(dal latino medioevale
obiectum, der. di
obicere: porre innanzi).
Elemento materiale percepito dall'uomo attraverso i sensi. ║ Ciò
che sia dotato naturalmente di forma ed estensione definita o sia esito di una
lavorazione da parte dell'uomo. ║ Cosa (materiale o immateriale) o persona
verso cui sia diretta un'azione concreta, un'attività intellettuale o un
sentimento. Fine o scopo di tali attività. ║ Per estens. - Materia,
argomento o contenuto di un discorso, di un libro, di una conversazione, ecc.
║
Linguaggio-o.: nello studio delle relazioni interpersonali e
della comunicazione in genere, si definisce tale il contenuto di singole
proposizioni relativo al puro dato di informazione, distinguendo così
ciò che nelle medesime proposizioni si riferisca, invece, all'aspetto
relazionale o alle caratteristiche del linguaggio stesso
(V. METALINGUAGGIO).
● Sociol. -
Donna-o.: locuzione mediante la quale la riflessione
sociologica femminista ha indicato una concezione e una condizione della donna
in termini di
o. passivo e subalterno. Tale situazione impedirebbe o
misconoscerebbe un ruolo attivo della donna come soggetto sociale,
costringendola in spazi predefiniti e, in particolare, riducendone
l'identità a quella di
o. sessuale o, attraverso l'uso
dell'immagine femminile in campo pubblicitario, erotico. ● Astron. -
O.
celeste: locuzione utilizzata in ambito astronomico per indicare qualsiasi
corpo celeste non meglio definibile. ● Arte - Fino ai primi anni del XX
sec., quando ebbero inizio le ricerche delle avanguardie storiche, nel contesto
artistico l'
o. inanimato era stato protagonista delle sole "nature
morte". Con il Cubismo e il Dadaismo (V.
SINGOLE VOCI),
invece, fu superato l'approccio puramente imitativo e rappresentativo
dell'
o., attraverso lo studio analitico di esso, la sua dissezione e
ricomposizione (
composizioni o
scomposizioni di o.,
ritmi di
o., tali le definizioni che i cubisti davano dei loro esperimenti). Spesso
(in particolare in ambito dadaista) l'
o. d'uso quotidiano fu inserito con
la sua realtà fisica nelle opere stesse (
collages,
assemblages, ecc.) o, mediante un procedimento intellettuale di
straniamento, elevato direttamente ad opera d'arte (si pensi ai
ready
made V. DUCHAMP,
MARCEL). Anche i movimenti delle neoavanguardie e
dell'arte concettuale in genere (V.
SURREALISMO,
METAFISICO, NEW
DADA), utilizzando tecniche di
combine-painting e di
accumulation, posero al centro delle proprie
realizzazioni l'
o. comune. ║
O. d'arte: termine che indica
realizzazioni appartenenti alle cosiddette "arti minori" (suppellettili,
gioielli, tessuti, ecc.), così definiti per distinguerli dalle opere
pittoriche e scultoree. ● Dir. -
O. giuridico, in senso generale,
è l'attività umana in ogni sua manifestazione, la cui disciplina
condiziona necessariamente un armonico sviluppo dei rapporti tra soggetti
giuridici. Tuttavia, l'accezione corrente della locuzione
o. del diritto
appartiene all'ambito del
diritto soggettivo e indica i beni fruibili che
siano stati riconosciuti dall'ordinamento come adeguati a soddisfare le esigenze
dei singoli soggetti. In questo senso gli
o. di diritto si dividono in:
cose, prestazioni personali, beni immateriali, persone. ║
O. del
negozio giuridico: mentre per quanto riguarda il diritto soggettivo
o. è il bene che sia in grado di soddisfare il diritto medesimo,
nel negozio giuridico l'
o. che le parti intendono regolare è
l'
interesse, cioè la valutazione personale applicata a un bene dai
soggetti. L'
o. del negozio si dovrebbe dunque differenziare da quello
dell'obbligazione (che è una prestazione) e da quello della prestazione
(che è un'attività cui è tenuta una della parti). Tuttavia,
spesso tali distinzioni si perdono e
o. del negozio appare la cosa o
l'attività cui si applica l'interesse dei contraenti (ad esempio, in una
compravendita sono
o. la cosa venduta e il prezzo; in un mutuo,
l'attività di prestare e quella di restituire denaro). La disciplina dei
negozi giuridici, che si distingue in categorie negoziali tipiche, considera
l'
o. in base ad una serie di requisiti (fungibile, infungibile, futuro,
ecc.). Perché il negozio sia valido, l'
o. deve comunque essere:
suscettibile di valutazione economica (concordata tra le parti), possibile
(essere cioè in grado, per sua natura, di realizzare le previsioni del
negozio), lecito (consentito dalla legge), determinato o determinabile
(chiaramente individuato dalle dichiarazioni dei contraenti o individuabile, in
seguito, mediante criteri di valutazione che non possano essere equivoci). In
assenza di uno di tali requisiti il negozio è nullo. ║
O.
