Imperatore dei Francesi. Dopo aver frequentato il collegio di Autun,
passò, nel 1779, alla scuola militare di Brienne e nel 1784 a quella di
Parigi. Si dedicò alla lettura dei classici e dei francesi, in
particolare di Rousseau, di cui commentò il pensiero in due opuscoli: il
Dialogo sull'amore e le
Riflessioni sullo stato di natura. Nel
1785 divenne sottotenente di artiglieria e venne assegnato a guarnigioni di
provincia, nutrendo l'ideale di una Corsica indipendente. Trascorse in Corsica i
congedi dei primi anni della Rivoluzione, e qui tentò la carriera
politica e militare, legandosi con esponenti democratici corsi (C. Saliceti) e
italiani (F. Buonarroti). Eletto capo-battaglione della guardia nazionale di
Ajaccio, prese parte nel 1793 al fallito tentativo di sbarco in Sardegna. Ma
quando il patriota corso Paoli si mise a capo del movimento di indipendenza, la
famiglia Bonaparte rimase fedele alla Francia e fu costretta a rifugiarsi prima
a Toledo e, quindi, a Marsiglia. L'assedio di Tolone, occupata dagli Inglesi
(ottobre 1793), offrì a
N. la possibilità di mettersi in
luce. Egli diede, infatti, un apporto decisivo per la liberazione della
città e ricevette il grado di generale di brigata grazie all'appoggio di
Saliceti e di Augustin Robespierre, fratello di Maximilien ed esponente del
giacobinismo, cui anche
N. aveva aderito. Dopo la caduta di Robespierre
nel Termidoro (9 agosto 1794), cadde in disgrazia e venne radiato dall'esercito
per essersi rifiutato di guidare una spedizione in Vandea (aprile 1795).
Continuò a rimanere, però, in contatto con gli ambienti di governo
e poté riprendere la carriera grazie alla protezione di P. Barras, da cui
ricevette l'incarico di reprimere il movimento realista del 13 Vendemmiaio (5
ottobre 1795). Venne quindi reintegrato nell'esercito con il grado di generale
di divisione e con il comando dell'armata dell'interno. Il matrimonio con
l'influente Giuseppina Beauharnais, sposata nel 1796, gli fece ottenere il
comando dell'armata d'Italia, con il compito di impegnare le forze
austro-piemontesi, alleggerendo in tal modo il fronte tedesco. Il fronte
italiano aveva in effetti un'importanza secondaria, in quanto l'offensiva
principale si sarebbe svolta sul Reno; ma quella che avrebbe dovuto essere solo
una manovra diversiva si trasformò in una serie di strepitose vittorie,
dovute a un'abile applicazione delle nuove tecniche militari. Salutato come il
liberatore dal giogo straniero,
N. occupò gran parte dell'Italia
settentrionale. Pur disponendo di truppe esigue (solo 38.000 uomini male
equipaggiati), sconfisse l'esercito piemontese, inducendo Vittorio Amedeo III a
firmare l'armistizio di Cherasco (28 aprile 1796). Successivamente vinse gli
Austriaci e pose l'assedio a Mantova che capitolò nel febbraio del 1797.
Occupata la Lombardia, costituì sul modello francese le Repubbliche di
Genova e Venezia e sottrasse allo Stato Pontificio la Romagna, cui il papa
rinunciò con il trattato di Tolentino (18 febbraio 1797).
N.
