(dal greco
eironéia: dissimulazione). Dissimulazione del proprio
pensiero tramite l'uso di un'espressione che significa l'opposto di ciò
che si vuol dire. ║ Beffa amara, scherzo maligno. • Filos. -
I.
socratica: si esplica nell'azione di interrogare fingendo di "non sapere".
L'intento di questo continuo interrogare e ricercare era quello di distruggere
le false e dogmatiche certezze. Il pensiero di Socrate era ironico in quanto
dimostrava relativo, e quindi criticabile e superabile, quel punto di vista che
l'avversario giudicava assoluto e non criticabile. Socrate indossa una maschera
scherzosa, si mostra ingenuo e ignorante, chiede lumi alla sapienza
dell'interlocutore, finge di accettarne la tesi per farla riconoscere assurda
all'interlocutore stesso (metodo aporetico), così che, alla fine, il suo
non sapere si rivela assai più consistente del dogmatico sapere altrui.
Si arriva così alla platonica
paideia, l'insegnamento condotto
mediante lo scherzo ironico. ║
I. romantica: fu teorizzata da F.
Schlegel e caratterizzata dal genio creatore che dissolve con la fantasia le sue
stesse creazioni. L'artista romantico si pone al di là degli avvenimenti
che racconta e dei personaggi che rappresenta, non si identifica mai interamente
con la sua opera, ha sempre coscienza dell'irrealtà delle sue creazioni.
Il Romanticismo, con il concetto di
i., teorizzò l'arte come
giuoco e l'artista come
homo ludens che dissolve il reale in immagini
labili e capricciose. Kierkegaard conduce alle sue estreme conseguenze
(
Ombegrebet ironi; Sul concetto di i.) la teoria romantica dell'
i.
per la quale l'autore libera se stesso e il proprio io dai personaggi da lui
creati, conquistando in tal modo, attraverso il giuoco, la propria
libertà. L'uomo che vive la vita estetica è colui che trasporta
l'
i. artistica nella vita reale, che giuoca con le esistenze come il
poeta con le creature del suo sogno, che converte tutta la realtà in
possibilità, che assiste, spettatore sorridente, alla tragedia e alla
commedia che egli compone per sé, per il suo Io illimitato, superiore a
ogni legge e a ogni morale. Merito di Kierkegaard è soprattutto di aver
chiarito che l'
i. è sostanzialmente una "relazione ambigua" in
quanto, da un lato, l'uomo, nella sua finitezza, ha bisogno di porsi in rapporto
con l'infinito; mentre, dall'altro, l'infinito sfugge all'uomo che si trova
così in contraddizione con se stesso, senza quel punto di riferimento che
solo potrebbe chiarirgli il senso della propria vita, oltre l'illusione estetica
del sogno romantico. L'
i. si pone come confine tra l'estetica e l'etica.
Ironico è ogni uomo quando critica una forma di vita troppo ristretta e
relativa alla quale egli si sente superiore, e in questo movimento, che scopre
la relatività e la fragilità di ogni esistenza proiettata nel
finito e nel mondo esterno, sorge la vita etica. Per l'uomo etico-ironico niente
è importante, perché il finito e il relativo si rivelano nella
loro comicità: "l'uomo etico vede molto bene che ciò che lo occupa
assolutamente non preoccupa assolutamente gli altri. Egli capisce questa
sproporzione e pone il comico tra sé e gli altri, per potere con maggiore
saldezza ancorarsi in se stesso all'etica".