(dal greco
ísos: uguale e
tópos: posto). Chim. e
Fis. - Atomi che possiedono nel loro nucleo lo stesso numero di protoni ma un
diverso numero di neutroni. Essi sono quindi dotati di identiche
proprietà chimiche ma di proprietà fisiche (ed in particolare di
massa atomica) leggermente diverse. Dato che le proprietà chimiche di un
atomo dipendono esclusivamente da un numero e dalla distribuzione dei suoi
elettroni (il cui numero complessivo è uguale a quello dei protoni), i
diversi
i. di uno stesso elemento chimico si collocano tutti in una
stessa casella della tavola periodica degli elementi. L'esistenza di
i.
di uno stesso elemento fu stabilita nel 1914 indipendentemente da Richards ed
Hönigschmid i quali scoprirono che il peso atomico del piombo era diverso
secondo la sua provenienza. Mentre per il piombo comune, derivante da giacimenti
di galena si trovava peso atomico 207,21, per quello proveniente da minerali di
uranio si trovava 206,06 e per quello proveniente da minerali di torio si
trovava 208,90. Come si vede le differenze sono notevoli, molto superiori al
limite di errore dei metodi di determinazione. Fu quindi confermata l'ipotesi
avanzata già nel 1911 da F. Soddy, che aveva anche coniato il nome
i. In base a quanto detto si doveva concludere che il piombo era
costituito di almeno due
i., uno di peso atomico 206 ed uno di peso
atomico 208, miscelati fra loro in proporzioni diverse secondo la loro
provenienza. In seguito fu poi accertato che il piombo è in realtà
una miscela di ben 4
i., presenti in quantità diverse. Ad es. in
un piombo estratto da galena ed avente peso atomico 207,19 i vari
i. sono
presenti in queste percentuali relative:
isopotopo 204
|
1,5%
|
isopotopo 206
|
23,6%
|
isopotopo 207
|
22,6%
|
isopotopo 208
|
52,3%
|
essendo le percentuali espresse come rapporto percentuale del numero
di atomi di un
i. presenti in una data massa di piombo e numero di atomi
totali di piombo presenti nella stessa massa. Si tratta quindi, come si suol
dire, di
percentuali atomiche. Gli
i. di un elemento si indicano
apponendo al simbolo dell'elemento il peso atomico dell'
i.: così
gli
i. del piombo sopra citati si indicheranno sinteticamente
così:
204PB,
206Pb,
207Pb e
208Pb. Talvolta accanto al simbolo dell'elemento si fa comparire
anche il suo numero atomico (per il piombo è 82). Gli
i. sopra
detti si indicheranno quindi così:

Secondo un altro
modo di scrivere gli
i. si indicano con il nome o il simbolo
dell'elemento seguito dal peso atomico dell'
i.: si dirà quindi
Pb-204 (o piombo 204), Pb-206 (o piombo 206), ecc. La percentuale atomica di un
i. è detta
abbondanza relativa dell'
i. stesso; essa
può variare secondo l'origine dell'elemento ma in generale le variazioni
sono minime, salvo alcune eccezioni (quale appunto il piombo). Gli
i. di
un elemento si distinguono in
i. stabili ed
i. instabili o
i.
radioattivi o
radioisotopi. I primi sono stabili in quanto non
mostrano alcuna tendenza a decomporsi secondo reazioni di
fissione
nucleare; essi possono eventualmente subire la fissione ma solo se bombardati
con particelle nucleari veloci (ad esempio neutroni). I radioisotopi invece
hanno tendenza a decomporsi spontaneamente secondo reazioni di fissione nucleare
o, come si suol dire, di
decadimento radioattivo. Sovente si usa parlare
di
i. naturali come sinonimo di
i. stabili; questo è
proprio per alcuni elementi ma è errato per molti altri i quali
posseggono dei radioisotopi naturali. Ad esempio esistono in natura ben 4
i. radioattivi del piombo, precisamente il
201Pb (o radio-D),
il
211Pb (o attinio-B), il
212Pb (o torio-B) e il
214Pb (o radio-B). La percentuale di questi
i. nella miscela
naturale di piombo è trascurabile: può essere sensibile, anche se
sempre bassa, nel piombo contenuto in minerali di uranio o di torio oppure nel
piombo ottenuto come residuo di combustione di reattori nucleari. Certi elementi
come il tecnezio, non presentano nessun
i. naturale: si dicono allora
elementi artificiali o
sintetici. Altri elementi, pur non
presentando
i. stabili esistono in natura: una condizione affinché
questo succeda è che la decomposizione di questi
i. sia
estremamente lenta. La velocità con cui un
i. si decompone (e
quindi scompare, trasformandosi in altri
i. di altri elementi, stabili o
meno) è misurata con il suo periodo di semitrasformazione, intendendo con
questo l'intervallo di tempo che impiega una data massa di quell'
i. a
decomporsi per metà. Ad es. il
208Pb ha un tempo di
semitrasformazione (indicato simbolicamente con T(½) di 19,4 anni.
