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Onomatopèa.

(dal tardo latino onomatopoeia der. del greco onomatopoía, der. di ónoma: nome e poiéo: faccio). Ling. - Procedimento di formazione di elementi lessicali che evocano un oggetto o un'azione imitandone il suono. L'o. può consistere nella creazione di un gruppo o più gruppi fonici in successione (crac; bau, bau), di una serie di sillabe unite (chicchirichì) oppure di intere unità ritmiche, anche versi (si ha allora la cosiddetta armonia imitativa). Infine alcune o. subiscono un completo adattamento grammaticale, ovvero presentano un nucleo sonoro imitativo cui si aggiungono desinenze e suffissi appartenenti alle strutture morfologiche della lingua (ad esempio: tintinnare è composto dal nucleo mimetico tintin, unito al suffisso verbale -(n)are. Già nella tarda latinità si ebbero elenchi di parole onomatopeiche che riproducevano i versi degli animali e nel Medioevo si fece largo uso dell'o. per rafforzare l'espressività di alcuni passaggi. In tempi più recenti Pascoli introdusse l'o. di suoni naturali come elemento di rottura con il lessico tradizionale. Il Dadaismo e il Futurismo ricorsero all'o. come esplicito elemento di rottura rispetto alla tradizione. Joyce, nella Veglia di Finnegan, se ne servì per operare una vera e propria reinvenzione linguistica.