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Non Essere.

Filos. - Principio antitetico all'essere. L'opposizione radicale esistente fra i due concetti viene teorizzata per la prima volta da Parmenide (VI sec. a.C.): "l'essere è e non può non essere; il non essere non è e non può in alcun modo essere". Nel contesto del discorso parmenideo l'essere coincide con la realtà, è la sola cosa pensabile ed esprimibile; il n.e., essendo il contrario di "qualcosa", è identificato con il nulla, il mondo del divenire, la pura apparenza. A prescindere dall'interpretazione scettica della sofistica che con Gorgia (V sec. a.C.) riuscirà a dimostrare che nulla esiste (ossia che l'essere non è), un certo grado di realtà viene riconosciuto al n.e. da Democrito che, ammettendo l'esistenza di spazi vuoti fra gli atomi, che in essi si muovono, sostituisce all'antitesi essere-n.e. quella di pieno-vuoto, entrambi reali. Platone, riprendendo lo schema parmenideo verità-essere, opinione-n.e., e opponendo al mondo delle idee, della vera realtà, perfettamente conoscibile, il mondo fisico fatto di apparenza e suscettibile di un livello inferiore di conoscenza, l'opinabilità, gli conferisce un certo grado di realtà. Nel pensiero cristiano del Medioevo, il concetto di n.e. diventa centrale per la formulazione dell'idea di creazione (ex nihilo): il nulla viene inteso come qualcosa che non è, ma è suscettibile di realtà in seguito all'atto creativo. Alla contrapposizione parmenidea fra essere e nulla si rifà Hegel: l'essere e il nulla si contrappongono all'essere determinato, ma ne costituiscono la sintesi, il punto di partenza come "divenire", che è continuo passaggio dall'uno all'altro dei due opposti. In polemica col significato ontologico attribuitogli da Hegel, H. Bergson considera il nulla assoluto una nozione assurda, opponendogli il concetto di nulla relativo, inteso come la delusione di un'aspettativa, la constatazione della mancanza di qualcosa che ci si aspetterebbe.