portò la guerra in territorio veneto, costringendo l'arciduca Carlo
d'Asburgo a firmare i preliminari della pace di Loeben (18 aprile 1797). Contro
la volontà del Direttorio, che voleva scambiare la Lombardia con i
territori della riva sinistra del Reno,
N. seguì il suo progetto
di guadagnarsi l'appoggio dei patrioti italiani per fare dei territori
conquistati il punto di partenza per i suoi disegni futuri. Organizzò la
Repubblica Cisalpina, favorendo i moderati rispetto ai giacobini, e la
Repubblica Ligure. Con il Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) venne
sancita la nuova situazione: il Belgio veniva annesso alla Francia e Venezia
perdeva la sua indipendenza passando con gran parte del suo territorio, la
Dalmazia e l'Istria (con l'eccezione di Bergamo e Brescia, congiunte alla
Repubblica Cisalpina) all'Austria, in cambio del riconoscimento dei nuovi
ordinamenti della Repubblica Cisalpina e Ligure. Lasciata l'Italia, nel
settembre 1797
N. appoggiò il Direttorio nel colpo di Stato di
Fruttidoro, con il quale furono espulsi dalle assemblee i membri di recente
elezione. Con ciò il Direttorio rinunciava a ogni apparenza di
legalità, appoggiandosi interamente all'esercito. Temendo, però,
l'eccessiva popolarità di
N., i dirigenti politici pensarono di
allontanarlo affidandogli una spedizione contro le isole britanniche, ma
N. la deviò verso l'Egitto (1798) con il proposito di colpire
l'Inghilterra nei suoi traffici in Oriente, isolandola dall'India e dagli altri
suoi possedimenti asiatici. Espugnata in giugno l'isola di Malta, nel mese
successivo
N. vinse alle Piramidi e in Siria (ma fu fermato a S. Giovanni
d'Acri). La vittoria riportata sui Mamelucchi, dominatori di fatto del Paese, fu
però vanificata dalla distruzione, in agosto, della flotta francese, ad
opera dell'ammiraglio inglese Nelson nella baia di Abukir. Nel frattempo,
però, in Francia la situazione politica si stava aggravando: la Seconda
Coalizione antifrancese, comprendente, oltre alla Gran Bretagna, la Russia, la
Turchia, l'Austria, il Regno di Napoli e il Portogallo, aveva conseguito
successi militari sulla Francia dove, inoltre, il Direttorio era scosso da
dissidi interni. L'instabilità politica e l'incertezza della situazione
internazionale portarono l'opinione pubblica ad auspicare l'affermazione di un
capo che esercitasse un potere assoluto. Approfittando del momento,
N.
salpò da Alessandria ed evitato il blocco delle navi inglesi
riuscì a sbarcare a Fréjus. Nonostante la sconfitta subita ad
opera di Nelson, appariva il solo uomo capace di catalizzare il consenso dei
Francesi in quel momento di estrema precarietà. D'accordo con Barras e
Sieyés, il 9 novembre (18 Brumaio) 1799 attuò il colpo di Stato
che avrebbe portato alla concentrazione del potere politico nelle sue mani. La
maggioranza dei deputati respinse le sue proposte, confermandosi fedele alla
Costituzione vigente.
N. fece allora ricorso all'esercito, ordinando
l'uscita dall'aula dei dissenzienti. I pochi deputati rimasti votarono per la
riforma costituzionale, affidandone la realizzazione a tre consoli: Bonaparte,
Sieyés e Ducos. La nuova Costituzione, sottoposta all'approvazione (oltre
tre milioni di voti a favore, 1.562 contrari), affidava il potere esecutivo a un
"primo console", nella persona del Bonaparte, affiancato da altri due consoli
che da lui dipendevano. La preparazione delle leggi era affidata a un Consiglio
di Stato di nomina elettiva, affiancato da un Senato di 60 membri nominati dai
consoli. Divenuto primo console grazie al sostegno dell'esercito,
N.
sapeva che la sua popolarità dipendeva soprattutto dalla capacità
di dare al Paese un governo stabile ed efficiente, possibile solo quando si
fosse ristabilita una pace duratura.
N. mirò quindi a risolvere,
innanzitutto, la situazione militare. Valicato il Gran San Bernardo, inflisse
all'Austria una sconfitta decisiva nella battaglia di Marengo (14 giugno 1800) e
la costrinse alla pace di Lunéville (9 febbraio 1801), che rinnovava le
clausole del trattato di Campoformio con ulteriori condizioni vantaggiose per la
Francia, che otteneva così la riva sinistra del Reno e la Toscana, sul
cui trono venne posto Ludovico di Borbone in sostituzione del deposto Ferdinando
III. Nel 1802 vennero modificati in senso autoritario gli ordinamenti della
Repubblica Cisalpina, divenuta Repubblica Italiana con presidente lo stesso
N., mentre la Repubblica Ligure veniva annessa al Piemonte. Nel marzo
1802 l'Inghilterra firmò con la Francia la pace di Amiens, mentre in
