Psicol. - Processo mediante il quale si acquista individualità o si
diviene consapevoli di questa in noi. Il termine è stato largamente usato
da C.G. Jung che lo ha caricato di un significato che sottintende, oltre alla
consapevolezza della propria "separazione" e "diversità" dagli altri,
anche la consapevolezza di essere una persona "intera" e "indivisibile". Jung
definisce come
i. lo sviluppo psicologico dell'individuo come essere
distinto dalla psicologia collettiva. Meta del processo di
i. è,
secondo Jung, lo sviluppo della personalità individuale. Impedire
l'
i., applicando prevalentemente o esclusivamente norme collettive,
significa pregiudicare l'attività vitale dell'individuo, limitare
artificiosamente la sua realtà psicologica. L'
i., secondo la
concezione junghiana, non favorisce l'isolamento proprio dell'individualismo, ma
ha il compito di immettere nella vita associata e collettiva una
personalità individuale più evoluta, matura, consapevole, tale da
poter recare un proprio contributo positivo alla società. Poiché
l'individuo non potrebbe sopravvivere come entità scissa dai rapporti
collettivi, il processo psicologico dell'
i. deve essere preceduto da un
processo di adattamento alle norme collettive. Pertanto, ottimale è la
situazione in cui
i. e norme collettive non perseguono finalità
divergenti e antagonistiche, ossia vi è integrazione tra mete individuali
e norme collettive. In questa situazione ideale le norme non avrebbero carattere
coercitivo, non avrebbero bisogno di essere garantite con la forza delle leggi
ma dalla spontanea e libera obbedienza di individui che in esse si riconoscono e
hanno la possibilità di esprimersi pienamente. In tale situazione il
dovere non sarebbe compiuto per timore delle sanzioni previste, ma per intima
vocazione. Quanto all'applicazione del metodo dell'
i. nella psicoterapia,
Jung lo considera utile per un tipo particolare di pazienti. Secondo Jung,
infatti, nella maggior parte dei casi, l'analista deve accontentarsi di riuscire
a rimuovere quanti più sentimenti repressi gli sia possibile e di
riconciliare il paziente con gli aspetti gradevoli della sua personalità.
Invece, per i pazienti dotati di un'intelligenza superiore o di qualche altra
capacità che li distingua è possibile essere loro di maggiore
aiuto sottoponendoli al procedimento dell'
i., così da favorire lo
"sviluppo pieno di tutte le loro potenzialità inconsce". Secondo Jung,
l'inconscio non è quella "prigione, descritta da Freud, in cui
l'individuo rinchiude tutte le proprie tendenze indesiderabili, ma in esso sono
racchiuse anche tendenze desiderabili che è però opportuno
liberare solo quando l'individuo è in grado di opporre il bene al male.
Secondo la concezione junghiana che, non a torto, è stata accusata di
"misticismo" la psicoterapia può far nascere la nuova personalità
(mediante un processo paragonabile a una specie di "reincarnazione") e
assicurare che questa diventi il più possibile completa e sana, pur
essendo compito esclusivo del paziente, una volta che abbia preso atto di questa
sua nuova personalità, riplasmare la propria vita ed adattarsi ad essa.
• Filos. -
Principio di i.: nel linguaggio della scolastica si
disse
principium individuationis, il principio determinante
dell'individualità; poiché quest'ultima risultava, secondo la
concezione aristotelica, dal confluire della materia e della forma, così
nella controversia circa il principio d'
i. si discusse se tale fosse la
materia, in quanto determinatrice dell'universalità della forma, o la
forma, in quanto determinatrice dell'indefinitezza della materia. La seconda
tesi fu sostenuta da Duns Scoto, la prima da Tommaso d'Aquino. Tra le soluzioni
moderne del problema del principio d'
i., quella cartesiana pone
l'
i. nel pensiero (
se penso, sono), e quella rosminiana la pone
nel sentimento.