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Isòtopo.

(dal greco ísos: uguale e tópos: posto). Chim. e Fis. - Atomi che possiedono nel loro nucleo lo stesso numero di protoni ma un diverso numero di neutroni. Essi sono quindi dotati di identiche proprietà chimiche ma di proprietà fisiche (ed in particolare di massa atomica) leggermente diverse. Dato che le proprietà chimiche di un atomo dipendono esclusivamente da un numero e dalla distribuzione dei suoi elettroni (il cui numero complessivo è uguale a quello dei protoni), i diversi i. di uno stesso elemento chimico si collocano tutti in una stessa casella della tavola periodica degli elementi. L'esistenza di i. di uno stesso elemento fu stabilita nel 1914 indipendentemente da Richards ed Hönigschmid i quali scoprirono che il peso atomico del piombo era diverso secondo la sua provenienza. Mentre per il piombo comune, derivante da giacimenti di galena si trovava peso atomico 207,21, per quello proveniente da minerali di uranio si trovava 206,06 e per quello proveniente da minerali di torio si trovava 208,90. Come si vede le differenze sono notevoli, molto superiori al limite di errore dei metodi di determinazione. Fu quindi confermata l'ipotesi avanzata già nel 1911 da F. Soddy, che aveva anche coniato il nome i. In base a quanto detto si doveva concludere che il piombo era costituito di almeno due i., uno di peso atomico 206 ed uno di peso atomico 208, miscelati fra loro in proporzioni diverse secondo la loro provenienza. In seguito fu poi accertato che il piombo è in realtà una miscela di ben 4 i., presenti in quantità diverse. Ad es. in un piombo estratto da galena ed avente peso atomico 207,19 i vari i. sono presenti in queste percentuali relative:

