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Io.

Indica la persona che parla quando si riferisce a se stessa. • Fil. - L'I. rappresenta il principio della conoscenza, ordinatore della realtà e costruttore della natura. La prima espressione del valore dell'I., come fondamento per una comprensione del mondo, è già presente nella formulazione socratica "conosci te stesso". È però con il concetto della vita come responsabilità, presente nella religione cristiana, che si pone il problema della coscienza (Sant'Agostino) e quindi dell'I. Per la prima volta la coscienza di sé è assunta a principio della realtà, ma una sua interpretazione come principio e fondamento della conoscenza si ha solo nella filosofia moderna, a cominciare da Campanella e da Cartesio (Cogito ergo sum). L'I. viene identificato con la consapevolezza di sé (autocoscienza) e, con Kant, viene posto il problema del superamento della contrapposizione tra l'I. e la realtà esterna. Kant distingue l'I. puro trascendentale, cioè la coscienza in generale, la coscienza avente valore universale, dall'I. individuale (o empirico) di cui si ha diretta conoscenza empirica e contingente. Fichte pone l'I. come l'assoluto che ha in sé la sua ragione e conia il vocabolo Ichheit (Egoità), segnando l'inizio dell'idealismo moderno. Per Hegel, l'I. è la semplice espressione del soggetto pensante e, come tale, esclude ogni altro, poiché l'I. è l'universale in sé e per sé. Pertanto, vari filosofi idealisti contemporanei hanno insistito sul valore assolutamente individuale dell'I. che attua però in sé l'universale, e identificato (o non distinto) l'I. con la coscienza. A questa corrente di pensiero si contrappone quella kierkegaardiana e, più in generale, esistenzialista, che rappresenta le rivendicazioni dell'individuo in quanto tale. Individuo che, secondo Sartre, reclama il "riconoscimento del suo essere concreto e non l'applicazione oggettiva di una struttura universale"; il riconoscimento della persona come universale, tenuto però conto che l'universale "non può avere significato, se non esiste appositamente per l'individuo". Comunque, nel pensiero filosofico contemporaneo è avvertita l'esigenza di arrivare a concepire l'I., non più come soggetto logico o principio della conoscenza (Cartesio, Kant), ma come "principio totale" e "personalità totale". L'I. diventa così volontà e coscienza di responsabilità. • Psicol. - Concetto psicoanalitico che si riferisce alle parti organizzate dell'apparato psichico, in contrapposizione all'Es (o Id) non organizzato. Il rapporto I.-Es è lo stesso che esiste tra conscio e inconscio. Infatti per coscienza (I.) si intende, secondo la definizione di Freud, un'organizzazione di pensieri in base alla quale si selezionano quelli accettati e si escludono quelli indesiderati; mentre l'inconscio (Es) è la parte non organizzata della psiche, formata da desideri istintivi e dalle esperienze emotive represse. È opportuno osservare che ciascuno di noi, quando usa il pronome io nel linguaggio comune (io penso, io parlo, io faccio) intende riferirsi a quella parte del proprio essere psichico che è investita dalla coscienza. È chiaro quindi che I. e coscienza s'identificano. Ora, le attività psichiche inconsce, nelle loro manifestazioni, presentano caratteri analoghi alle attività dell'I., ma l'individuo in cui si sviluppano non ne ha coscienza e pertanto non può, per esse, usare lo stesso pronome i. Il soggetto che, per esempio, nella suggestione post-ipnotica, si sente irresistibilmente spinto a compiere determinate azioni, senza avere coscienza dei motivi che lo spingono a comportarsi in quel modo, è come se fosse sospinto da un altro, ossia da una forza che agisce in lui, ma che non è identificabile con l'I. È come se vi fossero in lui due personalità, quella cosciente e quella incosciente. Così, per esprimere gli atti della prima viene usato in psicanalisi il pronome I. e per gli atti della seconda è stato introdotto da Freud il pronome neutro tedesco Es, che indica il principio da cui promanano tutte le attività psichiche inconsce. I. ed Es, conscio e inconscio, si compenetrano l'un l'altro, per quanto il primo rappresenti ciò che chiamiamo ragione e giudizio, l'altro le passioni. Poiché nell'Es contraddizioni e antitesi coesistono indisturbate, spetta all'I. sorvegliare e rinunciare eventualmente a un impulso in favore di un altro al fine di evitare conflitti. Vi è poi una parte dell'organizzazione dell'I. specializzata nel criticare, proibire e giudicare quali pensieri possono essere o meno accettati. Freud definì questa parte Super-I., in quanto il dominio da esso esercitato sul resto dell'I. non è innato, ma deriva dall'influenza dell'ambiente e dell'educazione, non solo esercitata direttamente sulla persona, ma quale risultato di millenni di evoluzione dell'umanità. Pertanto, il Super-I. contiene quella parte delle forze inibenti, che nel corso dello sviluppo personale viene interiorizzata. Da una parte l'Es, in cui sono contenute le passioni e gli istinti primordiali, dall'altra il Super-I. che rappresenta i principi censori e tirannici delle più severe norme sociali. Freud stesso sintetizza così la posizione del Super-I. e dell'Es, rispetto all'I.: "l'Es e il Super-I., nonostante la loro fondamentale differenza, concordano nel fatto che rappresentano gli influssi del passato: l'Es l'influsso del passato avuto in eredità, il Super-I. sostanzialmente l'influsso del passato subito attraverso altre persone, mentre l'I. è determinato principalmente da esperienze personali, dunque accidentali e attuali".