Vale a dire che se oggi prepariamo 1 grammo di questo
i. e lo lasciamo in
un luogo lontano da sorgenti radioattive (anche se sarà sempre esposto ad
es. alla radioattività proveniente da sorgenti extraterrestri, come i
raggi cosmici) fra 19,4 anni resteranno 0,5 grammi di quell'
i., fra 38,8
anni ne esisteranno 0,25 grammi e così via. Si capisce quindi come certi
elementi, i cui
i. hanno un periodo di semitrasformazione molto lungo,
possano esistere anche se non hanno
i. stabili. È il caso ad es.
del bismuto, che presenta due
i.: il
210Bi con T(½) di 5
giorni, presente in tracce in certi minerali radioattivi ed il
209Bi,
avente T(½) pari a 2 ·10
17 anni, cioè lunghissimo,
che costituisce praticamente il 100% del bismuto comunemente impiegato. È
da notare che con un tempo di semitrasformazione così lungo la
radioattività emessa è tanto bassa da essere innocua anche per un
contatto prolungato, benché sia rilevabile dagli strumenti più
perfezionati. La maggior parte degli
i. degli elementi sono però
prodotti dall'uomo, attraverso reazioni di fissione nucleare o per bombardamento
di
i. stabili con particelle nucleari fortemente accelerate in apposite
macchine (V. ACCELERATORI) oppure ottenuti come
prodotto secondario di fissioni nucleari. Questi
i., detti
i.
artificiali, hanno oggi una grandissima importanza in molti campi, dalla
chimica alla medicina, come si dirà poi. ║
Interpretazione
fisica: l'esistenza degli
i. ha trovato nelle scoperte della fisica
atomica una spiegazione esauriente. Come è noto ormai da decenni, l'atomo
è costituito da un nucleo, composto di protoni e neutroni, e da elettroni
rotanti attorno ad esso. Il numero di elettroni, che è uguale al numero
di protoni del nucleo, individua l'elemento in quanto coincide con il
numero
atomico (che indicheremo con Z); così l'elemento Z = 11 (cioè
con 11 elettroni) è il sodio, l'elemento Z = 92 (cioè con 92
elettroni) è l'uranio e così via. Il numero di neutroni (che
indicheremo con N) è indipendente dal numero di elettroni e quindi non
definisce l'elemento, ma solo l'
i. Facciamo un esempio, considerando un
elemento qualsiasi con più di un
i., come il ferro. Il suo numero
atomico è 26 ed il suo peso atomico 55,847. Questo elemento possiede
quindi un nucleo con 26 protoni (carica + 1 unità di carica elettronica e
massa 1 nella scala dei pesi atomici): esso presenta però 4
i.,
precisamente Fe-54, Fe-56, Fe-57 e Fe-58. Vale a dire che esistono degli atomi
di ferro che hanno peso circa 54 o 56 o 57 o 58 unità di massa: come si
suol dire, gli atomi di ferro possono avere
numero di massa (abbreviato
A) 54 o 56 o 57 o 58. Dato che il protone ha un peso uguale a circa
un'unità di massa mentre l'elettrone ha peso pari ad 1/1.850 unità
di massa (e quindi trascurabile in prima approssimazione) è facile
calcolare il numero di neutroni N dei vari
i. del ferro, essendo, per
quanto prima detto A = N + Z ovvero N = A - Z. Avremo
pertanto:
Isotopo
|
A
|
Z
|
N
|
Fe-54
|
54
|
26
|
28
|
Fe-56
|
56
|
26
|
30
|
Fe-57
|
57
|
26
|
31
|
Fe-58
|
58
|
26
|
32
|
Naturalmente sono ipotizzabili atomi di ferro con N che va da 0 ad un
numero molto grande: sperimentalmente si trova però che questi atomi non
sono stabili, come si dirà poi. In effetti i 4
i. del ferro ora
citati sono gli unici esistenti in natura e gli unici stabili. Altri due
i. del ferro, il Fe-55 (N = 29) ed il Fe-59 (N = 33), sono stati
preparati come
i. artificiali (usati in medicina e biologia) ma non sono
stabili: il primo ha T(½)= 2,94 anni mentre il secondo ha
T(½)= 45 giorni. I 4
i. stabili del ferro non hanno la
stessa abbondanza relativa. La distribuzione percentuale atomica è
infatti la seguente:
Fe-54
|
5,82%
|
Fe-56
|
91,66%
|
Fe-57
|
2,19%
|
Fe-58
|
0,33%
|
In base a questi dati è possibile calcolare il peso atomico
dell'elemento. Infatti esso deve essere la media pesata dei vari
i.,
ognuno contato per la sua abbondanza relativa. Si può verificare che
l'espressione (54 · 5,82 + 56 · 91,66 + 57 · 2,19 + 58 ·
0,33)/100 dà come valore proprio 55,847 (valore sperimentale a meno di un
piccolo errore dovuto all'aver trascurato il peso degli elettroni ed al fatto
che neutroni e protoni, allorché si trovano in un nucleo, hanno una massa
di poco inferiore all'unità, almeno per gli
i. aventi numero di
massa maggiore di 12. Questo è dovuto al fatto che entrando a far parte
di un nucleo, si instaurano dei fenomeni energetici per cui i
nucleoni
(intendendo con questo termine indifferentemente neutroni e protoni) perdono una
parte di massa, convertita in energia. Inoltre il peso dei nucleoni negli atomi
varia con il loro numero, decrescendo all'aumentare di questo, sempre per
fenomeni energetici. ║
Radioisotopi leggeri (naturali): si intende
con questo termine alquanto vago l'insieme degli
i. radioattivi
(esistenti in natura) degli atomi più leggeri ad es. fino a Z = 50.
