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Ontologìa.

Filos. - Termine filosofico con il quale si indica quella parte della filosofia che studia l'essere in quanto tale, a prescindere da ogni determinazione particolare o fenomenica, e che corrisponde quindi alla cosiddetta "filosofia prima" di Aristotele, poi chiamata metafisica. Il termine fu usato per la prima volta da J. Clauberg nel 1646 e fu poi diffuso nella filosofia moderna da Ch. Wolff per indicare quella parte generale della metafisica che studia i caratteri universali dell'ente, al di là delle determinazioni che rientrano nel campo della fisica, della logica, della psicologia, della teologia. Anche Kant considerò l'o. come una parte della metafisica avente, rispetto a questa, funzione propedeutica. Intendendo, però, Kant la metafisica come scienza formale, ovvero studio di quei principi conoscitivi dell'intelletto che, uniti al dato sensibile, rendono possibile la conoscenza, l'o. non può aver come oggetto ciò che esula dal campo dell'esperienza. Essa precede, quindi, la metafisica vera e propria, e si chiama perciò filosofia trascendentale, in quanto rappresenta i primi elementi di ogni conoscenza a priori. Nell'Ottocento il contrasto tra Idealismo, Positivismo e Neokantismo influenzò la concezione dell'o. Hegel, avendo abolito la distinzione tra fenomeno e noumeno, unificò logica e metafisica attribuendo all'o., divisa in studio dell'essere, dell'essenza e del concetto, carattere essenzialmente logico. Alle concezioni critico-gnoseologiche della filosofia moderna, reagirono, pur facendo propria una parte delle nuove istanze, i pensatori cattolici dell'Ottocento, in particolare Rosmini e Gioberti, il cui sistema filosofico considera la conoscenza dell'essere come fondamento di ogni altro sapere. Secondo Rosmini all'o. appartiene l'essere nella sua essenza universale e in tutte le sue possibilità, e poiché l'idea dell'essere è un'idea innata, posta cioè direttamente da Dio nell'uomo, e l'essere costituisce la prima rivelazione divina, l'o. fa parte della teosofia che è, a sua volta, una branca della metafisica, scienza che ha per oggetto l'essere reale, contrapposta alla scienza ideologica che riguarda l'essere ideale. Per Gioberti l'o. ha per oggetto il processo di derivazione di tutte le cose da Dio. Dal canto suo il Positivismo, negando la metafisica, negava anche la possibilità di una scienza ontologica. Husserl, nel tentativo di recuperare quella metafisica che, per opposte vie, Idealismo trascendentale e Positivismo avevano demolito, riprese il termine o. per indicare quella parte della fenomenologia che studia le strutture generali non della ragione (come fece Kant) ma delle varie scienze. Infine, mantenendo il presupposto fenomenologico, N. Hartmann ritornò ad una o. generale: essa ha per oggetto l'ente e non l'essere, ovvero il modo in cui l'essere si dà all'esperienza fenomenologica. Ugualmente Heidegger intese l'o. come la determinazione del senso dell'essere. Da più parti si riconosce oggi la necessità di una o. che non abbia più il significato classico di scienza dell'essere in sé, ma di scienza del volere primo, che condiziona la nostra conoscenza. In questo senso si pose Maurice Blondel (1861-1949) che, come già Schopenhauer, reintegrò il valore di un essere supremo. La scienza dell'essere supremo, ossia l'o., viene postulata come necessaria a concludere le contraddizioni dell'azione che in essa non possono trovare soluzione. ║ L'o., come scienza o studio dell'essere, è entrata di recente a far parte della teoria psicanalitica.