Olanda venne organizzata la Repubblica Batava e, in Svizzera, la Repubblica
Elvetica. Tra il 1800 e il 1803
N. si dedicò soprattutto alla
riorganizzazione interna della Francia, compiendo il lavoro più
costruttivo e più valido del suo Governo. Valendosi di uomini capaci,
diede un nuovo assetto alle istituzioni giuridiche, amministrative e
finanziarie, trasformando la Francia in uno Stato moderno. Nel 1800 venne
fondata la Banca di Francia, che nel 1803 ottenne il monopolio dell'emissione
delle banconote con il franco germinale (rimasto invariato fino alla prima
guerra mondiale). La fiscalità venne centralizzata e così pure le
amministrazioni locali: ogni dipartimento venne affidato a un prefetto, soggetto
al Governo centrale. Le nuove misure politico-amministrative restaurarono
l'autorità centralizzata dell'antico regime monarchico, depurato
però da molte sue scorie. Numerose e importanti modifiche furono,
inoltre, apportate all'organizzazione giudiziaria, al vertice della quale stava
la Corte di Cassazione, mentre alla base si trovavano i giudici di pace, uno per
cantone, e i tribunali di prima istanza, uno per circondario. Pur sancito il
principio della inamovibilità, i giudici venivano scelti dal Governo e
non più eletti. Fu inoltre avviato e portato rapidamente a compimento il
piano di codificazione delle leggi. All'elaborazione del Codice Civile del 1804
seguirono, nel 1806, quella del Codice di Procedura Penale, del Commercio nel
1807 e, infine, del Codice Penale nel 1811. Si poneva così fine alla
molteplicità delle fonti che aveva contraddistinto l'Ancien
Régime. In particolar modo il Codice Napoleonico del 1804, che costituiva
con i suoi 2.287 articoli una sintesi tra le teorie liberali, ereditate dalla
Rivoluzione, e il diritto romano, esumato in funzione antirivoluzionaria,
sancì l'affermazione dei principi propri della borghesia (la
libertà individuale, il diritto alla proprietà, quello
dell'eguaglianza giuridica) e l'organizzazione della vita associata nei grandi
istituti, primo fra tutti la famiglia. Contemporaneamente
N.
affrontò il problema dei rapporti con la Chiesa, intendendo risolvere il
conflitto lasciatogli in eredità dalla Rivoluzione. Conscio
dell'importanza politica della religione, considerata uno strumento di coesione
sociale, egli intavolò trattative per un concordato che ponesse fine al
conflitto, separando così definitivamente la causa della Monarchia da
quella della Chiesa cattolica. L'accordo fu raggiunto nel luglio 1801: si
riconobbe il Cattolicesimo come "la religione della maggioranza dei Francesi",
venne garantita la libertà di culto e lo Stato si impegnò a pagare
uno stipendio agli ecclesiastici. Nello stesso periodo furono iniziate
importanti opere pubbliche, fu ristrutturata l'organizzazione scolastica e
incoraggiata la ricerca scientifica. Inoltre
N. dedicò questo
periodo di tregua militare al potenziamento della flotta navale, preparò
spedizioni coloniali dirette al Madagascar e all'isola Mauritius per ostacolare
l'Inghilterra nella via delle Indie. Nominato console a vita nel marzo 1802, nel
1804
N. assunse su proposta del Senato il titolo di imperatore dei
Francesi e il 2 dicembre ricevette dal papa la corona imperiale in Notre-Dame.
Con ciò ottenne, secondo la tradizione, la sanzione del diritto divino.
Figlio della Rivoluzione, pur non mancando di circondarsi degli ornamenti delle
Monarchie tradizionali (volle, ad esempio, dare carattere ereditario al proprio
impero), egli non mancò mai di affermare di derivare il potere dalla
volontà del popolo e sottopose tutte le sue più importanti
decisioni ad approvazione popolare, sia pure con sanzioni plebiscitarie a
posteriori. Organizzato lo Stato,
N. si volse nuovamente alle imprese
militari. Sin dalla sua stipulazione, la pace di Amiens era stata considerata
solo una tregua: le continue mire espansionistiche e il protezionismo
commerciale della Francia avevano indotto gli Inglesi a non lasciare Malta, come
previsto dal trattato e ciò aveva portato ad una ripresa delle
ostilità. Una lunga serie di vittorie consentì a
N. di
frantumare, nel giro di due anni, la Terza Coalizione, comprendente, oltre
all'Inghilterra, Austria, Russia, Svezia e Napoli.
N. tentò di
conquistare il controllo della Manica, ma la flotta franco-spagnola venne
sconfitta da Nelson nella battaglia di Trafalgar, che sancì la definitiva
supremazia inglese sul mare. Col trattato di Presburgo (26 dicembre 1805),
l'Austria, disfatta a Ulma e ad Austerlitz, si ritirò dalla guerra.