Questi radioisotopi sono in numero molto limitato: riportiamo qui la lista
finora conosciuta, ma non è escluso che in futuro ne vengano scoperti
altri.

Nella tabella l'abbreviazione "a"
sta per anni. È da notare, che alcuni di questi radioisotopi hanno
un'abbondanza relativa notevole come ad es. il Rb-87 (27,8%), lo Zr-96 (2,80%) e
lo In-115 (95,72%). In questo caso essi hanno però un tempo di
semitrasformazione molto lungo rispetto anche alla età delle rocce
più antiche della terra, stimata di circa 10
9 ÷
10
10 anni. ║
Radioisotopi pesanti (naturali): si intende
con questo nome i radioisotopi di elementi pesanti (Z maggiore di 50 o anche Z
maggiore di 82, numero atomico del piombo). È da notare che gli elementi
che seguono il piombo nella tavola di Mendelejeff sono tutti privi di
i.
stabili, anche se alcuni (bismuto, torio e uranio) presentano degli
i.
con tempo di semitrasformazione molto lungo. Alcuni di questi
i. hanno
grande importanza pratica, quali ad es. (tra parentesi i tempi di
semitrasformazione):
230Th (8 · 10
4 anni),
232Th (1,4 · 10
10 a),
231Pa (3,4 ·
10
4 a),
235U (7,13 · 10
8 a),
238U (4,51 · 10
9 a).
Una delle caratteristiche degli
i. pesanti è la facilità con cui essi subiscono la
fissione radioattiva: bombardati con particelle subatomiche o atomiche
fortemente accelerate essi si decompongono generando
i. (stabili o meno)
di altri elementi ed eventualmente particelle subatomiche. Ad es. lo U-235
colpito da un neutrone (abbreviato
n) lo cattura dando un U-236
instabile, che subito si decompone in altri due
i. e 2 o 3 neutroni,
secondo una reazione del tipo:


avendo messo tra parentesi la specie

che esiste solo per un tempo infinitesimo. Una reazione di questo tipo
libera una quantità grandissima di energia, utilizzabile per scopi
pacifici o distruttivi (V. ATOMICA, BOMBA).
║
Stabilità degli i.: si è detto che in linea di
principio si possono pensare per ogni elemento moltissimi
i., aventi
sempre un nucleo composto da un certo numero di protoni e da un numero qualsiasi
di neutroni. Sperimentalmente si trova però che solo pochi
i. sono
stabili per ogni elemento. Fatta eccezione per l'idrogeno, si osserva che negli
i. stabili degli elementi leggeri (fino al ferro, cioè = 26) il
numero di neutroni è circa uguale a quello dei protoni: negli
i.
stabili degli elementi più pesanti si osserva invece che il numero di
neutroni è maggiore del numero di protoni. Inoltre si osserva che gli
elementi aventi numero atomico Z dispari presentano pochissimi
i. stabili
(uno o due al massimo) mentre quelli aventi Z pari ne presentano in generale
diversi; fra questi per gli elementi leggeri (Z minore di 26) si nota in
generale che un
i. è fortemente preponderante rispetto agli altri.
Occorre introdurre alcune definizioni proprie della fisica atomica che servono
per esprimere concisamente alcuni concetti. Diremo
nuclide una specie
atomica composta di atomi tutti uguali; nel caso di un elemento avente un solo
i., esso coinciderà con l'unico nuclide che da esso si può
avere. Se un elemento presenta 5
i., da esso si possono isolare 5 nuclidi
e così via. Due o più nuclidi si diranno
i. se hanno un
ugual numero di protoni e numero di neutroni diverso (cioè Z uguale ed N
diverso, quindi A diverso). Si diranno invece
isobari i nuclidi aventi
uguale massa (A uguale) e carica nucleare (cioè numero di protoni Z)
diversa.
