L'arte del dire, cioè del parlare in pubblico, a un'adunanza, a
un'assemblea. È studiata nella sua attuazione pratica, nelle sue
manifestazioni storiche, nella sua evoluzione, nei caratteri con cui si presenta
in un'epoca determinata, presso un popolo, o in singoli oratori. ║ Il
complesso degli oratori di un periodo storico, o l'insieme delle orazioni da
essi pronunziate o scritte. ● Est. - Nell'estetica crociana, la parola
viene usata con significato diverso da quello tradizionale, per indicare l'arte
"asservita e limitata da un intento pratico" (B. Croce,
Aesthetica in
nuce), contrapposta per questa sua strutturale finalità pratica alla
poesia. ● Encicl. -
O. greca: presso gli antichi Greci l'
o.
si sviluppò legata alla struttura della città, con le libere
assemblee e con i tribunali popolari. Nei poemi omerici, attraverso i ritratti
di alcuni oratori è già possibile capire l'importanza che
l'
o. ebbe nelle assemblee. Fu a partire da Pericle che l'uomo politico in
Attica si chiamò
oratore (
rhetor), evidenziando così
la stretta connessione tra
o. e vita politica. Dalla diretta osservazione
dell'
o. in atto sorsero le teorie atte a definire in che modo il discorso
dovesse essere condotto e articolato per suscitare nel pubblico gradimento e
persuasione. Inventori e perfezionatori di queste teorie furono considerati,
rispettivamente, i siculi Corace e Tisia. Nacquero in Atene le figure dei
logografi, professionisti che preparavano e mettevano per iscritto i
discorsi politici, e si delinearono diversi tipi di
o.: l'
o.
deliberativa e giudiziaria, quella
epidittica (dimostrativa,
finalizzata soprattutto alla divulgazione delle dottrine filosofiche) e infine
l'
o. encomiastica, rivolta ad esaltare virtù collettive e
individuali. Nei secc. V e IV a.C. vissero in Atene i dieci oratori che furono
poi, dalla filologia ellenistica, considerati canonici: Antifonte, Andocide,
Lisia, Isocrate, Iseo, Eschine, Demostene, Iperide, Licurgo, Dinarco. Demostene
fu unanimemente considerato il maggiore degli oratori di ogni tempo; Demostene,
Isocrate ed Eschine abbracciano con la loro attività tutto il campo dei
generi del'
o., creando il modello definitivo per le generazioni
successive e soprattutto per la grande
o. romana. ║
O.
romana: anche a Roma l'
o. sorse presto, nelle due forme delle
discussioni nel Senato e nel Foro e dell'eloquenza giudiziaria. L'epoca nella
quale l'arte
o. raggiunse il suo massimo splendore è quella
repubblicana. A differenza di quella greca, l'
o. latina repubblicana
è quasi interamente perduta, con l'unica eccezione di Cicerone. La prima
orazione pubblicata sembra sia stata quella di Appio Claudio il Cieco contro le
proposte di Pirro al Senato (280 a.C.). Il primo periodo dell'
o. latina,
secondo il disegno tracciato da Cicerone nel
Brutus, fu caratterizzato
dalla personalità di Catone il Censore (III sec. a.C.), il quale, pur
fornito di una preparazione tecnica anche greca, mirò ad un'
o.
secca, disadorna e robusta; precursori del primo periodo dell'
o. latina
furono Appio Claudio, Fabio Massimo, Cecilio Metello, Marco Cornelio Cetego. Nel
secondo momento dell'
o. romana spiccarono i fratelli Tiberio e Gaio
Gracco (II sec. a.C.). Il terzo periodo incluse due grandi oratori tra loro
rivali: Lucio Licinio Crasso e il suo emulo Marco Antonio. L'età
successiva fu dominata da Cicerone, il quale realizzò nella sua
o.
un compromesso tra i due principali modelli proposti dall'
o. greca:
l'asianesimo, stile ricco, concettoso ed enfatico, e l'atticismo, caratterizzato
da estrema semplicità. Tra i principali fautori dell'atticismo ricordiamo
in particolare Giulio Cesare. A partire dal Principato augusteo l'
o.
venne allontanata dal Foro e dai tribunali e divenne esercizio di esibizione
accademica e di adulazione aulica. Gli oratori di maggior spicco furono T.
Livio, G. Asinio Pollione, V. Messalla, Seneca il Retore e Cassio Severo,
considerato il vero e proprio iniziatore della nuova
o. dell'età
imperiale. Sotto i Flavi fu attivo Marco Fabio Quintiliano, il teorico
dell'
institutio oratoria. Nell'età di Nerva e Traiano i maggiori
oratori furono Plinio il Giovane e lo storico Tacito; nel II sec. d.C. Frontone
e Apuleio. Negli ultimi secoli dell'Impero i due più importanti generi
d'
o. furono il panegirico e la predica. Dal III al IV sec. fiorirono
panegirici in onore di vari imperatori. ║
O. civile: nel Medioevo,
l'
o. continuò ad essere considerata la più nobile delle
arti, e la retorica la principale materia di insegnamento. Durante l'Umanesimo i
maggiori rappresentanti furono Pio II (
o. in latino) e Tommaso Mocenigo
(
o. in volgare). Con la fine della libertà politica, l'
o.
italiana divenne esercitazione scolastica e accademica, mentre nei secc. XVII e
XVIII assunse crescente rilievo l'
o. forense, soprattutto a Napoli. Dopo
la Rivoluzione francese, cominciò l'eloquenza politica moderna
(importantissima la funzione dell'
o. nelle assemblee della Rivoluzione,
dove si distinsero oratori come Danton, Robespierre e Vergniaud); una forma
personalissima di eloquenza, rapida, incisiva, dinamica fu quella adottata da
Napoleone nel rivolgersi alle assemblee, agli organi di Governo, alle truppe.