dell'obbligazione: prestazione dovuta dal debitore in ragione del vincolo
obbligatorio. ║
O. giuridico del reato: bene o interesse tutelato
dalla norma penale e offeso dal reato. In base ad esso si determina anche il
soggetto passivo del reato, cioè il soggetto giuridico
(individuale o collettivo) leso e pertanto legittimato a sporgere querela. Altro
(se pur talvolta coincidente) è invece l'
o. materiale del reato,
su cui concretamente ricade l'attività fisica del reo. ● Filos. -
Nella sua accezione letterale,
o. è ciò che è posto
innanzi ad un soggetto e verso il quale è rivolta una qualsiasi
attività (conoscitiva, pratica, estetica, linguistica, ecc.). La nozione
stessa di
o. cointeressa necessariamente quella di
soggetto, senza
la quale non potrebbe neanche sorgere. Ne consegue che, al variare
dell'identità del soggetto e delle sue attività, varia anche il
significato attribuito all'
o. In riferimento al soggetto come
pensiero,
o. è la realtà in quanto pensata o
pensabile, che comprende tutto fuorché il pensiero stesso (a tale
accezione di
o. appartiene, ad esempio, il
non-io di Fichte,
V. FICHTE,
JOHANN GOTTLIEB). A
un soggetto inteso invece come
io empirico, individuo attuale,
corrisponde come
o. il contenuto delle percezioni e rappresentazioni di
tale individuo; il variare di queste, da persona a persona e da circostanza a
circostanza, tuttavia, rende necessaria una nozione più alta di
o., che
comprenda solo ciò che, nell'esperire un qualcosa, abbia validità
universale in tutti i soggetti (qualità primarie). Con questa valenza
è inteso il termine dall'epistemologia scientifica (è oggettivo
ciò che è misurabile mediante altri
o.) e dal linguaggio
comune (è oggettivo ciò che è considerato nella sua
indipendenza dalla natura e dalle interferenze dei singoli). Se il soggetto
esercita un'attività gnoseologica, suo
o. è la
realtà in quanto conosciuta o conoscibile; rispetto a un'attività
pratica,
o. è l'insieme di valori o disvalori che il soggetto
intende perseguire o sfuggire (senso etico dell'
o.). ║ La filosofia
greca si pose, più che il problema dei rapporti tra soggetto e
o.,
quello del grado di realtà dell'esistente (per Platone era pienamente
reale solo l'idea, per Aristotele solo la sostanza prima, cioè la materia
soggetta alla forma, ecc.); pertanto, essa non elaborò un termine
corrispondente, da un punto di vista semantico, al nostro
o. Questo,
infatti, deriva solo etimologicamente dal vocabolo aristotelico
antikéimenon (latino
obiectum), che indicava una
contrapposizione di tipo logico tra concetti. Con
hypokéimenon
(latino
subiectum, da cui l'italiano
soggetto), invece, Aristotele
si riferiva alla realtà in genere, in quanto materia cui ineriscono le
differenti qualità; il termine, in effetti, aveva un valore semantico
assai lontano dal nostro corrispettivo derivato etimologico, che rimase valido
fino al principio dell'epoca moderna. Nel XIII sec., infatti, la Scolastica
indicava, secondo un uso invertito rispetto a quello a noi contemporaneo, con
esse subiective la realtà in sé (in quanto "sostrato" di
predicati) e con
esse obiective le rappresentazioni mentali (ad esempio
gli "universali") che non esistono realmente, ma sono il contenuto di
un'attività dell'anima (che noi oggi definiremmo "soggettivi"). Tuttavia,
fu proprio in ambito scolastico che si cominciò a porre il problema
gnoseologico, avviando un lento processo di inversione del significato dei