isopotopo 204
1,5%
isopotopo 206
23,6%
isopotopo 207
22,6%
isopotopo 208
52,3%

essendo le percentuali espresse come rapporto percentuale del numero di atomi di un i. presenti in una data massa di piombo e numero di atomi totali di piombo presenti nella stessa massa. Si tratta quindi, come si suol dire, di percentuali atomiche. Gli i. di un elemento si indicano apponendo al simbolo dell'elemento il peso atomico dell'i.: così gli i. del piombo sopra citati si indicheranno sinteticamente così: 204PB, 206Pb, 207Pb e 208Pb. Talvolta accanto al simbolo dell'elemento si fa comparire anche il suo numero atomico (per il piombo è 82). Gli i. sopra detti si indicheranno quindi così: ISOLAMEN24.png Secondo un altro modo di scrivere gli i. si indicano con il nome o il simbolo dell'elemento seguito dal peso atomico dell'i.: si dirà quindi Pb-204 (o piombo 204), Pb-206 (o piombo 206), ecc. La percentuale atomica di un i. è detta abbondanza relativa dell'i. stesso; essa può variare secondo l'origine dell'elemento ma in generale le variazioni sono minime, salvo alcune eccezioni (quale appunto il piombo). Gli i. di un elemento si distinguono in i. stabili ed i. instabili o i. radioattivi o radioisotopi. I primi sono stabili in quanto non mostrano alcuna tendenza a decomporsi secondo reazioni di fissione nucleare; essi possono eventualmente subire la fissione ma solo se bombardati con particelle nucleari veloci (ad esempio neutroni). I radioisotopi invece hanno tendenza a decomporsi spontaneamente secondo reazioni di fissione nucleare o, come si suol dire, di decadimento radioattivo. Sovente si usa parlare di i. naturali come sinonimo di i. stabili; questo è proprio per alcuni elementi ma è errato per molti altri i quali posseggono dei radioisotopi naturali. Ad esempio esistono in natura ben 4 i. radioattivi del piombo, precisamente il 201Pb (o radio-D), il 211Pb (o attinio-B), il 212Pb (o torio-B) e il 214Pb (o radio-B). La percentuale di questi i. nella miscela naturale di piombo è trascurabile: può essere sensibile, anche se sempre bassa, nel piombo contenuto in minerali di uranio o di torio oppure nel piombo ottenuto come residuo di combustione di reattori nucleari. Certi elementi come il tecnezio, non presentano nessun i. naturale: si dicono allora elementi artificiali o sintetici. Altri elementi, pur non presentando i. stabili esistono in natura: una condizione affinché questo succeda è che la decomposizione di questi i. sia estremamente lenta. La velocità con cui un i. si decompone (e quindi scompare, trasformandosi in altri i. di altri elementi, stabili o meno) è misurata con il suo periodo di semitrasformazione, intendendo con questo l'intervallo di tempo che impiega una data massa di quell'i. a decomporsi per metà. Ad es. il 208Pb ha un tempo di semitrasformazione (indicato simbolicamente con T(½) di 19,4 anni. Vale a dire che se oggi prepariamo 1 grammo di questo i. e lo lasciamo in un luogo lontano da sorgenti radioattive (anche se sarà sempre esposto ad es. alla radioattività proveniente da sorgenti extraterrestri, come i raggi cosmici) fra 19,4 anni resteranno 0,5 grammi di quell'i., fra 38,8 anni ne esisteranno 0,25 grammi e così via. Si capisce quindi come certi elementi, i cui i. hanno un periodo di semitrasformazione molto lungo, possano esistere anche se non hanno i. stabili. È il caso ad es. del bismuto, che presenta due i.: il 210Bi con T(½) di 5 giorni, presente in tracce in certi minerali radioattivi ed il 209Bi, avente T(½) pari a 2 ·1017 anni, cioè lunghissimo, che costituisce praticamente il 100% del bismuto comunemente impiegato. È da notare che con un tempo di semitrasformazione così lungo la radioattività emessa è tanto bassa da essere innocua anche per un contatto prolungato, benché sia rilevabile dagli strumenti più perfezionati. La maggior parte degli i. degli elementi sono però prodotti dall'uomo, attraverso reazioni di fissione nucleare o per bombardamento di i. stabili con particelle nucleari fortemente accelerate in apposite macchine (V. ACCELERATORI) oppure ottenuti come prodotto secondario di fissioni nucleari. Questi i., detti i. artificiali, hanno oggi una grandissima importanza in molti campi, dalla chimica alla medicina, come si dirà poi. ║ Interpretazione fisica: l'esistenza degli i. ha trovato nelle scoperte della fisica atomica una spiegazione esauriente. Come è noto ormai da decenni, l'atomo è costituito da un nucleo, composto di protoni e neutroni, e da elettroni rotanti attorno ad esso. Il numero di elettroni, che è uguale al numero di protoni del nucleo, individua l'elemento in quanto coincide con il numero atomico (che indicheremo con Z); così l'elemento Z = 11 (cioè con 11 elettroni) è il sodio, l'elemento Z = 92 (cioè con 92 elettroni) è l'uranio e così via. Il numero di neutroni (che indicheremo con N) è indipendente dal numero di elettroni e quindi non definisce l'elemento, ma solo l'i. Facciamo un esempio, considerando un elemento qualsiasi con più di un i., come il ferro. Il suo numero atomico è 26 ed il suo peso atomico 55,847. Questo elemento possiede quindi un nucleo con 26 protoni (carica + 1 unità di carica elettronica e massa 1 nella scala dei pesi atomici): esso presenta però 4 i., precisamente Fe-54, Fe-56, Fe-57 e Fe-58. Vale a dire che esistono degli atomi di ferro che hanno peso circa 54 o 56 o 57 o 58 unità di massa: come si suol dire, gli atomi di ferro possono avere numero di massa (abbreviato A) 54 o 56 o 57 o 58. Dato che il protone ha un peso uguale a circa un'unità di massa mentre l'elettrone ha peso pari ad 1/1.850 unità di massa (e quindi trascurabile in prima approssimazione) è facile calcolare il numero di neutroni N dei vari i. del ferro, essendo, per quanto prima detto A = N + Z ovvero N = A - Z. Avremo pertanto:

Isotopo A Z N
Fe-54
54
26
28
Fe-56
56
26
30
Fe-57
57
26
31
Fe-58
58
26
32

Naturalmente sono ipotizzabili atomi di ferro con N che va da 0 ad un numero molto grande: sperimentalmente si trova però che questi atomi non sono stabili, come si dirà poi. In effetti i 4 i. del ferro ora citati sono gli unici esistenti in natura e gli unici stabili. Altri due i. del ferro, il Fe-55 (N = 29) ed il Fe-59 (N = 33), sono stati preparati come i. artificiali (usati in medicina e biologia) ma non sono stabili: il primo ha T(½)= 2,94 anni mentre il secondo ha T(½)= 45 giorni. I 4 i. stabili del ferro non hanno la stessa abbondanza relativa. La distribuzione percentuale atomica è infatti la seguente:

Fe-54 5,82%
Fe-56
91,66%
Fe-57
2,19%
Fe-58
0,33%

In base a questi dati è possibile calcolare il peso atomico dell'elemento. Infatti esso deve essere la media pesata dei vari i., ognuno contato per la sua abbondanza relativa. Si può verificare che l'espressione (54 · 5,82 + 56 · 91,66 + 57 · 2,19 + 58 · 0,33)/100 dà come valore proprio 55,847 (valore sperimentale a meno di un piccolo errore dovuto all'aver trascurato il peso degli elettroni ed al fatto che neutroni e protoni, allorché si trovano in un nucleo, hanno una massa di poco inferiore all'unità, almeno per gli i. aventi numero di massa maggiore di 12. Questo è dovuto al fatto che entrando a far parte di un nucleo, si instaurano dei fenomeni energetici per cui i nucleoni (intendendo con questo termine indifferentemente neutroni e protoni) perdono una parte di massa, convertita in energia. Inoltre il peso dei nucleoni negli atomi varia con il loro numero, decrescendo all'aumentare di questo, sempre per fenomeni energetici. ║ Radioisotopi leggeri (naturali): si intende con questo termine alquanto vago l'insieme degli i. radioattivi (esistenti in natura) degli atomi più leggeri ad es. fino a Z = 50. Questi radioisotopi sono in numero molto limitato: riportiamo qui la lista finora conosciuta, ma non è escluso che in futuro ne vengano scoperti altri.