Isotoni sono poi i nuclidi che hanno ugual numero di neutroni (N
uguale). È interessante notare che per ogni numero di massa A dispari
esiste un solo nuclide stabile: questa scoperta sperimentale è inquadrata
nella teoria che spiega il comportamento del nucleo con il modello a goccia
liquida. Si dimostra infatti che la superficie energetica nel caso di A dispari
ha forma di un paraboloide avente il fuoco verso il basso: consegue che il
nuclide stabile non può essere che uno solo, quello che si trova nel
vertice del paraboloide. Questo non succede per A pari, in virtù della
diversa forma della superficie energetica. Si ha quindi la possibilità di
stabilità di diversi nuclidi isobari, cioè dell'esistenza di vari
i. di diversi elementi aventi lo stesso numero di massa. Ad es. il
96Zr, il
96Mo e il
96Ru sono isobari, lo stesso
dicasi del
124Sn, del
124Te e del
124Xe ecc. I
nuclidi isobari, hanno tutti numero di massa A pari, salvo rarissime eccezioni
(
113Cd e
113In,
123Sb e
123Te). In
base al modello nucleare a goccia liquida appare accertato che, come già
per gli elettroni attorno al nucleo, anche per i nucleoni all'interno del nucleo
stesso la disposizione avviene per strati. I nuclei sono quindi caratterizzati
da una diversa stabilità secondo il numero di protoni e di neutroni che
hanno, i più stabili essendo quelli che hanno Z o N (o entrambi) uguali a
certi
numeri magici, precisamente 2, 8, 20, 50, 82 e 126. Gli elementi
aventi Z uguale ad uno di questi numeri hanno sempre diversi i. (lo Sn, Z = 50,
ne ha ben 10). Inoltre si nota che per i vari
i. di un elemento, se ne
esiste uno con un numero N di neutroni pari ad un numero magico, esso è
predominante. Si possono fare a questo proposito moltissimi esempi (tra la
parentesi l'abbondanza relativa dell'
i.):
4He (N = 2; 100%
circa),
16O (N = 8; 99,76%),
40Ca (N = 20; 96,96%),
138Ba (N = 82; 71,6%)
140Ce (N = 82; 88,5%), ecc. Si
osserva inoltre che la maggior stabilità dei nuclidi si ha con una
configurazione di A pari, ma con N e Z entrambi pari; rarissime invece sono le
configurazioni con A pari ma con N e Z dispari. Sui 273 nuclidi completamente
stabili finora identificati si ha la seguente distribuzione:
A pari (N pari, Z pari)
|
n. 166
|
A pari (N dispari, Z dispari)
|
n. 4
|
A dispari (N pari, Z dispari)
|
n. 48
|
A dispari (N dispari, Z pari)
|
n. 55
|
|
Totale 273
|
Questi dati non hanno ancora ricevuto una interpretazione teorica
abbastanza completa; in ogni caso appare evidente la tendenza dei nucleoni ad
accoppiarsi, donde deriva una stabilità maggiore nel caso pari-pari,
mentre le configurazioni N-pari con Z-dispari ed N-dispari con Z-pari appaiono
ugualmente favorite. Decisamente sfavorita è invece la dispari-dispari
per questioni energetiche parzialmente note. ║
Abbondanza
isotopica: si è già detto cosa si intende con questo termine e
come l'abbondanza isotopica possa variare in funzione dell'origine di un
elemento. Si è portato l'esempio del piombo, che è forse il
più evidente dato che i vari
i. di questo elemento derivano
addirittura dal decadimento radioattivo di
i. (o elementi) diversi. Ad
es. il
208Pb deriva dal decadimento radioattivo del
232Th;
il
206Pb dal decadimento del
238U e il
207Pb
dal decadimento del
235U. Lo studio delle abbondanze relative,
qualora queste si presentano diverse da luogo a luogo ovvero sono variate nella
storia della Terra, presenta talvolta dei risultati assai importanti in molti
campi. Ad es. l'argo presenta tre
i. stabili, il
36Ar,
(abbondanza relativa 0,34%), il
38Ar (0,06%) e il
40Ar
(99,60%). Se però invece di analizzare un campione di argo atmosferico si
analizza un campione estratto da minerali di potassio, si trova un'abbondanza
ancora maggiore di Ar-40. Indubbiamente questo è dovuto al fatto che
questo argo si forma a partire dal
40K, un
i. del potassio che
è debolmente radioattivo (T(½)= 1,3 ·
10
9 anni). Secondo una teoria molto accreditata, la maggior parte
dell'argo presente nell'atmosfera terrestre deriva appunto da potassio e questo
spiega perché questo elemento sia molto più abbondante degli altri
gas nobili nell'atmosfera. Riguardo all'
idrogeno che presenta tre
i. (
1H, ²H e
3H ovvero H, D e T
rispettivamente) si può notare che la differenza percentuale di massa fra
i tre
i. è molto notevole, dato che le masse stanno in rapporto
1:2:3 circa. Di conseguenza anche nei loro composti con elementi leggeri la
differenza di peso può essere sensibile (il rapporto di peso fra
H
2O e D
2O è 9:10) e quindi questo influenza
notevolmente le proprietà fisiche di questi composti. Per questo motivo
l'
acqua pesante (D
2O) è maggiore nelle acque salate che
nelle dolci, dato che evapora meno facilmente, con concentrazioni massime nei
mari caldi chiusi. Nell'atmosfera terrestre si ha invece una variazione della
distribuzione degli
i. in funzione dell'altitudine, per effetto delle
forze centrifughe dovute al movimento rotatorio della Terra attorno ad un suo
asse. ║
Datazione con i.: la datazione di frammenti archeologici e
anche di rocce, giacimenti di carbone o di minerali, ecc. può essere
fatta ricorrendo agli
i. naturali radioattivi. Si tratta di un'importante
applicazione delle conoscenze acquisite sugli
i. negli ultimi decenni. A)
Metodo del C-14: fu introdotto da W.F. Libby nel 1947 ed è
impiegato per la datazione di materiale organico o di prodotti di trasformazione
di quest'ultimo. La base di questo metodo è l'
i. 14 del carbonio,
un radioisotopo che ha un tempo di semitrasformazione di 5.730 anni, misurati
con un errore di ± 40 anni. Dato il breve periodo di semitrasformazione, il
14C non esisterebbe più sulla Terra se nell'atmosfera,
soprattutto alle quote elevate, non si formasse continuamente per effetto del
bombardamento dei raggi cosmici
14N, che è l'
i.
