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Intelligenza.

Attitudine a intendere bene e prontamente. Secondo la definizione, accettata come la più completa, datane da W. Stern, è la capacità psichica generale dell'individuo di adattarsi a situazioni, compiti e condizioni nuove di vita, sapendo utilizzare le esperienze fatte in precedenza, e la capacità generale di orientare il pensiero verso nuove esigenze. È comunque difficile definire l'i. con termini che abbiano lo stesso significato per tutti. In genere si giudica intelligente una persona quando le viene riconosciuta una notevole capacità di apprendere, ricordare, risolvere tipi diversi di problemi o un certo grado di agilità mentale e di rapidità di pensiero. Scientificamente l'i. viene valutata con metodi analitici e sintetici. I primi consistono nel sottoporre il soggetto a determinate prove che consentono di mettere in evidenza il grado di efficienza delle principali funzioni mentali; mentre, tra i metodi sintetici, una posizione di primo piano è occupata dal metodo delle scale dell'i., tendente a valutare le capacità caratteristiche di ciascuna età. I sistemi migliori per valutare il grado di i. e, insieme ad esso, il grado di sviluppo di tutta la personalità è quello dei profili che, come il metodo russo Rossolimo, riunisce in sé i vantaggi di metodi analitici e di quelli sintetici. In queste prove, non influendo la cultura e il grado di istruzione dell'individuo, è possibile valutare l'i. dai livelli più bassi a quelli più elevati di preparazione scolastica. Dai livelli normali di i., di cui è relativamente facile la valutazione, si passa a quelli più elevati e di non facile misurazione, date le scarse possibilità di raffronto, e a quelli più bassi e di massima deficienza. L'i. non manca quindi di assumere forme patologiche. Se, in nessun modo, può considerarsi patologico il suo sviluppo al di sopra della "normalità", sino ai gradi più elevati (largamente superata è infatti la teoria di Lombroso, secondo cui la genialità sarebbe una forma di pazzia), sotto l'aspetto patologico vanno considerati i gradi di sviluppo che si pongono al di sotto del livello della normalità. Le varie forme di deficienza possono essere durevoli e definitive, come nei casi di idiozia, oppure temporanee e momentanee come nel delirio passeggero. Anche le cause della "deficienza" possono essere varie, a volte dovute a una regressione intellettuale, come nel caso della demenza, altre volte, e più frequentemente, dovute alla mancanza o all'arresto dello sviluppo mentale. A seconda del grado di deficienza, l'individuo è definito: ritardato, tardivo, imbecille, idiota. Gli studi sperimentali sull'i. sono ancora in piena fase di elaborazione e non molte sono le opere di rilievo in questo campo. Tuttavia, l'approfondimento degli studi e la maggiore conoscenza dell'attività fisiologica del cervello, hanno consentito di disporre di nuove e più precise informazioni sulla funzione di tale organo. Da studi recenti sono emersi nuovi dati che hanno, in parte, invalidato l'ipotesi secondo cui la sede dell'i. sarebbero i lobi cerebrali frontali. Infatti, ricerche sperimentali hanno dimostrato che anche gravi lesioni in tale zona non provocano rilevanti turbamenti delle facoltà mentali che, invece, vengono compromesse proporzionalmente all'ampiezza delle lesioni verificatesi nell'intero cervello. Inoltre, un altro dato importante è quello della scoperta dell'importanza dell'acido ribonucleico (RNA) che aumenta nelle cellule cerebrali nella fase dell'apprendimento e in quantità proporzionale al grado della conoscenza. Studi più recenti hanno però indotto a considerare l'RNA come un fattore secondario e a ritenere che la sostanza attiva doveva essere una proteina, chiamata peptide. Comunque, in un caso come nell'altro, gli studi si indirizzano verso la possibilità di produrre chimicamente sostanze in grado di curare ritardati mentali o persone affette da altre deficienze mentali e di potere aumentare in chiunque l'i., ma tali da offrire anche la possibilità, tutt'altro che positiva, di sottoporre l'individuo al controllo della mente. In questi ultimi anni sono state elaborate tecniche di ricerca che hanno messo gli studiosi nella condizione di esplorare sperimentalmente aspetti della fisiologia e della psicologia rimasti per millenni sconosciuti e oggetto della speculazione astratta dei filosofi. Ma nonostante la possibilità di esaminare il contenuto di singole cellule (complessivamente il cervello ha circa tre miliardi di cellule nervose o neuroni), attraverso i microscopi elettronici, rimane tuttavia irrisolto il problema che sta alla base della capacità di comprendere e di pensare, cioè dell'i. Secondo il neuropsicologo americano Karl Pribram, quattro sarebbero le attività fondamentali del cervello, cui corrispondono altrettanti metodi di indagine. Metodi che, sinora, hanno cercato di acquisire una posizione di predominio basandosi esclusivamente sull'una o sull'altra di tali attività: neurofisiologia, psicologia, comportamentistica, comunicazione verbale. La neurofisiologia, cioè il processo mentale nella sua totalità e organizzazione, occupa il primo posto. Segue la psicologia, cioè il modo soggettivo di sentire e di percepire. Al terzo posto viene collocato il comportamento, ossia il regolamento della condotta dell'individuo. Segue, infine, la comunicazione interpersonale, che si