(dal greco
oidé: canto). Componimento lirico, caratterizzato da
varietà metrica e strofica e da contenuto prevalentemente etico-civile,
encomiastico o amoroso. ● Encicl. - Nella poesia classica greca
l'
o., legata a una base musicale di accompagnamento, poteva essere sia di
genere monodico sia corale, distinguendosi in base ai temi trattati, che erano
rispettivamente di carattere autobiografico e personale, come l'amore,
l'amicizia, il convivio, oppure celebrativo, relativi all'agone sportivo, alla
religione, alla società civile. Principali autori di
o. monodiche
furono Alceo, Saffo, Alcmane, Anacreonte; alla lirica corale appartengono
Stesicoro, Simonide, Bacchilide, Pindaro. Nella poesia alessandrina, e
successivamente in quella latina, venne meno il vincolo musicale, pur
mantenendosi la complessità metrica della tradizione. Il termine
o. comparve in epoca imperiale per indicare i componimenti di Orazio, che
insieme a Catullo aveva introdotto nella letteratura latina questo genere
poetico. Nella letteratura cristiana si ricordano le
Odi di Salomone,
giunteci in siriaco, da un probabile originale greco. La ripresa dei modelli
greco-latini durante il Classicismo cinquecentesco determinò la rinascita
dell'
o., impostata sullo schema metrico della canzone petrarchesca:
strofe uguali, da quattro a sei versi, con alternanza di endecasillabi e
settenari o soli settenari. Autori di
o. furono B. Tasso, L.L. Alamanni,
G. Chiabrera, a cui si deve l'elaborazione, sul modello di Anacreonte, di
un'
o. a versi brevi che diventò prototipo dell'
o. arcadica
del Settecento. Svincolatasi dalla rigidità dei canoni formali,
l'
o. accolse i temi più diversi, dalla satira di G. Parini, alle
tematiche storiche, politiche, religiose di U. Foscolo e A. Manzoni. Con G.
Carducci, nelle
Odi barbare, si manifesta la tendenza a riprodurre le
forme metriche della poesia latina; altre innovazioni metriche furono tentate da
G. Pascoli e G. D'Annunzio. Nel resto d'Europa, dopo un'iniziale imitazione dei
modelli classicistici italiani, l'
o. ebbe grande fortuna,
caratterizzandosi per la grande varietà formale e contenutistica; in
Inghilterra si ricordano le
o. di J. Dryden, A. Pope, J. Keats, P.B.
Shelley, S.T. Coleridge; in Germania quelle di F.G. Klopstock, F.
Hölderlin; in Francia quelle di J.J. Rousseau, V. Hugo, A. de Musset; in
Russia quelle di A. Püskin, M.J. Lemortov.