L'eloquenza deliberativa del XVIII sec. rispecchiò la storia dei
rivolgimenti politici e dei Parlamenti europei di quel periodo. Nei secc. XIX e
XX l'
o. parlamentare e politica, forense e culturale assunse importanza
sempre maggiore, perdendo ogni carattere scolastico. Le dittature sorte dopo la
prima guerra mondiale (Mussolini, Hitler) proposero un'
o. dal tono brusco
e veemente. All'
o., inoltre, ricorsero i capi della rivoluzione
bolscevica, Lenin, Trotzkji, Bucharin. Oggi, attraverso il filtro costituito dai
mass media, si è delineata una forma di
o. nuova, conversativa e
sobria, familiare e sostenuta, corretta e sintetica, in grado di raggiungere
rapidamente masse varie per età, cultura, realtà sociale. ║
O. sacra: nei primi secoli della cristianità l'
o. aveva
intenti esclusivamente religiosi ed era volta principalmente ad interpretare
passi delle Scritture o a fornire dissertazioni di carattere morale. L'
o.
sacra fiorì tra i secc. IV e V con una serie di predicatori greci in
Oriente (i santi Basilio, Gregorio di Nissa, Giovanni di Nazianzio, Giovanni
Crisostomo) e latini in Occidente (Ilario di Poitiers, Ambrogio, Agostino,
ecc.). Carlo Magno cercò di promuovere la predicazione, considerata di
fondamentale importanza per la diffusione della fede. La produzione omeliaca
scritta rimase a lungo in latino, mentre la predicazione orale fu in volgare
già nell'VIII sec. L'
o. cristiana in lingua latina decadde fin
verso il Mille; interruppe la decadenza, senza peraltro arrestarla, Gregorio
Magno. Dopo il Mille, la generale ripresa culturale e la propaganda per le
Crociate ravvivarono la predicazione. Grandi oratori religiosi furono Abelardo,
Bernardo di Chiaravalle, Anselmo d'Aosta, Pier Damiani. Nel XIII sec. la
predicazione francescana e quella domenicana fornirono nuovo impulso
all'
o. Dai documenti che ci sono giunti (schemi, sunti e tracce di
prediche per lo più in latino) è possibile desumere il carattere
particolarmente dotto e intellettualistico della predicazione domenicana,
rispetto a quello più sentimentale ed emotivo della predicazione
francescana, vicina alla semplicità dell'eloquio di Francesco. Tra i
predicatori di questo periodo ricordiamo in particolare Antonio da Padova,
Bonaventura, Tommaso d'Aquino, Alberto Magno, Bertoldo da Ratisbona, Eckhart di
Hocheim, Johannes Tauler, Giordano da Pisa. Nei secoli successivi i predicatori
si trovarono sempre più coinvolti nella vita pubblica, tanto da essere
spesso chiamati, nel XV sec., dai Comuni e dai signori a preparare in vario
senso l'opinione pubblica. Questo ascendente politico toccò il suo
vertice con la figura di G. Savonarola, che con le sue prediche si propose come
riformatore di Firenze. Con il Concilio Lateranense del 1516 la predicazione
venne sottoposta all'assidua vigilanza dei vescovi, con decreti che verranno
ribaditi e precisati dal successivo Concilio di Trento (1546). Nel XVI sec.
Bernardino Ochino fu il più popolare oratore cattolico, mentre i Gesuiti
divennero i veri padroni del pulpito, introducendo, oltre alla predicazione
tradizionale, il genere nuovo delle "lezioni". L'
o. sacra si propose nel
XVI sec. di essere chiara ed essenziale, mentre in seguito subì
l'influsso del Seicento barocco, facendosi spesso altisonante e ricca di simboli
ed allegorie di difficile interpretazione. I predicatori riuscirono sempre a
suscitare intorno a loro grandissimo interesse. Nell'Ottocento l'
o. sacra
ebbe fini quasi esclusivamente dottrinari, come dimostra il "programma" di D.
Frayssinous, modello della predicazione di tutto il secolo. La sua
o.,
apologetica da una parte, sociale-politica dall'altra si avvicinò sempre
più alle forme dell'
o. profana, assumendo sempre più
frequentemente il nome di
conferenza. Secondo lo spirito dell'eloquenza
ottocentesca continuò, nel XX sec., la tradizione di un'
o.
caritativa, sociale, attenta agli eventi politici del tempo; si pensi alle
figure del barnabita G. Semeria e, subito dopo la seconda guerra mondiale, di R.
Lombardi. Dopo il Concilio Vaticano II l'
o. fu sempre più tesa a
sviluppare temi biblici e liturgici.