più abbondante dell'azoto. Il
14C così formato ha
proprietà chimiche identiche agli altri
i. del carbonio e forma
quindi CO
2 ed altri composti. Attraverso la fissazione della
CO
2 il
14C passa nel regno vegetale e da questo in quello
animale, attraverso la catena alimentare. Dato che i tempi necessari per questi
passaggi sono sempre molto brevi rispetto ai 5.730 anni, si può
considerare che la distribuzione del
14C sia praticamente omogenea
sia nell'atmosfera che nell'idrosfera e biosfera terrestre. Allorché un
organismo vivente muore, il suo ciclo alimentare si interrompe ed esso non
assorbe più il
14C mentre questo
i. continua a
diminuire per l'effetto della sua radioattività, dimezzandosi ogni 5.730
± 40 anni. La misura della quantità di
14C riferita al
totale di carbonio che un reperto (ossa, tronco di pianta, ecc.) contiene
permette di risalire alla sua data di morte, cioè alla data in cui esso
ha cominciato a non essere più in equilibrio con l'ambiente per quanto
riguarda il ciclo del carbonio 14. Generalmente si opera per confronto con
campioni di età nota, determinata per altra via. Il metodo è
applicabile abbastanza bene per reperti vecchi fino a 50.000 anni; in certe
condizioni si può giungere anche 70.000 anni. Si opera generalmente
analizzando il rapporto
14C/
12C, eventualmente dopo una
concentrazione del carbonio nel campione o dopo combustione del campione stesso.
Fra le cause di errore, ricordiamo brevemente le principali. Anzitutto la
supposizione dell'equilibrio di distribuzione del
14C non può
essere pienamente verificata. Inoltre anche se un organismo è morto,
può non essere sottratto all'ambiente e quindi per un certo tempo
può ancora accumulare
14C per effetto della caduta di
pulviscolo atmosferico. Inoltre il tenore di
14C rispetto al
12C è sicuramente variato nel tempo, per effetto di una
diversa attività dei raggi cosmici. Un altro grave motivo di errore,
oltre a quello proprio degli strumenti, si ha nella difficoltà di isolare
il campione dalla radioattività presente nell'ambiente e nella
difficoltà di evitare l'inquinamento del campione da
14C
attuale. Infatti il tenore di questo radioisotopo nell'atmosfera attuale
è fortemente perturbato da diversi fattori: la radioattività
artificiale generata dall'uomo (che tende ad aumentare il
14C
formandolo da
14N) e la grandissima quantità di CO
2
liberata nell'atmosfera dai processi di combustione di combustibili fossili
(poveri di
14C perché antichi) che tende a diminuire la
quantità di
14C diluendo la CO
2 dell'atmosfera con
CO
2 povera di
14C. Consegue che, mentre nel 1950
14C era circa del 2% meno che nel 1890, dal 1954 al 1959 si è
avuto un aumento di circa il 20% del tenore del
14C nell'atmosfera:
nelle acque, soprattutto profonde, l'aumento è stato invece molto minore.