ISOLAMEN35.png

Nella tabella l'abbreviazione "a" sta per anni. È da notare, che alcuni di questi radioisotopi hanno un'abbondanza relativa notevole come ad es. il Rb-87 (27,8%), lo Zr-96 (2,80%) e lo In-115 (95,72%). In questo caso essi hanno però un tempo di semitrasformazione molto lungo rispetto anche alla età delle rocce più antiche della terra, stimata di circa 109 ÷ 1010 anni. ║ Radioisotopi pesanti (naturali): si intende con questo nome i radioisotopi di elementi pesanti (Z maggiore di 50 o anche Z maggiore di 82, numero atomico del piombo). È da notare che gli elementi che seguono il piombo nella tavola di Mendelejeff sono tutti privi di i. stabili, anche se alcuni (bismuto, torio e uranio) presentano degli i. con tempo di semitrasformazione molto lungo. Alcuni di questi i. hanno grande importanza pratica, quali ad es. (tra parentesi i tempi di semitrasformazione): 230Th (8 · 104 anni), 232Th (1,4 · 1010 a), 231Pa (3,4 · 104 a), 235U (7,13 · 108 a), 238U (4,51 · 109 a).
Una delle caratteristiche degli i. pesanti è la facilità con cui essi subiscono la fissione radioattiva: bombardati con particelle subatomiche o atomiche fortemente accelerate essi si decompongono generando i. (stabili o meno) di altri elementi ed eventualmente particelle subatomiche. Ad es. lo U-235 colpito da un neutrone (abbreviato n) lo cattura dando un U-236 instabile, che subito si decompone in altri due i. e 2 o 3 neutroni, secondo una reazione del tipo:

ISOLAMEN36.pngISOLAMEN37.png

avendo messo tra parentesi la specie ISOLAMEN38.pngche esiste solo per un tempo infinitesimo. Una reazione di questo tipo libera una quantità grandissima di energia, utilizzabile per scopi pacifici o distruttivi (V. ATOMICA, BOMBA). ║ Stabilità degli i.: si è detto che in linea di principio si possono pensare per ogni elemento moltissimi i., aventi sempre un nucleo composto da un certo numero di protoni e da un numero qualsiasi di neutroni. Sperimentalmente si trova però che solo pochi i. sono stabili per ogni elemento. Fatta eccezione per l'idrogeno, si osserva che negli i. stabili degli elementi leggeri (fino al ferro, cioè = 26) il numero di neutroni è circa uguale a quello dei protoni: negli i. stabili degli elementi più pesanti si osserva invece che il numero di neutroni è maggiore del numero di protoni. Inoltre si osserva che gli elementi aventi numero atomico Z dispari presentano pochissimi i. stabili (uno o due al massimo) mentre quelli aventi Z pari ne presentano in generale diversi; fra questi per gli elementi leggeri (Z minore di 26) si nota in generale che un i. è fortemente preponderante rispetto agli altri. Occorre introdurre alcune definizioni proprie della fisica atomica che servono per esprimere concisamente alcuni concetti. Diremo nuclide una specie atomica composta di atomi tutti uguali; nel caso di un elemento avente un solo i., esso coinciderà con l'unico nuclide che da esso si può avere. Se un elemento presenta 5 i., da esso si possono isolare 5 nuclidi e così via. Due o più nuclidi si diranno i. se hanno un ugual numero di protoni e numero di neutroni diverso (cioè Z uguale ed N diverso, quindi A diverso). Si diranno invece isobari i nuclidi aventi uguale massa (A uguale) e carica nucleare (cioè numero di protoni Z) diversa. Isotoni sono poi i nuclidi che hanno ugual numero di neutroni (N uguale). È interessante notare che per ogni numero di massa A dispari esiste un solo nuclide stabile: questa scoperta sperimentale è inquadrata nella teoria che spiega il comportamento del nucleo con il modello a goccia liquida. Si dimostra infatti che la superficie energetica nel caso di A dispari ha forma di un paraboloide avente il fuoco verso il basso: consegue che il nuclide stabile non può essere che uno solo, quello che si trova nel vertice del paraboloide. Questo non succede per A pari, in virtù della diversa forma della superficie energetica. Si ha quindi la possibilità di stabilità di diversi nuclidi isobari, cioè dell'esistenza di vari i. di diversi elementi aventi lo stesso numero di massa. Ad es. il 96Zr, il 96Mo e il 96Ru sono isobari, lo stesso dicasi del 124Sn, del 124Te e del 124Xe ecc. I nuclidi isobari, hanno tutti numero di massa A pari, salvo rarissime eccezioni (113Cd e 113In, 123Sb e 123Te). In base al modello nucleare a goccia liquida appare accertato che, come già per gli elettroni attorno al nucleo, anche per i nucleoni all'interno del nucleo stesso la disposizione avviene per strati. I nuclei sono quindi caratterizzati da una diversa stabilità secondo il numero di protoni e di neutroni che hanno, i più stabili essendo quelli che hanno Z o N (o entrambi) uguali a certi numeri magici, precisamente 2, 8, 20, 50, 82 e 126. Gli elementi aventi Z uguale ad uno di questi numeri hanno sempre diversi i. (lo Sn, Z = 50, ne ha ben 10). Inoltre si nota che per i vari i. di un elemento, se ne esiste uno con un numero N di neutroni pari ad un numero magico, esso è predominante. Si possono fare a questo proposito moltissimi esempi (tra la parentesi l'abbondanza relativa dell'i.): 4He (N = 2; 100% circa), 16O (N = 8; 99,76%), 40Ca (N = 20; 96,96%), 138Ba (N = 82; 71,6%) 140Ce (N = 82; 88,5%), ecc. Si osserva inoltre che la maggior stabilità dei nuclidi si ha con una configurazione di A pari, ma con N e Z entrambi pari; rarissime invece sono le configurazioni con A pari ma con N e Z dispari. Sui 273 nuclidi completamente stabili finora identificati si ha la seguente distribuzione:

A pari (N pari, Z pari)
n. 166
A pari (N dispari, Z dispari)
n. 4
A dispari (N pari, Z dispari)
n. 48
A dispari (N dispari, Z pari) n. 55

Totale 273

Questi dati non hanno ancora ricevuto una interpretazione teorica abbastanza completa; in ogni caso appare evidente la tendenza dei nucleoni ad accoppiarsi, donde deriva una stabilità maggiore nel caso pari-pari, mentre le configurazioni N-pari con Z-dispari ed N-dispari con Z-pari appaiono ugualmente favorite. Decisamente sfavorita è invece la dispari-dispari per questioni energetiche parzialmente note. ║ Abbondanza isotopica: si è già detto cosa si intende con questo termine e come l'abbondanza isotopica possa variare in funzione dell'origine di un elemento. Si è portato l'esempio del piombo, che è forse il più evidente dato che i vari i. di questo elemento derivano addirittura dal decadimento radioattivo di i. (o elementi) diversi. Ad es. il 208Pb deriva dal decadimento radioattivo del 232Th; il 206Pb dal decadimento del 238U e il 207Pb dal decadimento del 235U. Lo studio delle abbondanze relative, qualora queste si presentano diverse da luogo a luogo ovvero sono variate nella storia della Terra, presenta talvolta dei risultati assai importanti in molti campi. Ad es. l'argo presenta tre i. stabili, il 36Ar, (abbondanza relativa 0,34%), il 38Ar (0,06%) e il 40Ar (99,60%). Se però invece di analizzare un campione di argo atmosferico si analizza un campione estratto da minerali di potassio, si trova un'abbondanza ancora maggiore di Ar-40. Indubbiamente questo è dovuto al fatto che questo argo si forma a partire dal 40K, un i. del potassio che è debolmente radioattivo (T(½)= 1,3 · 109 anni). Secondo una teoria molto accreditata, la maggior parte dell'argo presente nell'atmosfera terrestre deriva appunto da potassio e questo spiega perché questo elemento sia molto più abbondante degli altri gas nobili nell'atmosfera. Riguardo all'idrogeno che presenta tre i. (1H, ²H e 3H ovvero H, D e T rispettivamente) si può notare che la differenza percentuale di massa fra i tre i. è molto notevole, dato che le masse stanno in rapporto 1:2:3 circa. Di conseguenza anche nei loro composti con elementi leggeri la differenza di peso può essere sensibile (il rapporto di peso fra H2O e D2O è 9:10) e quindi questo influenza notevolmente le proprietà fisiche di questi composti. Per questo motivo l'acqua pesante (D2O) è maggiore nelle acque salate che nelle dolci, dato che evapora meno facilmente, con concentrazioni massime nei mari caldi chiusi. Nell'atmosfera terrestre si ha invece una variazione della distribuzione degli i. in funzione dell'altitudine, per effetto delle forze centrifughe dovute al movimento rotatorio della Terra attorno ad un suo asse. ║ Datazione con i.: la datazione di frammenti archeologici e anche di rocce, giacimenti di carbone o di minerali, ecc. può essere fatta ricorrendo agli i. naturali radioattivi. Si tratta di un'importante applicazione delle conoscenze acquisite sugli i. negli ultimi decenni. A) Metodo del C-14: fu introdotto da W.F. Libby nel 1947 ed è impiegato per la datazione di materiale organico o di prodotti di trasformazione di quest'ultimo. La base di questo metodo è l'i. 14 del carbonio, un radioisotopo che ha un tempo di semitrasformazione di 5.730 anni, misurati con un errore di ± 40 anni. Dato il breve periodo di semitrasformazione, il 14C non esisterebbe più sulla Terra se nell'atmosfera, soprattutto alle quote elevate, non si formasse continuamente per effetto del bombardamento dei raggi cosmici 14N, che è l'i. più abbondante dell'azoto. Il 14C così formato ha proprietà chimiche identiche agli altri i. del carbonio e forma quindi CO2 ed altri composti. Attraverso la fissazione della CO2 il 14C passa nel regno vegetale e da questo in quello animale, attraverso la catena alimentare. Dato che i tempi necessari per questi passaggi sono sempre molto brevi rispetto ai 5.730 anni, si può considerare che la distribuzione del 14C sia praticamente omogenea sia nell'atmosfera che nell'idrosfera e biosfera terrestre. Allorché un organismo vivente muore, il suo ciclo alimentare si interrompe ed esso non assorbe più il 14C mentre questo i. continua a diminuire per l'effetto della sua radioattività, dimezzandosi ogni 5.730 ± 40 anni. La misura della quantità di 14C riferita al totale di carbonio che un reperto (ossa, tronco di pianta, ecc.) contiene permette di risalire alla sua data di morte, cioè alla data in cui esso ha cominciato a non essere più in equilibrio con l'ambiente per quanto riguarda il ciclo del carbonio 14. Generalmente si opera per confronto con campioni di età nota, determinata per altra via. Il metodo è applicabile abbastanza bene per reperti vecchi fino a 50.000 anni; in certe condizioni si può giungere anche 70.000 anni. Si opera generalmente analizzando il rapporto 14C/12C, eventualmente dopo una concentrazione del carbonio nel campione o dopo combustione del campione stesso. Fra le cause di errore, ricordiamo brevemente le principali. Anzitutto la supposizione dell'equilibrio di distribuzione del 14C non può essere pienamente verificata. Inoltre anche se un organismo è morto, può non essere sottratto all'ambiente e quindi per un certo tempo può ancora accumulare 14C per effetto della caduta di pulviscolo atmosferico. Inoltre il tenore di 14C rispetto al 12C è sicuramente variato nel