Facoltà di intendere le idee e i loro rapporti. Nella filosofia classica
(il concetto, già espresso da Anassagora, fu sviluppato soprattutto da
Aristotele), il termine è usato per significare la capacità di
penetrare i valori più profondi, al di là delle apparenze
sensibili; la facoltà di afferrare l'ordine e l'eterno là dove
appare il disordine e il contingente; di prendere coscienza dei valori
universali esistenti fuori di noi. Nella filosofia scolastica si venne chiarendo
ciò che differenzia l'intuizione intellettuale dal puro rapporto logico
razionale e di qui la necessità di meglio definire il concetto di
i. e di ragione: il primo inteso nel senso di "intuizione oggettiva di
valori universali", il secondo di "facoltà logica di connettere".
Polemiche e interpretazioni diverse nel periodo scolastico si intrecciarono
soprattutto con riferimento alla non molto chiara teoria aristotelica, secondo
cui l'
i. andava distinto in
attivo (principio informante:
attività pura, fuori del senso) e
passivo (attività
percettiva). Infatti, secondo Aristotele, l'anima intellettiva riceve le
immagini e ha la funzione di giudicare se sono vere o false, buone o cattive.
L'
i. è
potenziale, in quanto pura possibilità di
ricevere e intendere; e
attuale, in quanto contiene in atto tutte le
possibili verità intellettuali. Nella filosofia moderna emergono due
correnti opposte, l'una razionalista, l'altra empiristica. Così, Cartesio
considera l'
i. la sede delle idee innate: nell'uomo l'
i. e la
volontà, che in Dio si identificano, sono distinti; l'
i. umano
è limitato, per cui l'uomo è simile a Dio non per l'
i., ma
per la volontà. Spinoza, pur distinguendo l'
i. dal pensiero, lo
considera una sua variante, per cui si ha la conoscenza intuitiva. Leibniz
considera la differenza fra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale: la
sensibilità fornisce conoscenze confuse, l'
i. conoscenze chiare.
Dall'altro lato, la corrente empirica, con Locke, nega l'esistenza di idee
innate nell'
i. e afferma l'origine totalmente empirica della conoscenza
che può avere per oggetto solo ciò che è oggetto della
sensibilità. Kant superò entrambe le correnti, considerando
l'
i. una funzione soggettiva, in grado di formare oggetti mediante
sintesi a priori, consentendo all'uomo di agire nel mondo; mentre la ragione,
dovendo esprimere valori universali, può darci solo valori morali. Per
quanto netta sia nella filosofia kantiana la distinzione in tre momenti:
sensibilità,
i., ragione, Hegel, riprendendo il tema, svolge una
critica in cui accusa Kant di avere usato la ragione come se fosse l'
i.,
errore per cui gli erano apparsi contrapposti e inconciliabili, nella loro
antinomia, il finito e l'infinito. Pertanto, secondo Hegel, non si tratta di
cancellare l'
i., ma di considerarlo come un momento interno allo sviluppo
dialettico della ragione, mosso da ragioni esterne nel suo sviluppo di tesi,
antitesi, sintesi. Nel pensiero contemporaneo, per
i. si intende
generalmente la superiore funzione conoscitiva, mentre
intellettualismo,
che ebbe in passato significato in opposizione a
materialismo, ha assunto
il significato di dottrina che restringe l'attività dell'uomo alle pure
facoltà teoriche. E in tal senso viene combattuto sia dalle tendenze
mistiche religiose, secondo cui nell'"intellettualismo religioso" la fede si
riduce al credere in una verità intellettualmente concepibile ed
analizzabile, sia dalle correnti irrazionalistiche ed estetiche, secondo cui
esso impoverirebbe la piena comprensione umana. Un'altra opposizione in termini
si ha rispetto all'
attivismo, al
volontarismo e al
pragmatismo. Attivismo e volontarismo hanno infatti un evidente carattere
irrazionalistico, poiché in essi l'
i. e la coscienza sono posti al
servizio di un atto irrazionale. Diversa è anche la nozione di
intellettualismo da quella di razionalismo. Infatti, mentre in quest'ultimo
è presente soprattutto l'idea della ricerca e dello sforzo della ragione,
nell'intellettualismo domina quella del compiacimento per il dato di cultura e
per la raffinatezza culturale. L'intellettualismo viene condannato in quanto
tende a considerare come nullo (non avvenuto) ciò che non può
essere giudicato secondo le norme della logica e della scienza. Esso infatti
pretende di ridurre all'obbedienza la totalità del regno umano,
così da rifiutare i principi della "coscienza mitica". Particolarmente
interessanti sono, a questo proposito, le osservazioni svolte da Georges Gusdorf
che denuncia due forme di possibile alienazione per l'uomo moderno:
l'alienazione nel mito e l'alienazione nell'
i., che comportano entrambe
il pericolo di risolversi in due forme di infedeltà alla condizione
umana. Il tipo di alienazione provocato dalla "demitizzazione" dell'esistenza
è "l'alienazione intellettuale dello scienziato, del tecnico, del
filosofo, nei quali i valori fondamentali si trovano come sterilizzati o,
almeno, colpiti da anestesia. Lo spettacolo del mondo presente, con le sue
incoerenze, le difficoltà che lo divorano, mostra sufficientemente che
l'imperialismo dell'
i. e delle sue tecniche, sebbene fondato su di un
innegabile progresso della potenza umana, distrugge ogni comunità e
riduce l'universo allo stato selvaggio". Gusdorf indica la psicoanalisi e il
marxismo come i due più importanti richiami anti-intellettualistici,
capaci di congiungere il pensiero alle esigenze reali degli uomini: "la
coscienza contemporanea, alla luce della psicoanalisi, si è trovata
violentemente scossa dalla rivelazione dell'importanza reale della
sessualità nella vita degli uomini. Essa non ha mancato di indignarsi
davanti a un'affermazione che andava contro pregiudizi secolari". L'
homo
philosophicus, l'uomo dell'intellettualismo, si presenta quindi asessuato e
non assillato dai problemi economici del vivere quotidiano. Ed è per
difendere questo "fantoccio" convenzionale che "il razionalismo insorge contro
la pretesa marxista di integrare i fattori economici al pensiero umano,
esattamente come esso insorge contro l'affermazione freudiana della
necessità di tener conto dei moventi sessuali. L'uomo
dell'intellettualismo appare dunque come un essere privato dei caratteri
essenziali dell'umanità. Delle tre anime platoniche, non gli resta che
l'anima cerebrale".