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Oligofrenìa.

Med. - Termine che indica uno stato deficitario psichico congenito o acquisito, che insorge nei primi anni di vita. È sinonimo di frenastenia. Costituisce non una malattia ma il suo esito: il cervello è permanentemente lesionato da una causa pregressa e l'intelligenza è quindi limitata. Dal momento che la lesione cerebrale è irreversibile, l'unica terapia possibile consiste nel fare utilizzare al meglio le capacità residue, rieducando l'individuo che, pur non potendo raggiungere la normalità, può ottimizzare le sue potenzialità. Si distingue dalla demenza in quanto quest'ultima compare dopo l'infanzia, agendo su un'intelligenza già sviluppata, e peggiora con il passare degli anni. Esistono o. a carattere evolutivo (o. dismetaboliche, di cui fanno parte l'o. fenilpiruvica, il gargoilismo, la galattosemia), dovute all'assenza congenita di particolari enzimi; questa carenza determina l'accumulo di sostanze tossiche nei tessuti (in particolare nel cervello), con conseguente demenza grave e morte del soggetto prima dell'età adulta. Le cause che provocano l'o. sono di vario tipo e possono agire in periodo prenatale, perinatale e postnatale. Le cause prenatali si dividono in disgenetiche, quando si hanno alterazioni del patrimonio genetico, e acquisite, dovute a fattori nocivi che colpiscono l'embrione o il feto (malattie virali contratte dalla madre nel primo trimestre di gravidanza, in particolare la rosolia; lesioni cerebrali provocate da veleni o farmaci assunti dalla madre nel primo trimestre di gravidanza). Le cause perinatali, ovvero legate al parto, sono dovute ad asfissia, a emorragia intracranica o a lesioni traumatiche dirette dovute a un intervento tardivo o inadeguato. Le cause postnatali sono rappresentate dalle encefaliti della prima infanzia, batteriche o virali. Il trattamento dell'o. consiste essenzialmente nella prevenzione (esame del patrimonio cromosomico, amniocentesi, igiene nel periodo della gravidanza, adeguata assistenza al parto). A prescindere dal grado di insufficienza mentale, l'o. è caratterizzata da una scarsa capacità di apprendere e di emettere giudizi, di elaborare concetti astratti, di mantenere l'attenzione. Esistono diversi gradi di insufficienza mentale, che possono essere valutati servendosi di test mentali che permettono di quantificare l'intelligenza del soggetto raffrontando le sue capacità motorie, verbali e sociali con quelle di coetanei normali. Si parla allora di età mentale: se un bimbo di quattro anni possiede capacità tipiche di un soggetto normale di due anni, si dice che la sua età mentale è di due anni. Il quoziente intellettivo (QI) è dato dal rapporto tra età mentale ed età cronologica, espresso secondo la scala metrica di A. Binet. Si distinguono forme più o meno gravi di o., in base al QI: idiozia (o. grave), quando il QI è inferiore a 0,30: il malato non è in grado di comunicare, in quanto incapace di apprendere il linguaggio; imbecillità (o. di medio grado), quando i valori si attestano intorno a 0,50: il malato, pur presentando difficoltà di ideazione, memoria, percezione, è in grado di apprendere i rudimenti del linguaggio; debilità o gracilità mentale (o. lieve), quando i valori sono compresi tra 0,90 e 0,70: il malato può essere rieducato e manifesta solo disturbi ambientali e di adattamento sociale. In genere, le prime due forme si accompagnano anche a malformazioni fisiche, quali macro o microcefalia. Le insufficienze mentali gravi prevedono, attraverso il lavoro di équipe di neuropsichiatri, ortopedagogisti, ergoterapisti, fisioterapisti e altri tecnici specializzati, l'ottimizzazione delle capacità esistenti: al livello più semplice si tratta di garantire l'autonomia nelle funzioni vegetative.