tempo, per effetto di una diversa attività dei raggi cosmici. Un altro grave motivo di errore, oltre a quello proprio degli strumenti, si ha nella difficoltà di isolare il campione dalla radioattività presente nell'ambiente e nella difficoltà di evitare l'inquinamento del campione da 14C attuale. Infatti il tenore di questo radioisotopo nell'atmosfera attuale è fortemente perturbato da diversi fattori: la radioattività artificiale generata dall'uomo (che tende ad aumentare il 14C formandolo da 14N) e la grandissima quantità di CO2 liberata nell'atmosfera dai processi di combustione di combustibili fossili (poveri di 14C perché antichi) che tende a diminuire la quantità di 14C diluendo la CO2 dell'atmosfera con CO2 povera di 14C. Consegue che, mentre nel 1950 14C era circa del 2% meno che nel 1890, dal 1954 al 1959 si è avuto un aumento di circa il 20% del tenore del 14C nell'atmosfera: nelle acque, soprattutto profonde, l'aumento è stato invece molto minore. Queste perturbazioni rendono sconsigliabile l'impiego come termine di paragone di un campione attuale: si ricorre sempre a confronti con campioni di alberi tagliati parecchi anni fa, ad es. nel 1890. Questo metodo ha al suo attivo molte determinazioni confermate per altre vie ed è stato di grandissimo aiuto nell'ordinare i dati conosciuti su periodi relativamente recenti, come il pleistocene. Inoltre esso può essere integrato dall'analisi dell'abbondanza isotopica degli i. dell'ossigeno presente negli stessi campioni, che può fornire importanti indicazioni sulle temperature medie del suolo o delle acque all'epoca del campione. B) Metodo del rubidio-stronzio: è applicabile a rocce contenenti percentuali apprezzabili di questi due elementi, e si basa sul fatto che 87Rb è debolmente radioattivo (T(½)= 5 · 1010) e per decadimento si trasforma in 87Sr. La misura del rapporto 87Sr/87Rb, confrontata con la normale abbondanza isòtopica di questi due elementi fornisce indicazioni abbastanza precise sulla vita delle rocce. Il metodo funziona bene anche applicato alle rocce più antiche, come quelle formatesi nel cenozoico. C) Metodo dell'argo-potassio: è analogo al precedente e si basa sul già citato decadimento radioattivo del 40K, che ha un periodo di semitrasformazione di 1,3 · 109 anni, in 40Ar che è stabile. Questo metodo è molto valido sia per la precisione con cui può essere determinata la quantità di argo sia per il fatto che il potassio è molto diffuso nelle rocce, costituendo il 2,41% in peso della crosta terrestre. D) Metodo dell'uranio-piombo: è questo uno dei primi metodi introdotti. Si basa sul fatto che tre i. radioattivi, il 238U, il 235U e il 232Th decadono secondo tre serie di decadimento radioattive diverse dando origine a tre i. diversi di piombo, precisamente il 206Pb, il 207Pb e il 208Pb. Dato che tutti gli stadi intermedi delle trasformazioni sono relativamente veloci rispetto al primo, si può considerare la trasformazione dal primo all'ultimo stadio di ogni serie come un'unica reazione. Dall'analisi della composizione isotopica dell'uranio e del piombo presenti nel minerale si può risalire all'età del minerale stesso; la presenza contemporanea di ben tre serie di decadimento permette una verifica del risultato sul campione stesso. Questo metodo va applicato nei casi in cui non si è avuta segregazione di piombo dal minerale: negli altri casi è applicabile solo con molte cautele. È l'unico metodo applicabile con sufficiente precisione alla datazione delle meteoriti. I vari metodi di datazione, pur essendo applicabili in campi diversi, si trovano spesso applicati anche contemporaneamente su uno stesso campione, cosa che permette un confronto e quindi una stima seria della loro attendibilità. Lasciando da parte il metodo del 14C che ha un campo suo particolare e non può essere esteso ai periodi più antichi della Terra, gli altri metodi, applicati a giacimenti aventi qualche centinaio o migliaio di milioni di anni, hanno dato risultati concordanti fra loro a meno del 5% circa, confermando la loro validità e facendo compiere un grande passo avanti nello studio dell'evoluzione del nostro pianeta. Gli stessi metodi sono stati impiegati per la determinazione dell'età delle rocce portate sulla Terra dalle prime missioni inviate sulla Luna. ║ Separazione di i.: ci limitiamo qui ad accennare al frazionamento delle miscele isotopiche a scopo analitico. Il frazionamento di queste miscele è praticamente impossibile con metodi chimici: i vari i. di un elemento hanno un comportamento chimico identico: al massimo possono differire leggermente per le velocità di reazione, ma questo non basta per ottenere una separazione completa. Se in un tubo a raggi catodici si usa un catodo forato, si osserva la comparsa di raggi canale o raggi positivi, che sono atomi o molecole o aggruppamenti atomici del gas che riempie il tubo, caricati positivamente con una o più cariche elettroniche. Lo spettrografo di massa di Aston è costituito appunto di un sistema di generazione di raggi canale del campione (gassificato) che viene introdotto e di un sistema di analisi degli stessi consistente in due placche di deflessione che generano un campo elettrico e magnetico. Consegue che ogni particella carica dei raggi canale compirà una sua traiettoria, dettata dal rapporto carica elettrica/massa, o, come si suol dire, dalla sua carica specifica. Nella