Successivamente anche la Prussia, entrata a far parte con Inghilterra, Russia e
Svezia della Quarta Coalizione, venne annientata nelle battaglie di Jena e di
Auerstedt (ottobre 1806) e costretta a cedere enormi parti di territorio.
Entrato a Berlino,
N., a cui rimaneva da sconfiggere l'Inghilterra,
firmò il decreto con cui proclamava il Blocco continentale, il
boicottaggio del commercio britannico, nel tentativo di colpire l'Inghilterra
con armi economiche impedendone i traffici. Esteso in tal modo il proprio
dominio su gran parte del continente europeo, egli dichiarò l'annessione
alla Francia di alcuni dei territori conquistati (Belgio, Nizza, Genova, Savoia,
Dalmazia, Croazia), mentre altri furono costituiti in Regni satelliti, affidati
a suoi familiari in modo da creare una nuova dinastia europea. Insediò
infatti il fratello Luigi sul trono d'Olanda, assegnò la Vestfalia a
Gerolamo, la Spagna a Giuseppe, Napoli a Gioacchino Murat, marito della sorella
Carolina. Tenne invece per sé la corona di re d'Italia, ricevuta nel
duomo di Milano il 26 maggio 1805. Annientò l'esercito russo a Friedland
(14 giugno 1807) e, conducendo un'abile azione diplomatica, indusse lo zar
Alessandro I a firmare la pace e a stipulare un trattato di alleanza
quinquennale con la Francia. In tal modo il mondo fu diviso in due grandi sfere
di influenza: l'Europa in mano a
N. e l'Oriente alla Russia.
N.
era riuscito a costruire un grande Impero in funzione antinglese e come area di
diffusione in Europa dei principi ereditati dalla Rivoluzione: distruzione del
feudalesimo, eliminazione della servitù della gleba, dichiarazione di
uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, introduzione del nuovo
Codice Civile. Mentre all'interno
N. accentuava tratti conservativi, in
Europa egli continuò ad incarnare il mito della libertà dalla
dominazione straniera e dall'assolutismo, della modernizzazione della
società. Per garantire stabilità al suo immenso Impero, si vide
costretto ad accelerare le sue conquiste, impedendo che si aprissero brecce nei
suoi domini. Da qui le spedizioni contro il Portogallo, l'annessione delle
Marche al Regno d'Italia e della Toscana all'Impero, l'occupazione di Roma e la
deportazione di Pio VII, prima a Savona nel 1809, e quindi in Francia nel 1812.
Questa rottura con il Papato intaccò la popolarità di
N.
presso ampi settori sociali; altre avvisaglie della crisi si ebbero in Russia e
in Spagna.
N. non riuscì a convincere lo zar Alessandro I a
guidare la spedizione contro i Turchi; inoltre il popolo russo mostrò
segni di insofferenza per i danni arrecati all'economia del Paese dal Blocco
continentale; in Spagna la rivolta, scoppiata nel maggio 1808 in seguito alla
destituzione dei sovrani a favore di Giuseppe Bonaparte, divampò in tutto
il Paese e, sostenuta dagli Inglesi, si protrasse senza che
N. riuscisse
mai a venirne a capo. Riuscì tuttavia a sconfiggere l'Austria, che
capeggiava la Quinta Coalizione, imponendo la pesante pace di Schönbrunn
(1809). Quest'avvenimento segnò l'apogeo della parabola di
N., al
quale restava da affrontare il problema dinastico. Ripudiata Giuseppina, nel
1810 sposò Maria Luisa d'Austria da cui ebbe l'erede desiderato, il Re di
Roma. All'interno, il regime di
N. sembrava stabile: l'opposizione di
stampo legittimista si era attenuata grazie anche all'integrazione nella nuova
élite sociale formata dai ceti medi e dai grandi proprietari terrieri,
dai militari e da alti e medi funzionari. L'economia era fiorente: le
manifatture producevano ed esportavano senza il problema della concorrenza
inglese grazie alla politica di
N., tesa sempre a favorire gli interessi
francesi a scapito di quelli degli altri Paesi dell'Impero. Sul piano
politico-civile, come imperatore, egli continuò l'opera costruttiva
iniziata durante il Consolato. Istituì un sistema di educazione
secondaria che risultò il migliore d'Europa, attuò nuove opere
pubbliche, promosse varie iniziative culturali, si preoccupò
dell'equilibrio del bilancio e favorì lo sviluppo economico del Paese. Di
contro, però, vennero ulteriormente ristrette le libertà. Nel 1804
fu restaurato il ministero della Polizia già soppresso nel 1802; la
stampa venne sottoposta a una stringente censura; con un decreto del 1810 furono
istituite prigioni politiche e il Consiglio di Stato fu autorizzato a spiccare
arresti e a imprigionare senza processo. Nell'insieme, tuttavia,
N. diede
alla Francia un Governo efficiente e attivo e godette dell'appoggio della
maggioranza dei Francesi, anche quando, a partire dal 1808, le tensioni
crescenti, le continue guerre e lo spettro della disfatta cominciarono a porre
serie ipoteche sul regime, logorato dalle sue stesse contraddizioni interne. Nel
1812, Gran Bretagna e Svezia si allearono con la Russia, impensierita dalle mire
napoleoniche, costituendo il nucleo della Sesta Coalizione alla quale aderirono,
successivamente, Austria e Prussia.