Queste perturbazioni rendono sconsigliabile l'impiego come termine di paragone
di un campione attuale: si ricorre sempre a confronti con campioni di alberi
tagliati parecchi anni fa, ad es. nel 1890. Questo metodo ha al suo attivo molte
determinazioni confermate per altre vie ed è stato di grandissimo aiuto
nell'ordinare i dati conosciuti su periodi relativamente recenti, come il
pleistocene. Inoltre esso può essere integrato dall'analisi
dell'abbondanza isotopica degli
i. dell'ossigeno presente negli stessi
campioni, che può fornire importanti indicazioni sulle temperature medie
del suolo o delle acque all'epoca del campione. B)
Metodo del
rubidio-stronzio: è applicabile a rocce contenenti percentuali
apprezzabili di questi due elementi, e si basa sul fatto che
87Rb
è debolmente radioattivo (T(½)= 5 ·
10
10) e per decadimento si trasforma in
87Sr. La misura
del rapporto
87Sr/
87Rb, confrontata con la normale
abbondanza isòtopica di questi due elementi fornisce indicazioni
abbastanza precise sulla vita delle rocce. Il metodo funziona bene anche
applicato alle rocce più antiche, come quelle formatesi nel cenozoico. C)
Metodo dell'argo-potassio: è analogo al precedente e si basa sul
già citato decadimento radioattivo del
40K, che ha un periodo
di semitrasformazione di 1,3 · 10
9 anni, in
40Ar che
è stabile. Questo metodo è molto valido sia per la precisione con
cui può essere determinata la quantità di argo sia per il fatto
che il potassio è molto diffuso nelle rocce, costituendo il 2,41% in peso
della crosta terrestre. D)
Metodo dell'uranio-piombo: è questo uno
dei primi metodi introdotti. Si basa sul fatto che tre
i. radioattivi, il
238U, il
235U e il
232Th decadono secondo tre
serie di decadimento radioattive diverse dando origine a tre
i.
diversi di piombo, precisamente il
206Pb, il
207Pb e il
208Pb. Dato che tutti gli stadi intermedi delle trasformazioni sono
relativamente veloci rispetto al primo, si può considerare la
trasformazione dal primo all'ultimo stadio di ogni serie come un'unica reazione.
Dall'analisi della composizione isotopica dell'uranio e del piombo presenti nel
minerale si può risalire all'età del minerale stesso; la presenza
contemporanea di ben tre serie di decadimento permette una verifica del
risultato sul campione stesso. Questo metodo va applicato nei casi in cui non si
è avuta segregazione di piombo dal minerale: negli altri casi è
applicabile solo con molte cautele. È l'unico metodo applicabile con
sufficiente precisione alla datazione delle meteoriti. I vari metodi di
datazione, pur essendo applicabili in campi diversi, si trovano spesso applicati
anche contemporaneamente su uno stesso campione, cosa che permette un confronto
e quindi una stima seria della loro attendibilità. Lasciando da parte il
metodo del
14C che ha un campo suo particolare e non può
essere esteso ai periodi più antichi della Terra, gli altri metodi,
applicati a giacimenti aventi qualche centinaio o migliaio di milioni di anni,
hanno dato risultati concordanti fra loro a meno del 5% circa, confermando la
loro validità e facendo compiere un grande passo avanti nello studio
dell'evoluzione del nostro pianeta. Gli stessi metodi sono stati impiegati per
la determinazione dell'età delle rocce portate sulla Terra dalle prime
missioni inviate sulla Luna. ║
Separazione di i.: ci limitiamo qui
ad accennare al frazionamento delle miscele isotopiche a scopo analitico. Il
frazionamento di queste miscele è praticamente impossibile con metodi
chimici: i vari
i. di un elemento hanno un comportamento chimico
identico: al massimo possono differire leggermente per le velocità di
reazione, ma questo non basta per ottenere una separazione completa. Se in un
tubo a
raggi catodici si usa un catodo forato, si osserva la comparsa di
raggi canale o
raggi positivi, che sono atomi o molecole o
aggruppamenti atomici del gas che riempie il tubo, caricati positivamente con
una o più cariche elettroniche. Lo
spettrografo di massa di Aston
è costituito appunto di un sistema di generazione di raggi canale del
campione (gassificato) che viene introdotto e di un sistema di analisi degli
stessi consistente in due placche di deflessione che generano un campo elettrico
e magnetico. Consegue che ogni particella carica dei raggi canale compirà
una sua traiettoria, dettata dal rapporto carica elettrica/massa, o, come si
suol dire, dalla sua
carica specifica. Nella zona in cui i raggi canale
così deviati vanno ad incidere viene posta una lastra fotografica: i
diversi
i. di un elemento, avendo massa diversa e quindi carica specifica
diversa, incideranno in luoghi diversi sulla lastra fotografica. Dalla misura
dell'annerimento prodotto nei diversi punti di questa si risale non solo
all'individuazione qualitativa degli
i. presenti nel campione introdotto
nello spettrografo ma anche alle quantità relative, cioè
all'abbondanza isotopica degli elementi del campione. Lo spettrografo di massa
di F.W. Aston, oltre a permettere di quantizzare l'abbondanza degli
i.,
ha permesso di scoprire tutti gli
i. finora conosciuti; particolarmente
importanti furono la scoperta degli
i. dell'idrogeno e dell'ossigeno.