termini citati. Le
species elaborate dalla filosofia medioevale
(astrazioni che permettono di categorizzare le caratteristiche sensoriali e
intellettive che l'individuo conoscente coglie nelle cose), essendo
realtà mentali, venivano considerate, secondo quanto detto sopra,
esse
obiective, perché frapposte (
obiectae) tra una potenza
(l'attività conoscitiva) e il suo termine (le cose da conoscere). San
Tommaso proseguì lo slittamento semantico definendo le
species
come
id quo res cognoscitur (ciò attraverso cui la realtà
viene conosciuta) e l'
esse subiective (la realtà in sé)
come
id quod cognoscitur (ciò che viene conosciuto). Ad esempio,
per san Tommaso,
o. della potenza visiva è il colore,
perché le cose, che ne sono il "soggetto", si possono vedere in quanto
colorate; Occam affermò che
o. dell'atto conoscitivo è la
proposizione conosciuta, mentre ne è il soggetto il termine "reale" che
vi corrisponde. Con Duns Scoto la nozione di
o. fu connessa al problema
della validità della conoscenza e il concetto di "rappresentazione" fu
utilizzato come termine intermedio tra realtà e facoltà
conoscitiva. Cartesio intendeva ancora
o. e
soggetto secondo
l'accezione medioevale; tuttavia, fu proprio lui a introdurre per primo il
carattere extra-soggettivo della realtà, cioè la sua indipendenza
da colui che conosce. La distinzione cartesiana, all'interno dell'
esse
subiective, fra
res extensa e
rex cogitans inaugurò di
fatto le categorie filosofiche di
o. e
soggetto così come
le conosciamo oggi: l'abolizione, infatti, di qualsiasi ente intermedio
(
species), fra la cosa indagata e il contenuto mentale che essa produce,
portò a definire la cosa stessa come
obiectum. Hobbes intese
l'
o. come sinonimo di corpo esterno, da cui provengono al conoscente le
sensazioni (sulla cui veridicità, peraltro, non si può avere
alcuna certezza); l'intera epistemologia post-cartesiana considerò
l'
o. come il dato extra-psichico dell'attività intellettuale.
Tuttavia, la necessità di affrancare la conoscenza dell'
o. dalla
varietà di condizioni che influiscono sui singoli percipienti (sentita
con urgenza anche a causa dello sviluppo scientifico) e l'affermarsi della
nozione di
soggetto come attività pensante condussero alla
complessa riforma gnoseologica operata da Kant. Distinguendo tra
o. in
sé (
noumeno) e
o. per noi (
fenomeno), il
filosofo pose ai margini del sistema, in quanto inconoscibile, il problema della
conoscenza assoluta, irrisolto sia per Cartesio (il quale ricorreva alla
veridicità di Dio per poter supporre tale anche la nostra conoscenza
sensibile) sia per Hume (che non poté dimostrare la coincidenza fra
o. e percezione e ritenne la conoscenza derivata dall'esperienza solo
"probabile"). L'
o. per noi, invece, era per Kant costituito dal dato
sensibile (insufficiente da solo a formare l'esperienza) e da un elemento
categoriale, esistente in tutti gli
a priori, necessario alla formazione
dell'
o. fenomenico. La concezione dell'
o. come costrutto delle
facoltà conoscitive e della percezione è assioma prevalente in
tutta l'epistemologia post-kantiana, a tutt'oggi ampiamente condiviso. Da Kant
in poi la filosofia moderna considerò dunque l'
o. in quanto
relativo a un soggetto. L'Idealismo accentuò tale rapporto, eliminando
completamente la nozione di
noumeno ed esaurendo nell'attività del
soggetto l'origine dell'
o.; Fichte, ad esempio, definì l'
o.