N. attaccò la Russia col
pretesto del rifiuto dello zar di partecipare al Blocco continentale e di
cooperare alla lotta antibritannica. La campagna di Russia del 1812 si risolse
in una disastrosa ritirata da Mosca. La guerra si estese all'Austria e, dopo i
successi iniziali, nell'ottobre 1813 l'esercito napoleonico subì a Lipsia
una disfatta che costò la vita di cinquantamila uomini, costringendo
N. a ritirarsi dalla Germania. Nel frattempo, il territorio stesso della
Francia veniva invaso da Sud e, nonostante la resistenza dei Francesi, la
situazione precipitò:
N. abdicò il 7 luglio 1814, dopo la
capitolazione di Parigi, e si ritirò nell'isola d'Elba, di cui aveva
conservato la sovranità. Nel marzo 1815, mentre le Monarchie vittoriose
si preparavano a dare all'Europa un nuovo assetto,
N. fuggì
dall'Elba. Sbarcato a Cannes, riuscì a riavere con sé la maggior
parte dell'esercito e a conquistarsi l'adesione entusiastica delle masse
popolari. Il generale M. Ney, inviato per catturarlo, si schierò dalla
sua parte; mentre Luigi XVIII lasciava Parigi, il 20 marzo
N.
tornò a insediarsi alle Tuileries. Ma a Waterloo (18 giugno 1815) gli
Inglesi di Wellington e i Prussiani, guidati da Blucher, lo sconfissero
definitivamente. Rientrato a Parigi,
N. abdicò per la seconda
volta e, fallito il tentativo di fuggire in America, si consegnò come
prigioniero agli Inglesi a bordo della nave Bellerofonte (15 luglio). Confinato
nell'isola di Sant'Elena, nell'Atlantico meridionale, trascorse gli ultimi anni
dedicandosi alla stesura delle proprie memorie (
Il memoriale di
Sant'Elena). Le sue ceneri furono traslate agli Invalides di Parigi nel
1840. La figura di
N. fu oggetto, negli anni del suo potere, di un'azione
propagandistica, da lui stesso promossa e voluta, che alimentò il mito
del liberatore dall'oppressione feudale, secondo le istanze di libertà e
uguaglianza propugnate dalla Rivoluzione dell'89. Negli ultimi anni la
propaganda puntò, invece, sul collegamento storico di
N. con Carlo
Magno, come salvatore della Francia dall'anarchia e restauratore della
religione. Anche le opere pubbliche da lui promosse contribuirono a rafforzare
la sua immagine trionfalistica (l'arco di trionfo del Carrousel, la colonna di
piazza Vendôme, il foro Bonaparte a Milano, la strada del Sempione). A
tale immagine si opposero i detrattori inglesi e quei patrioti che si sentirono
traditi da
N. (in Italia Ugo Foscolo). La pubblicazione del
Memoriale
di Sant'Elena (1823) contribuì ad alimentare la visione romantica di
N., già elaborata da scrittori quali Byron, Heine e Manzoni.
L'idea di
N. come colui che aveva impedito il ritorno al feudalesimo fu
rinverdita in funzione politica e servì all'affermazione di Napoleone
III. Durante il Positivismo studiosi quali Thiers, Lanfrey e Masson iniziarono
un'analisi attenta della sua biografia, ma l'affermazione della storiografia
sull'agiografia si ebbe solo nella metà del XX sec. (Ajaccio, Corsica
1769 - Longwood, Sant'Elena 1821).
Un celebre ritratto di Napoleone I
La Campagna di Russia (1812)