(dal latino
intueri: veder dentro). Disposizione naturale a cogliere
subito l'essenza di una cosa, a penetrare una verità senza bisogno di
ricorrere al ragionamento. ║ Facoltà di afferrare, nel suo insieme,
un'idea senza dedurla logicamente da altra. La verità di ciò che
è frutto d'
i. viene pertanto espressa da fiducia o da evidenza,
non dal ragionamento. • Teol. - Conoscenza immediata di Dio, non mediante
l'intelligenza, ma per grazia divina. • Filos. - Nella filosofia antica
l'
i. viene presentata soprattutto come la facoltà invocata dai
mistici quale mezzo per giungere alla verità suprema. Il valore
dell'
i. si ritrova già compiutamente espresso nella concezione
platonica dell'amore, considerato come aspirazione a qualcosa di più
alto, capace di afferrare la verità suprema senza conoscerla (per cui
è, insieme, ignoranza e sapienza), di afferrare l'intima unità del
tutto, senza però possedere e dominare niente. Già nella filosofia
scolastica, il termine fu usato per indicare l'esperienza conoscitiva che parte
dall'immediato possesso della verità, distinta dall'esperienza
conoscitiva, in cui alla verità si perviene attraverso un processo
deduttivo. Nel pensiero scolastico si venne chiarendo la distinzione tra
i.
intellettuale e il puro rapporto logico razionale, come anche la distinzione
tra i concetti di
intelletto (
i. oggettiva di valori universali) e
ragione (facoltà logica di connettere e giustificare coerentemente
un concetto con un altro). L'
i. è la conoscenza diretta e
immediata che ha in sé il fondamento della sua verità, senza avere
bisogno di una prova. Essa è inoltre la forma di conoscenza che ci
dà le verità prime e i postulati matematici. Cartesio definisce
l'
i. come
percezione chiara e distinta e l'oppone a
conoscenza, in quanto verità immediatamente vera per
evidenza. Kant considera l'
i. la facoltà di rappresentare
l'oggetto come presente, ma, se essa fosse la rappresentazione di un oggetto
realmente presente, non sarebbe possibile una forma d'
i. valida
universalmente, data l'impossibilità di superare l'esperienza
contingente. L'
i. a priori è perciò, nella concezione
kantiana, solo sensibile e fenomenica, ossia capace di cogliere solo le
apparenze. La possibilità di una diretta apprensione intellettuale, ossia
di una conoscenza intuitiva di valori universali, negata da Kant, è
invece ammessa da Fichte e da Schopenhauer. Quest'ultimo ha definito l'
i.
come "la sorgente di ogni verità" e il "fondamento di ogni scienza".
Nella filosofia contemporanea, la necessità di non racchiudere la
realtà in un dato logico ha portato ad accogliere l'
i. come la
sola facoltà capace di farci cogliere il valore profondo della
realtà. Per alcuni filosofi la conoscenza dei valori non è tanto
il risultato di un ragionamento quanto opera dell'
i. Secondo Max Scheler,
l'
i. dei valori non solo ci fa conoscere la loro essenza, ma ci dà
anche la loro gerarchia in modo da farci intuire e riconoscere i valori
superiori e quelli inferiori. Il modo nel quale viene visto, rappresentato,
intuito un valore è altrettanto importante della sua conoscenza
razionale. Secondo Bergson, intelligenza e scienza non bastano, poiché
non sono in grado di cogliere la mobilità, occorre l'
i., che
è il ritorno consapevole dell'intelligenza all'istinto, reso possibile
dal fatto che
i. e istinto non sono mai funzioni del tutto separate.
Croce considera l'
i. come la facoltà mediante la quale afferriamo
immediatamente lo spirito; come l'attività creatrice di valori, sinonimo
di fantasia e di arte. Il rimprovero che viene rivolto in sede filosofica
all'
i. è di concepire valori che non è possibile ordinare
in unità logiche e quindi di non poter fondare la propria validità
che su di un atto di fede. Secondo il filosofo e psicologo W. Wundt (1832-1920),
la distinzione tra fatti fisici e fatti psichici sta in ciò: che per i
primi la risultante non è che la somma degli elementi, mentre per i
secondi è qualcosa di più, essendo il risultato di
un'attività creativa. Gli elementi della conoscenza non sono unità
che debbano essere ordinate, ma sono processi psichici anteriori, così
che i tre gradi dello spirito:
percezione, intelletto, ragione, non sono
forme tra loro diverse, ma forme progressive di una stessa attività dello
spirito. Di fronte agli elementi dell'
i., il pensiero si presenta come
un'attività ordinatrice, resa necessaria dalla contraddizione e dal
disordine della molteplicità dell'
i. Infatti, tanto chi coltiva le
scienze dello spirito quanto chi si dedica a quelle naturali, se non può
eliminare la fase intuitiva, deve poi sottoporre a verifica le conoscenze
acquisite mediante l'
i. • Psicol. - Il risultato dell'
i.
è una forma di conoscenza che si sottrae a ogni possibilità di
verifica, non essendo precisabili, e quindi riproducibili, le operazioni che
l'hanno permessa. Nessuna forma di ricerca che si proponga di scoprire le regole
e le leggi di ciò che esamina può fare a meno della fase della
"visione intuitiva". L'
i. è caratteristica di quelle intelligenze
agili, vivaci, versatili, ossia propria di chi è capace di penetrare con
rapidità e perspicacia il problema, di abbracciare con un solo sguardo le
situazioni e di penetrare al di là dell'apparenza materiale. L'
i.
è una delle quattro funzioni (oltre a sensazione, sentimento e pensiero)
che C.G. Jung ha poste alla base della sua classificazione degli esseri umani;
è quella che ci indica l'origine e lo scopo delle possibilità
nascoste degli avvenimenti. Secondo Jung, i tipi intuitivi, come quelli
sensitivi, sono esseri irrazionali. Essi però non si fermano alla pura
percezione dei sensi, ma in una situazione riescono a guardare al di sopra dei
semplici fatti e possono così vederne le cause e considerare ciò
che è possibile fare nel caso in questione. A questa categoria
appartengono scienziati, inventori, artisti e anche un certo numero di uomini
politici (V. anche
PERCEZIONE).