zona in cui i raggi canale così deviati vanno ad incidere viene posta una lastra fotografica: i diversi i. di un elemento, avendo massa diversa e quindi carica specifica diversa, incideranno in luoghi diversi sulla lastra fotografica. Dalla misura dell'annerimento prodotto nei diversi punti di questa si risale non solo all'individuazione qualitativa degli i. presenti nel campione introdotto nello spettrografo ma anche alle quantità relative, cioè all'abbondanza isotopica degli elementi del campione. Lo spettrografo di massa di F.W. Aston, oltre a permettere di quantizzare l'abbondanza degli i., ha permesso di scoprire tutti gli i. finora conosciuti; particolarmente importanti furono la scoperta degli i. dell'idrogeno e dell'ossigeno. Oggi gli spettrografi di massa derivati da quello di Aston permettono di determinare l'abbondanza isotopica di un elemento con precisioni migliori dell'1/10.000; in generale le abbondanze isotopiche sono date con precisione minore (da 1 a 3 cifre decimali) per via della variazione dell'abbondanza stessa da un campione all'altro, secondo la provenienza. Lo spettrografo di massa, in virtù della sua grande sensibilità, viene impiegato anche come mezzo di analisi chimica, per determinare quantità anche molto piccole di elementi difficilmente analizzabili con precisione per via chimica. Oltre allo spettrografo di massa, una certa analisi della composizione isotopica di un elemento può anche essere fatta per via ottica, analizzando gli spettri di assorbimento e di emissione degli elementi. ║ Applicazioni degli i.: ci riferiremo soprattutto agli i. stabili, rinviando per quelli radioattivi alla voce radioisotopi. La scoperta degli i. e la messa a punto dei metodi per frazionarli e riconoscerli ha permesso di compiere un notevole progresso in molti campi. Si è già accennato ai metodi di datazione mediante i.; ricordiamo qui brevemente gli altri principali campi di indagine a mezzo di i. o elementi marcati, cioè elementi contenenti un solo i. o una percentuale maggiore di un i. rispetto alla miscela naturale. A) Applicazioni biologiche: l'uso di traccianti (i. particolari di un elemento) è quanto mai comune. Se ad es. si vuole studiare il metabolismo dell'ossigeno in un certo animale o sistema ecologico, si può preparare dell'ossigeno marcato (ad es. dell'ossigeno-18) ed introdurlo nel sistema. Con successive analisi si può poi vedere come questo ossigeno si è propagato nell'essere vivente o nel sistema esaminato studiando il rapporto 18O/16O che nella miscela naturale vale 0,204/99,759. Questo metodo si basa sul fatto che gli i. hanno ugual comportamento chimico: la leggera differenza di velocità di reazione che possono presentare non genera in generale errori tali da compromettere i risultati delle indagini. Analogamente il metabolismo del carbonio può essere studiato utilizzando il carbonio-13 (abbondanza relativa 1,11%); per l'azoto si può ricorrere al 15N (abbondanza relativa 0,365%), per l'idrogeno si ricorre al deuterio e così via. Il metodo di indagine biologica con radioisotopi trovò il suo primo risultato brillante nel 1935, allorché K. Knoop riuscì a chiarire vari stadi del metabolismo dei lipidi utilizzando grassi marcati con i. Le moderne tecniche di frazionamento hanno messo a disposizione dei ricercatori numerosi i. puri o miscele naturali arricchite di un i., con i quali si possono preparare diverse sostanze marcate. In questo campo sono però oggi disponibili anche grandi quantità di i. radioattivi, i quali rendono molto più facili le analisi, dato che la loro radioattività può essere seguita con strumenti relativamente semplici ma di grandissima sensibilità, che giungono al limite a determinare la presenza di atomi singoli. Gli i. radioattivi però, oltre alle cautele da prendere per il loro impiego, non possono essere somministrati in grandi quantitativi a organismi viventi senza danneggiarli: per questo motivo gli i. stabili hanno ancora un grande campo di applicazione nelle ricerche biologiche. Interessante è la tecnica dell'autoradiografia che permette di determinare la distribuzione di certi elementi in tessuti vegetali o animali con mezzi estremamente semplici. Il tessuto viene nutrito in modo che un certo elemento, del quale si vuole studiare il comportamento, contenga una quantità opportuna di un suo i. radioattivo; a tempo debito questo tessuto viene sezionato con un microtomo e portato a contatto con una lastra fotografica, dal cui annerimento si determina la densità della radioattività e quindi la concentrazione dell'elemento marcato con i. radioattivo. B) Ricerche di chimica: per vari motivi in chimica è interessante non solo conoscere a quale reazione danno atto due o più composti messi in presenza l'uno degli altri ma anche le tappe intermedie della reazione, cioè il cosiddetto meccanismo di reazione. Questa conoscenza permette poi al chimico di estrapolare il comportamento di certi gruppi funzionali o molecole ad altri casi e addirittura di verificare se certe teorie enunciate sul comportamento chimico a partire da studi di meccanica quantistica trovano o meno conferma sperimentale. Gli i. radioattivi o comunque gli elementi marcati servono egregiamente a questo scopo. Ad es. si abbia la reazione di esterificazione fra un alcole ed un acido carbossilico, con eliminazione di acqua secondo lo schema seguente:

ISOLAMEN39.png

È evidente che dei due ossidrili presenti l'uno cede il suo ossigeno per formare l'acqua, mentre l'altro ossigeno passa nell'estere che così si forma. Il problema di chiarire questo meccanismo è stato risolto partendo da un alcool sintetizzato utilizzando il 18O invece della miscela naturale di 16O, 17O e 18O. Dopo la reazione, se si procede alla separazione dell'acqua e dell'estere formatisi, si osserva che tutto il 18O introdotto è passato nell'estere, dato che l'ossigeno dell'acqua mostra la normale composizione isotopica. Questo avviene per tutti gli alcoli primari e secondari: per i terziari invece avviene l'opposto. Si conclude quindi che per gli alcoli primari e secondari l'acqua si forma durante l'esterificazione a spese dell'ossigeno dell'ossidrile legato al carbonile, mentre nel caso di alcoli terziari l'acqua si forma a spesa dell'ossidrile alcoolico. Questo risultato ha confermato le ipotesi che erano già state avanzate per questo tipo di reazioni (passaggio dell'alcole terziario a carbocatione per perdita dell'ossidrile mentre per gli alcoli secondari e terziari si forma un carbocatione a partire dall'acido, per addizione sul carbonio del carbossile di un protone). Un altro esempio è il seguente: la decomposizione dello ione di persolforico ISOLAMEN40.pngin acqua avviene secondo la reazione:
ISOLAMEN41.png