come
non-io che l'
io (soggetto) oppone a sé come antitesi
dialettica, in una correlazione generativa. Tale correlazione fu materia
precipua delle riflessioni gnoseologiche ottocentesche. Particolarmente
significativa, nell'ambito del pensiero contemporaneo, se pur distante
dall'impostazione idealista del problema, fu la
Gegenstandtheorie,
elaborata da A. von Meinong. Sulla scorta del presupposto di Brentano, secondo
cui ogni conoscenza era necessariamente conoscenza di qualcosa, Meinong
riaffermò una teoria degli
o. come conoscenza di essi in quanto
tali, distinti dal dato fisico e da quello intellettuale. Meinong pose
l'
o. su un piano ontologico più che gnoseologico, dal momento che
nella sua classificazione l'esistenza reale di un
o. non era necessaria,
purché esso fosse pensabile. Egli distinse fra
o. della
rappresentazione (
Objekt) e
o. del giudizio (
Objektiv),
"esistenti" i primi e "sussistenti" i secondi (ad esempio i numeri). La teoria
di Meinong presenta notevoli affinità con la fenomenologia di Husserl
(V. HUSSERL,
EDMUND), per la quale
o. è il
correlato intenzionale di qualsiasi attività pratica o teoretica e non
coincide con l'
o. derivato dall'esperienza, ma con quello di
un'intuizione pura, detta
eidetica. Nel linguaggio filosofico
contemporaneo, il vocabolo viene utilizzato, in genere, per indicare ogni cosa
che il soggetto percepisce come altro da sé, vale a dire tutto ciò
che viene pensato, in quanto si distingue sia dal soggetto pensante sia
dall'atto con cui è pensato. ● Ling. - Si intende per
o. di
un'azione verbale (predicato) la persona, animale o cosa, astratta o concreta,
su cui l'agente esercita tale azione. In relazione a una proposizione il cui
predicato abbia forma attiva e valore transitivo, il termine fonte dell'azione
coincide con il soggetto grammaticale e l'
o. è espresso come
complemento diretto o
complemento o.: nelle lingue indoeuropee con
declinazione nominale, il complemento
o. è indicato dal caso
accusativo, nelle altre dalla posizione rispetto al predicato (in genere segue
il verbo). Quando il predicato sia invece espresso in forma passiva, l'
o.
dell'azione coincide con il soggetto grammaticale (indicato nella declinazione
dal caso nominativo), mentre la fonte dell'azione assume un caso definito
genericamente "erogativo" o è preceduto da preposizioni adeguate (vedi
l'italiano "da"). ║
Complemento dell'o. interno: talvolta anche
verbi intransitivi di forma attiva presentano una sorta di complemento
o., costituito da un termine di significato affine a quello del predicato
o addirittura di etimo corrispondente (ad esempio: vivere una vita felice,
ecc.). ● Psicol. - Nel linguaggio psicoanalitico, persona o parte di una
persona che sia
o. di pensieri, sentimenti, desideri da parte di
un'altra. Secondo l'accezione di Freud, l'
o. è indagabile
principalmente a partire dalla
pulsione del soggetto (in particolare
quella sessuale, ma ricoprono discreta importanza anche le pulsioni di
autoconservazione), in quanto mezzo di soddisfacimento di essa. Tuttavia, lo
stesso Freud identificò anche un
o. a carattere maggiormente
psicologico, rispetto al quale sentimenti e aspetti relazionali prevalgono sulla
pulsione: trattandosi, infatti, di un
o. unico, connesso alla storia
infantile della persona e dotato di caratteristiche costanti e singolari, esso
risulta di necessità meno conseguente ai bisogni istintuali e
maggiormente legato al rapporto individuale. Mentre in dipendenza dalle pulsioni
Freud evidenziò
o. cosiddetti
parziali (persone o parti di
esse considerate solo in quanto atte alla soddisfazione), l'accezione
psicologica e relazionale svelò l'esistenza di un
o. a carattere
totale, coincidente con una persona che interagisce variamente con un'altra
secondo sentimenti complessi e reciproci. Questa dimensione dell'
o., pur
riconosciuta dal padre della psicoanalisi, è stata però
maggiormente indagata dalla scuola di Melanie Klein che, anzi, arrivò ad
affermare come il bambino arrivi a percepire l'
o., anche quando parziale,
in quanto persona dotata di pensieri e sentimenti, e come i processi di
identificazione derivino dalla combinazione fra l'esperienza che il bambino fa
delle qualità dell'
o. e la proiezione dei propri sentimenti su di
esso. La Klein, concentrando l'indagine più sull'
o. che sulle
pulsioni, riuscì a spiegare in termini di relazione il passaggio, nel
soggetto, dall'
o. parziale a quello totale. Su questa linea si inserirono
le ricerche, fra gli altri, di Balint (sul ruolo composito della relazione
materna), di Fairbairn (sulla libido finalizzata all'esperire l'
o.
