e concludeva portando esempi edificanti. A differenza della produzione musicale dei Filippini, che privilegiava un o. in volgare, la confraternita dell'Oratorio del SS. Crocifisso, non rinunciò mai ai testi latini. Primo e massimo autore di questo genere è G. Carissimi (1605-1704), di cui si ricordano Lucifer, Iudicium Salomonis, Daniele. Nei secc. XVII e XVIII l'o. si diffuse in tutta Europa, annoverando autori come G.P. Colonna, i fratelli Arresti, A. Stradella e A. Scarlatti. In Inghilterra il genere dell'o. prese piede con F. Haendel (Esther, The Triumph of Time and Truth, Messiah), in Germania con J.S. Bach, mentre in Italia, a partire dal XVIII sec., si assistette ad una stanca ripetizione di vecchi moduli. Alla fine del XIX sec. appartengono gli o. di F.J. Haydn (Die Schoepfung e Die Jahreszeiten, rispettivamente del 1798 e 1801). Nel periodo romantico si cimentarono con questo genere F. Mendelssonh, R. Schumann, H. Berlioz, F. Liszt.