Oggi gli spettrografi di massa derivati da quello di Aston permettono di
determinare l'abbondanza isotopica di un elemento con precisioni migliori
dell'1/10.000; in generale le abbondanze isotopiche sono date con precisione
minore (da 1 a 3 cifre decimali) per via della variazione dell'abbondanza stessa
da un campione all'altro, secondo la provenienza. Lo spettrografo di massa, in
virtù della sua grande sensibilità, viene impiegato anche come
mezzo di analisi chimica, per determinare quantità anche molto piccole di
elementi difficilmente analizzabili con precisione per via chimica. Oltre allo
spettrografo di massa, una certa analisi della composizione isotopica di un
elemento può anche essere fatta per via ottica, analizzando gli spettri
di assorbimento e di emissione degli elementi. ║
Applicazioni degli
i.: ci riferiremo soprattutto agli
i. stabili, rinviando per quelli
radioattivi alla voce
radioisotopi. La scoperta degli
i. e la
messa a punto dei metodi per frazionarli e riconoscerli ha permesso di compiere
un notevole progresso in molti campi. Si è già accennato ai metodi
di datazione mediante
i.; ricordiamo qui brevemente gli altri principali
campi di indagine a mezzo di
i. o
elementi marcati, cioè
elementi contenenti un solo
i. o una percentuale maggiore di un
i.
rispetto alla miscela naturale. A)
Applicazioni biologiche: l'uso di
traccianti (
i. particolari di un elemento) è quanto mai
comune. Se ad es. si vuole studiare il metabolismo dell'ossigeno in un certo
animale o sistema ecologico, si può preparare dell'ossigeno marcato (ad
es. dell'ossigeno-18) ed introdurlo nel sistema. Con successive analisi si
può poi vedere come questo ossigeno si è propagato nell'essere
vivente o nel sistema esaminato studiando il rapporto
18O/
16O che nella miscela naturale vale 0,204/99,759.
Questo metodo si basa sul fatto che gli
i. hanno ugual comportamento
chimico: la leggera differenza di velocità di reazione che possono
presentare non genera in generale errori tali da compromettere i risultati delle
indagini. Analogamente il metabolismo del carbonio può essere studiato
utilizzando il carbonio-13 (abbondanza relativa 1,11%); per l'azoto si
può ricorrere al
15N (abbondanza relativa 0,365%), per
l'idrogeno si ricorre al deuterio e così via. Il metodo di indagine
biologica con radioisotopi trovò il suo primo risultato brillante nel
1935, allorché K. Knoop riuscì a chiarire vari stadi del
metabolismo dei lipidi utilizzando grassi marcati con
i. Le moderne
tecniche di frazionamento hanno messo a disposizione dei ricercatori numerosi
i. puri o miscele naturali
arricchite di un
i., con i quali
si possono preparare diverse sostanze marcate. In questo campo sono però
oggi disponibili anche grandi quantità di
i. radioattivi, i quali
rendono molto più facili le analisi, dato che la loro
radioattività può essere seguita con strumenti relativamente
semplici ma di grandissima sensibilità, che giungono al limite a
determinare la presenza di atomi singoli. Gli
i. radioattivi però,
oltre alle cautele da prendere per il loro impiego, non possono essere
somministrati in grandi quantitativi a organismi viventi senza danneggiarli: per
questo motivo gli
i. stabili hanno ancora un grande campo di applicazione
nelle ricerche biologiche. Interessante è la tecnica
dell'
autoradiografia che permette di determinare la distribuzione di
certi elementi in tessuti vegetali o animali con mezzi estremamente semplici. Il
tessuto viene nutrito in modo che un certo elemento, del quale si vuole studiare
il comportamento, contenga una quantità opportuna di un suo
i.
radioattivo; a tempo debito questo tessuto viene sezionato con un microtomo e
portato a contatto con una lastra fotografica, dal cui annerimento si determina
la densità della radioattività e quindi la concentrazione
dell'elemento marcato con
i. radioattivo. B)
Ricerche di chimica:
per vari motivi in chimica è interessante non solo conoscere a quale
reazione danno atto due o più composti messi in presenza l'uno degli
altri ma anche le tappe intermedie della reazione, cioè il cosiddetto
meccanismo di reazione. Questa conoscenza permette poi al chimico di
estrapolare il comportamento di certi gruppi funzionali o molecole ad altri casi
e addirittura di verificare se certe teorie enunciate sul comportamento chimico
a partire da studi di meccanica quantistica trovano o meno conferma
sperimentale. Gli
i. radioattivi o comunque gli elementi marcati servono
egregiamente a questo scopo. Ad es. si abbia la reazione di esterificazione fra
un alcole ed un acido carbossilico, con eliminazione di acqua secondo lo schema
seguente:

È evidente che dei due
ossidrili presenti l'uno cede il suo ossigeno per formare l'acqua, mentre
l'altro ossigeno passa nell'estere che così si forma. Il problema di
chiarire questo meccanismo è stato risolto partendo da un alcool
sintetizzato utilizzando il
18O invece della miscela naturale di
16O,
17O e
18O. Dopo la reazione, se si procede
alla separazione dell'acqua e dell'estere formatisi, si osserva che tutto il
18O introdotto è passato nell'estere, dato che l'ossigeno