più che al soddisfacimento del bisogno), di Winnicott (sulla comparsa e
costruzione dell'
o. nella mente dell'individuo), ecc. Lo spazio maggiore
guadagnato in ambito psicoanalitico dall'
o., a scapito delle pulsioni in
sé, ha permesso di evidenziarne l'azione nei rapporti interpersonali e
intrasoggettivi e le conseguenze che da esso derivano nel processo di
costituzione dello stile di vita e dell'immagine che la persona ha di sé.
║
O. buono, o. cattivo: secondo la terminologia elaborata da
Melanie Klein, locuzioni che indicano la scissione dell'
o. operata dal
neonato secondo l'esperienza frustrante o gratificante che egli ne fa. Il seno
materno che frustra le sue esigenze diventerebbe per il lattante
o.
negativo (processo di persecuzione), il seno che nutre e accoglie,
o.
positivo (processo di idealizzazione). I termini
buono e
cattivo,
infatti, rispecchiano in realtà il livello di una prima elaborazione
psichica dell'esperienza da parte del lattante, rispetto all'immaturità
cognitiva dei primissimi mesi di vita, quando egli è già in grado
di tenere conto in modo più integrato dei propri impulsi e delle
caratteristiche dell'
o. In seguito, mentre mira ad appropriarsi
dell'
o. buono, da cui fa dipendere ogni esperienza gratificante, e a
introiettarlo, il bambino nega e scinde da sé, insieme all'
o.
cattivo, anche ogni esperienza o pulsione distruttiva e ostile. L'unificazione
dell'
o. (nelle sue valenze frustranti e gratificanti) è raggiunta
lentamente e consolidata progressivamente dal bambino durante il suo sviluppo,
mentre i processi di idealizzazione e persecuzione si evolvono in una
caratterizzazione emotiva meno polarizzata della propria esistenza. ║
O. parziali e totali: per Freud, l'
o. viene considerato nella sua
interezza dall'individuo solo al sopraggiungere della pubertà, in grazia
del primato della genitalità che riassume le pulsioni pregenitali prima
vigenti. Per la Klein, invece, ciò avverrebbe all'interno di un percorso
globale di maturazione cognitiva e affettiva. Il superamento sopradescritto
della scissione dell'
o. in buono e cattivo prelude, dunque, anche al
raggiungimento della considerazione da parte del bambino dell'
o. come
totale, separato da sé ed autonomo. Ciò consente il fisiologico
abbandono di modalità relazionali onnipotenti ed egocentriche a favore di
sentimenti più stabili, profondi, maturi e coscienti dell'indipendenza
dall'
o. Tale percorso, per la studiosa, abbraccia in realtà
l'intero corso dell'esistenza di un individuo, caratterizzandone il grado di
maturità affettiva e relazionale. Un esempio evidente di
immaturità, in questo campo, è il fenomeno del
feticismo,
che, individuando in un
o. parziale il sostituto dell'
o. totale,
svaluta il secondo ipervalorizzando il primo. Nei casi più estremi tale
attitudine si configura come perversione. ║
O. transizionale:
descritto per la prima volta da D.W. Winnicott, consiste in un
o.
materiale (un pezzo di stoffa, un fazzoletto, un cuscino, un indumento, ecc.)
cui il lattante ricorre in occasione di una separazione dalla madre o prima di
dormire. Esso rappresenta uno stadio intermedio tra la relazione orale, in cui
il bambino non distingue sé dalla madre, e quella oggettuale, in cui
riconosce l'
o. come esterno e separato da sé. L'
o.
transizionale, inoltre, si qualifica come
o. "creato", in quanto non
appartiene né al mondo interno del bambino (che, infatti, lo evoca per
sopperire ad una mancanza o assenza), né a quello esterno, che
semplicemente ancora non esiste per le facoltà cognitive del
lattante.