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Irredentismo.

Aspirazione di carattere ideale e politico che spinge minoranze nazionali, tagliate fuori dalla propria madrepatria, ad operare per ricongiungersi con essa. Tale aspirazione, diretta conseguenza dello spirito di nazionalità che si sviluppò in Europa nella seconda metà del XIX sec., iniziò a farsi sentire quando, portati a termine i processi di formazione delle varie nazionalità europee, le minoranze rimaste per varie ragioni escluse da quelle che ritenevano essere le loro naturali collocazioni politiche, iniziarono a muoversi per far valere le proprie esigenze. In Italia lo spirito dell'i. si manifestò riguardo al problema delle province rimaste escluse, dopo il 1866, dalla formazione del nuovo Regno Italiano. Si trattava segnatamente delle province di Trento e Trieste che, dopo la conclusione della terza guerra di indipendenza, erano rimaste sotto il controllo dell'impero austro-ungarico. Dopo il 1870 la presa di Roma fece ritenere alla classe dirigente italiana che il processo di unificazione nazionale fosse concluso. Restava semmai aperto il problema di Trento, considerato tuttavia più nel contesto della sicurezza militare che in quello del completamento del Risorgimento nazionale. Tuttavia, per più di un decennio, prevalse la tendenza a mantenere buoni rapporti con l'impero austro-ungarico al fine di mantenere l'equilibrio europeo e per non affrontare un possibile conflitto per il quale il Regno d'Italia non era preparato né dal punto di vista militare né da quello diplomatico. Lo spirito irredentistico ricevette successivamente un vigoroso impulso dal martirio di Guglielmo Oberdan (1882) e dalla decisione del Governo italiano di stringere alleanza con Austria e Prussia, decisione che implicava necessariamente una definitiva rinuncia a Trento e Trieste. L'atteggiamento italiano incoraggiò il Governo austriaco a praticare una politica di contrapposizione fra le nazionalità italiana e slava nella penisola istriana in modo di rafforzare il proprio controllo sulla regione. Tuttavia, agli inizi del secolo, lo sviluppo in senso capitalistico di buona parte della borghesia industriale e commerciale istriana spinse quest'ultima verso posizioni nettamente favorevoli ad un ricongiungimento della regione di Trieste con il Regno d'Italia. Questa tendenza irredentistica della grossa borghesia istriana venne anche favorita dalla scelta praticata dal Governo austriaco di preferire, come scalo commerciale, i porti del Nord a quello di Trieste, provocando in questo modo una lenta ma inarrestabile degradazione della prosperità e del tessuto economico della città. L'i. della nuova borghesia istriana perseguiva un ideale di potenza e di dominio sull'Adriatico, che era ben diverso dallo spirito pacifista e democratico del primo i. ottocentesco, ancora intriso di spirito e di influenze mazziniane. Verso il 1910 questo nuovo movimento irredentista si venne a congiungere con il movimento nazionalista. Dopo la guerra di Libia (1911), il nazionalismo italiano mise al primo posto nel proprio programma l'intento di strappare all'Austria le terre rimaste sotto il controllo austro-ungarico, per far valere la nuova potenza italiana anche nel settore centro-europeo. Altri fattori resero inevitabile lo scoppio del conflitto con l'Austria: la consapevolezza che fosse improcrastinabile la definizione di una nuova "mappa" della sicurezza militare italiana nei confini del Nord e la necessità di completare le guerre risorgimentali ricostruendo nella sua totale integrità nazionale il territorio italiano. Con la guerra e con le decisioni prese dalla conferenza di Versailles lo spirito nazionalistico si esaurì e venne gradatamente sostituito dal movimento fascista, che avanzò una serie di rivendicazioni nazionali nelle quali non era facile distinguere dove prevalesse lo spirito irredentistico e dove fosse maggiore lo spirito espansionistico. Vennero rivendicati all'Italia i territori di Malta, del Canton Ticino, della Corsica e di Nizza, ponendo in questo modo in serio pericolo l'equilibrio europeo. Tale politica fascista era in ogni caso in sintonia con la tendenza della destra europea, e particolarmente del Nazismo hitleriano, di avanzare rivendicazioni nazionaliste. Furono tali rivendicazioni (è sintomatico il caso della città di Danzica) che, in ultima analisi, rappresentarono una delle cause principali dello scoppio del secondo conflitto mondiale.