dell'acqua mostra la normale composizione isotopica. Questo avviene per tutti
gli alcoli primari e secondari: per i terziari invece avviene l'opposto. Si
conclude quindi che per gli alcoli primari e secondari l'acqua si forma durante
l'esterificazione a spese dell'ossigeno dell'ossidrile legato al carbonile,
mentre nel caso di alcoli terziari l'acqua si forma a spesa dell'ossidrile
alcoolico. Questo risultato ha confermato le ipotesi che erano già state
avanzate per questo tipo di reazioni (passaggio dell'alcole terziario a
carbocatione per perdita dell'ossidrile mentre per gli alcoli secondari e
terziari si forma un carbocatione a partire dall'acido, per addizione sul
carbonio del carbossile di un protone). Un altro esempio è il seguente:
la decomposizione dello ione di persolforico

in acqua avviene
secondo la reazione:


Il problema di determinare il meccanismo poteva essere
risolto accertando se l'ossigeno che si libera deriva dall'acqua o dallo ione di
persolforico stesso. Utilizzando acqua marcata con
18O si è
potuto accertare che in ambiente acido l'ossigeno proviene dallo ione
dipersolforico, mentre in ambiente alcalino proviene dall'acqua e che il
meccanismo di reazione è quindi duplice. Come si vede da questi esempi
l'uso di elementi marcati risolve al chimico problemi altrimenti insolubili: i
casi in cui esso è stato determinante per il progresso della chimica e
soprattutto della cinetica chimica sono innumerevoli. Si noti che la
determinazione del meccanismo di una reazione permette il più delle volte
di determinare anche le condizioni in cui essa può essere resa più
veloce, con conseguente aumento della produttività degli impianti
chimici. C)
Metallurgia: lo studio degli equilibri di ripartizione,
soprattutto alle alte temperature, è molto facilitato dall'uso di
traccianti radioattivi. In tali condizioni infatti non sono possibili analisi
chimiche se non prelevando dei campioni e raffreddandoli, ma questo di per
sé significa già un'alterazione dell'equilibrio stesso. Inoltre i
processi di
diffusione possono essere studiati attentamente con
i.
radioattivi o elementi marcati. Un brillante risultato di queste tecniche
è la scoperta dell'
autodiffusione nei materiali metallici e la
misura della sua entità. D)
Applicazioni tecniche: numerosissime
sono poi le applicazioni degli elementi marcati o radioattivi nei vari campi
della tecnica. I radioisotopi servono come sorgenti di radiazioni per il
controllo degli spessori dei materiali, della bontà delle saldature, ecc.
Se ad es. si vuole controllare la contaminazione di un certo materiale da altri
materiali, basta introdurre in questi piccole tracce di elementi radioattivi per
poterne poi determinare la presenza anche in quantità minime, molto al di
sotto delle possibilità della chimica analitica. Un altro esempio
è il seguente: si voglia ricercare una falla in una conduttura di acqua:
se si addiziona a questa una piccola quantità di un
i. radioattivo
di un elemento solubile si può immediatamente riscontrare il punto di
perdita seguendo la tubazione con un contatore Geiger che rivela la
radioattività dell'acqua. Un'altra applicazione interessante degli
elementi marcati si ha ad es. nel caso in cui si voglia evitare la
contraffazione di un manufatto importante. Basta infatti che di un elemento
contenuto nel manufatto stesso venga alterata la composizione isotopica
perché il fabbricante possa riconoscere un falso, a meno che il falsario
sia al corrente dell'artificio e disponga di mezzi adeguati. E)
Applicazioni
mediche: moltissimi radioisotopi sono utilizzati in medicina come mezzi di
indagine e di diagnostica oltre che come terapia. Caratteristica di molti
elementi è infatti quella di concentrarsi principalmente in certe zone
del corpo umano. Ad es. lo iodio (V.) si addensa
soprattutto nella tiroide: se dunque ad un paziente vengono somministrati degli
alimenti iodati con
131I (
i. radioattivo artificiale, con
tempo di semitrasformazione di 8 giorni) la sua tiroide, contenendo tale
i., sarà irradiata dalle radiazioni che esso emette decadendo.
Questo tipo di terapia viene spesso impiegato per la cura di tumori: si
utilizzano sempre degli
i. radioattivi che emettono radiazioni
relativamente deboli (per evitare un eccessivo irradiamento degli organi sani) e
con tempi di semitrasformazione relativamente brevi dell'ordine dei giorni o dei
mesi. A questo proposito ricordiamo ancora alcuni radioisotopi usati per terapie
locali: il
32P (T(½)= 14,2 giorni), il
45Ca
(153 giorni) e lo
89Sr (51 giorni) si localizzano nelle ossa, il
54Mn (5,7 giorni) si localizza nel fegato, il
198Au (2,69
giorni) si localizza nelle reni e così via. È da notare che in
tutte queste applicazioni la scelta e la dosimetria degli
i. radioattivi
devono essere tali da non danneggiare l'organismo in cura. F)
Combustibili e
moderatori: alcuni
i. che subiscono facilmente la fissione nucleare
(ad es. l'U-235) vengono impiegati come combustibili nucleari. In altri casi
essi vengono impiegati per la produzione di composti (ad es. acqua pesante) che
servono come moderatori di reattori nucleari.