Dea egiziana che fu oggetto di un culto assai diffuso fino a epoca tarda.
Secondo il mito, narrato in forma molto ampia da Plutarco,
I. era figlia
di Gheb, dio della Terra, e di Nut, dea del cielo e sposa di Osiride, suo
fratello. Mentre il fratello regnava pacificamente sull'Egitto, Seth, il
fratello invidioso sposo della sorella Nefti, lo assassinò con un inganno
e ne occultò il cadavere.
I., spinta dalla disperazione,
vagò a lungo cercando il corpo dello sposo ucciso fino a quando,
trovatolo, lo ricompose con l'aiuto del dio inventore della mummificazione,
Anubi. Dopo le lamentazioni funebri pronunciate sul cadavere, prototipi di tutti
i lamenti funebri,
I., assunta la forma di un uccello, volò sopra
Osiride muovendogli l'aria attorno con le ali. Egli ritornò alla vita, ma
solo per poco, perché ormai il suo regno era quello dell'oltretomba. Sul
trono d'Egitto succedette ad Osiride il figlio Horo, nato dopo la sua morte.
Nella seconda parte del mito di
I. è narrata la difesa di Horo,
nato nelle paludi del delta del Nilo, da parte della dea: infatti Seth insidiava
il neonato per poter salire sul trono. Horo, divenuto adulto, fu costretto a
lottare contro Seth; in questo frangente fu aiutato dalla dea che ricorse
all'astuzia e alla magia per proteggerlo. Davanti al grande tribunale degli dei
I. sostenne la causa del figlio finché questi venne dichiarato
vincitore da Thot. Il popolo egiziano amò profondamente questa
divinità per il suo amore verso il marito, il suo affetto materno, la sua
grande umanità, le sue potentissime arti magiche. Anche nell'età
greca e romana il culto di
I. venne celebrato sotto forma di mistero,
diffondendosi in tutto il Mediterraneo e in Asia Minore. La dea viene spesso
raffigurata come moglie di Osiride mentre lo protegge con le braccia alate, o
come madre di Horo, mentre sta per allattarlo, tenendolo sulle ginocchia.