svolge per gran parte mediante il linguaggio. Le nuove teorie neuropsicologiche, derivate da studi sperimentali, tendono a invalidare quelle derivate da studi psicologici, sociologici, pedagogici che pongono l'accento soprattutto sull'importanza dell'ambiente nello sviluppo della personalità e dell'i. Secondo alcuni autorevoli esponenti delle nuove scuole neuropsicologiche, anche i test, da tempo usati per misurare la capacità verbale, le attitudini e i profili scolastici, non farebbero che confermare e rafforzare le loro teorie. Da tempo la misurazione dell'i. viene fatta mediante metodi proiettivi, tra cui un posto di primo piano è occupato dai test psicometrici. Attraverso questi test mentali è possibile accertare il Quoziente d'I. (Q. I.) che è un rapporto tra l'età anagrafica e l'età intellettuale del soggetto esaminato. Premesso che un individuo normalmente sviluppato ha un Q. I. = 100 (un quoziente normale, o medio, va da 90 a 110) è chiaro che, se un ragazzino di otto anni ha un'età mentale corrispondente a quella media della sua età anagrafica, avrà un quoziente che s'aggira intorno a cento, ottenuto dividendo l'età mentale per quella reale (in questo caso otto diviso otto) e moltiplicandola per cento. Se, invece, lo stesso ragazzino ha un'età mentale di dieci anni, cioè è in grado di rispondere a test mentali preparati per chi ha dieci anni, il suo quoziente sarà superiore alla media e, più esattamente, uguale a 125 (10:8 = 1,25); mentre, se non è in grado di rispondere a test di età superiore a quelli preparati per un bambino di sei anni, avrà Q. I. di 75 (6:8 = 0,75). Rimane comunque aperto il problema se l'i. sia congenita o, in massima parte, acquisita. Gli studiosi riconoscono che i risultati sinora ottenuti sono insufficienti per dare una risposta esauriente e definitiva. Tuttavia, l'orientamento dei vari ricercatori, soprattutto americani, è quello di considerare l'i. più tra i fattori ereditari che tra quelli acquisiti, basando le loro affermazioni su ricerche genetiche da cui risulterebbero indiscutibili correlazioni tra affinità genetica e risultati di test di i. Polemiche ha soprattutto sollevato, e non solo nell'ambiente scientifico, la tesi dello psiconeurologo Arthur Jensen, secondo cui i programmi per aumentare la capacità di apprendimento dei bambini meno favoriti dall'ambiente sociale di appartenenza non darebbero risultati molto positivi, in quanto i ragazzi intellettualmente meno dotati, non soltanto debbono le loro carenze alle condizioni ambientali poco favorevoli allo sviluppo intellettuale, ma sarebbero anche geneticamente sfavoriti, in quanto il patrimonio intellettivo non si accumula individualmente, ma nel corso di varie generazioni. Queste teorie tendono, ovviamente, a mettere in crisi quelle opposte e per alcuni decenni predominanti e largamente diffuse grazie soprattutto alla psicologia organica dei discepoli di John Dewey e alla scuola comportamentistica (behaviorismo). Comunque, se vanno perdendo terreno le teorie behavioristiche, secondo cui le diversità nelle attitudini e nelle capacità dell'individuo andavano ricercate esclusivamente nella sua storia personale, nondimeno molte perplessità, e non solo di carattere socio-psicologico, legate al problema delle differenze e quindi delle discriminazioni sociali e razziali, sollevano anche le più recenti teorie, convalidate da certificati di garanzia scientifica. Inoltre, al di là del campo più propriamente scientifico e che rimane in gran parte inesplorato si stendono ancor più vaste zone che sfuggono a qualsiasi tentativo di classificazione. Infatti, non si può non considerare anche l'aspetto etico ed estetico dell'i., le cui molteplici estrinsecazioni, per la loro fluidità, sfuggono ad ogni definizione limitativa. Se l'i. è la capacità di capire, varie e spesso opposte sono le forme e i modi in cui essa può manifestarsi. Esiste un'i. morale e, quindi, una stupidità morale che, peraltro, può sussistere in individui ritenuti in senso generale molto intelligenti. Così esiste un'i. estetica e, per antitesi, una stupidità estetica, propria di chi non riesce a cogliere i rapporti di bellezza, siano essi espressi con parole, forme, colori, suoni. I., secondo una definizione largamente accettata, è la capacità psichica di adattamento all'ambiente, ma, nondimeno, esistono uomini riconosciuti come molto intelligenti o, comunque, spiritualmente superiori, che non possiedono che in scarsa misura tale capacità e sono assolutamente privi di abilità mondana. Possiamo quindi concludere dicendo che tuttora manca una teoria scientifica generale capace di spiegare in modo esauriente i fenomeni centrali dell'apprendimento. Quanto all'ambito della vita quotidiana, l'i. viene spesso confusa con la furberia, la destrezza, l'abilità, tutte qualità che rientrano indubbiamente nell'ambito dell'i., ma che non si elevano al di sopra della sfera dell'egoismo privato. L'autentica i. trascende invece tale sfera, volgendosi verso interessi esterni, siano essi sociali, scientifici, artistici, che comportano tutti un certo grado di apertura e di disponibilità, per cui non è possibile considerare intelligente chi è incapace di formulare giudizi personali, di orientare il pensiero verso nuove esigenze e accoglierle nella propria vita, rimanendo invece aggrappato alle proprie abitudini mentali, ai pregiudizi assorbiti dall'ambiente e alle certezze del passato.