ISOLAMEN42.png

Il problema di determinare il meccanismo poteva essere risolto accertando se l'ossigeno che si libera deriva dall'acqua o dallo ione di persolforico stesso. Utilizzando acqua marcata con 18O si è potuto accertare che in ambiente acido l'ossigeno proviene dallo ione dipersolforico, mentre in ambiente alcalino proviene dall'acqua e che il meccanismo di reazione è quindi duplice. Come si vede da questi esempi l'uso di elementi marcati risolve al chimico problemi altrimenti insolubili: i casi in cui esso è stato determinante per il progresso della chimica e soprattutto della cinetica chimica sono innumerevoli. Si noti che la determinazione del meccanismo di una reazione permette il più delle volte di determinare anche le condizioni in cui essa può essere resa più veloce, con conseguente aumento della produttività degli impianti chimici. C) Metallurgia: lo studio degli equilibri di ripartizione, soprattutto alle alte temperature, è molto facilitato dall'uso di traccianti radioattivi. In tali condizioni infatti non sono possibili analisi chimiche se non prelevando dei campioni e raffreddandoli, ma questo di per sé significa già un'alterazione dell'equilibrio stesso. Inoltre i processi di diffusione possono essere studiati attentamente con i. radioattivi o elementi marcati. Un brillante risultato di queste tecniche è la scoperta dell'autodiffusione nei materiali metallici e la misura della sua entità. D) Applicazioni tecniche: numerosissime sono poi le applicazioni degli elementi marcati o radioattivi nei vari campi della tecnica. I radioisotopi servono come sorgenti di radiazioni per il controllo degli spessori dei materiali, della bontà delle saldature, ecc. Se ad es. si vuole controllare la contaminazione di un certo materiale da altri materiali, basta introdurre in questi piccole tracce di elementi radioattivi per poterne poi determinare la presenza anche in quantità minime, molto al di sotto delle possibilità della chimica analitica. Un altro esempio è il seguente: si voglia ricercare una falla in una conduttura di acqua: se si addiziona a questa una piccola quantità di un i. radioattivo di un elemento solubile si può immediatamente riscontrare il punto di perdita seguendo la tubazione con un contatore Geiger che rivela la radioattività dell'acqua. Un'altra applicazione interessante degli elementi marcati si ha ad es. nel caso in cui si voglia evitare la contraffazione di un manufatto importante. Basta infatti che di un elemento contenuto nel manufatto stesso venga alterata la composizione isotopica perché il fabbricante possa riconoscere un falso, a meno che il falsario sia al corrente dell'artificio e disponga di mezzi adeguati. E) Applicazioni mediche: moltissimi radioisotopi sono utilizzati in medicina come mezzi di indagine e di diagnostica oltre che come terapia. Caratteristica di molti elementi è infatti quella di concentrarsi principalmente in certe zone del corpo umano. Ad es. lo iodio (V.) si addensa soprattutto nella tiroide: se dunque ad un paziente vengono somministrati degli alimenti iodati con 131I (i. radioattivo artificiale, con tempo di semitrasformazione di 8 giorni) la sua tiroide, contenendo tale i., sarà irradiata dalle radiazioni che esso emette decadendo. Questo tipo di terapia viene spesso impiegato per la cura di tumori: si utilizzano sempre degli i. radioattivi che emettono radiazioni relativamente deboli (per evitare un eccessivo irradiamento degli organi sani) e con tempi di semitrasformazione relativamente brevi dell'ordine dei giorni o dei mesi. A questo proposito ricordiamo ancora alcuni radioisotopi usati per terapie locali: il 32P (T(½)= 14,2 giorni), il 45Ca (153 giorni) e lo 89Sr (51 giorni) si localizzano nelle ossa, il 54Mn (5,7 giorni) si localizza nel fegato, il 198Au (2,69 giorni) si localizza nelle reni e così via. È da notare che in tutte queste applicazioni la scelta e la dosimetria degli i. radioattivi devono essere tali da non danneggiare l'organismo in cura. F) Combustibili e moderatori: alcuni i. che subiscono facilmente la fissione nucleare (ad es. l'U-235) vengono impiegati come combustibili nucleari. In altri casi essi vengono impiegati per la produzione di composti (ad es. acqua pesante) che servono come moderatori di reattori nucleari.