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Novotny, Antonín.

Uomo politico ceco. Cominciò a svolgere attività politica a 17 anni nel Partito comunista, conquistandosi subito la fama di interprete ed esecutore fedele e intransigente delle direttive di Mosca. Catturato dai Tedeschi nel 1941, mentre era a capo di una formazione partigiana, N. fu deportato a Mathausen da dove riuscì a mantenere i contatti col Partito. Dopo la fine della guerra tornò in Cecoslovacchia e, grazie al sostegno di C. Gottwald, allora il numero uno del PCC, iniziò una rapida e brillante carriera politica. Membro del Comitato centrale, nel 1951 fu tra i più spietati accusatori del "traditore" Slansky, allora segretario generale del PCC: dopo la sua impiccagione, ne prese il posto nel Politburo. Due anni dopo, alla morte di Gottwald, venne eletto primo segretario del Partito e, nel 1957, presidente della Repubblica, conservando però la carica nel Partito. Ciò gli consentì di esercitare per undici anni un potere assoluto e dispotico. Sempre ligio agli ordini del Cremlino, N. ritardò il processo di destalinizzazione in Cecoslovacchia dopo la drammatica denuncia al XX congresso del PCUS da parte di Krusciov dei crimini commessi dal dittatore sovietico, evitando così che la Cecoslovacchia fosse teatro di moti rivoluzionari, quali quelli scoppiati in Polonia e in Ungheria. Nel 1962, tuttavia, contemporaneamente al declino degli stalinisti nell'URSS, N. dovette difendersi dalla pioggia di accuse sulla tragica farsa del processo Slansky e sulle prove "fabbricate" contro l'ex segretario del PCC. N. riuscì a salvarsi scaricando ogni responsabilità sul ministro dell'Interno Barak, che venne destituito. Negli anni successivi, però, la sua posizione cominciò a vacillare e i sempre più frequenti attacchi lanciatigli dagli avversari presenti all'interno dello stesso PCC, capeggiati da Dubcek e fautori di una linea di rinnovamento liberale del Paese, assunsero nel 1967 l'aspetto di un'opposizione organizzata. Anche in questo caso la reazione di N. si ispirò ai peggiori sistemi staliniani, ma la violenta repressione poliziesca non riuscì ad arrestare il processo rinnovatore. Nonostante avesse chiesto aiuto a Brežnev, N. fu costretto a rassegnare il 5 gennaio 1968 le dimissioni da primo segretario del partito e il 22 marzo da capo dello Stato. Fu lui a stroncare la primavera di Praga, facendo intervenire i carri armati sovietici. Tre anni più tardi, grazie all'intercessione di Mosca, venne reintegrato nel Partito, dove però non svolse più alcuna attività politica degna di nota (Letnany, presso Praga 1904 - Praga 1975).