Econ. pol. - La nozione di
i. e di imprenditore è stata introdotta
in modo organico da J.A. Schumpeter, per quanto il termine fosse già di
uso comune. Primo a usare il termine imprenditore fu l'economista francese R.
Cantillon (1680-1734) che, con tale termine (
entrepreneur), indicò
colui che acquista i mezzi di produzione a prezzi determinati con lo scopo di
combinarli in un prodotto da vendersi a un prezzo non esattamente determinabile
al momento della combinazione dei fattori. Su questa stessa strada un passo
avanti fu fatto da J.B. Say (1767-1832) che per primo assegnò
all'imprenditore, distinto dal capitalista, un posto ben definito nel processo
economico. Egli definì l'imprenditore come quel particolare agente
produttivo la cui funzione consiste nell'acquistare i servizi di tutti gli altri
agenti per combinarli in un processo produttivo che dia luogo a un prodotto
possibilmente di valore maggiore rispetto alla somma dei valori di quei servizi.
Dopo Say, tuttavia, la nozione di imprenditore tese a confondersi con quella di
capitalista, soprattutto negli economisti inglesi. Infatti, l'identificazione
tra capitalista e imprenditore è tipica della scuola classica inglese, e
ciò in parte si spiega con le particolari condizioni storico-economiche
del secolo scorso. Nella maggior parte dei casi, il possesso del capitale era
infatti la condizione-base per poter svolgere attività imprenditoriale,
così che la compresenza nella stessa persona delle funzioni di
imprenditore e di capitalista costituiva la norma. Così Ricardo e gli
economisti ricardiani in genere non tennero in alcun conto il suggerimento di
Say ed esclusero la figura dell'imprenditore. Per essi, come anche per Marx, il
processo economico funziona sostanzialmente da solo e l'unica cosa necessaria
per farlo funzionare è un'adeguata disponibilità di capitale. J.
Stuart Mill si distaccò dalla tradizione classica facendo esplicito
riferimento all'imprenditore, ma anche in lui la nozione di imprenditore tende a
confondersi con quella del capitalista o con quella del dirigente aziendale
(
manager o
businessman). La mancata distinzione fra funzione
imprenditoriale e dirigenza aziendale si ritrova in A. Marshall e negli altri
economisti neoclassici sino a quando Schumpeter non introdusse organicamente nel
corpo della teoria economica la nozione di
i. e di imprenditore. Per
i. si intende l'introduzione di una innovazione nel sistema economico e
per imprenditore colui che introduce tale innovazione. Secondo Schumpeter, nel
concetto di innovazione rientrano: 1) l'introduzione di un bene nuovo; 2)
l'introduzione di un nuovo metodo di produzione che può consistere anche
in un modo nuovo di trattare commercialmente un prodotto; 3) l'apertura di un
nuovo mercato; 4) la conquista di una fonte d'offerta di materie prime e di
semi-lavorati; 5) l'attuazione di nuovi tipi di organizzazione di una certa
industria. La presenza di attività imprenditoriale costituisce la
caratteristica essenziale di un'economia in sviluppo e si distingue dallo stato
stazionario in cui tutta l'attività economica si svolge lungo linee
immutabili, pur avendosi combinazioni di fattori produttivi. Pertanto, nello
stato stazionario, l'imprenditore in quanto tale non esiste. Infatti, in tale
stato, il processo produttivo si basa su un lavoro di routine e il compito di
eseguire tale lavoro è quello di cui sono incaricati propriamente i
responsabili della direzione aziendale. Non sempre è possibile
individuare con facilità la linea di demarcazione tra funzione
imprenditoriale e funzione dirigente. Infatti, se nel periodo del capitalismo
concorrenziale è facile localizzare l'attività imprenditoriale nei
capi delle aziende, dato che nella maggior parte dei casi essi ne sono anche i
proprietari, successivamente tale localizzazione diventa più difficile.
Ciò in quanto, nelle grandi aziende che caratterizzano il capitalismo
contemporaneo, gli atti che distinguono la funzione imprenditoriale possono
essere compiuti sia dai membri del consiglio d'amministrazione, sia dai tecnici
aziendali, oppure da qualche azionista o gruppi di azionisti. Va inoltre
rilevato che, per quanto la definizione di
i. o di imprenditore sia tale
da consentire l'estensione del concetto a qualsiasi sistema economico, tuttavia
nella nozione proposta da Schumpeter si tratta essenzialmente
dell'attività propria di una particolare fase del sistema capitalistico.
Infatti, con lo sviluppo successivo di tale sistema viene a cadere la funzione
stessa dell'imprenditore. Ciò in quanto, con lo sviluppo di unità
aziendali di sempre maggiori dimensioni, la figura dell'imprenditore tende a
scomparire e lo stesso processo di introduzione delle innovazioni diventa sempre
più automatico e impersonale. Questa fine dell'imprenditore rappresenta
una minaccia per l'esistenza stessa della borghesia capitalistica. Osserva
infatti Schumpeter che, per quanto all'inizio della loro carriera gli
imprenditori "non appartengono necessariamente alla classe borghese, tuttavia
essi entrano a farne parte in caso di successo... I redditi di cui la classe
vive e la posizione sociale di cui essa gode derivano dal successo di questo
settore... Economicamente e socialmente, direttamente e indirettamente, la
borghesia dipende perciò dall'imprenditore e, come classe, vive e muore
con esso, sebbene possa aver luogo una fase transitoria più o meno lunga,
così come in effetti avvenne per la civiltà feudale". Allo stato
attuale del sistema capitalistico, l'attività imprenditoriale basata
sull'iniziativa di singoli individui si è andata progressivamente
indebolendo con l'aumentare delle dimensioni delle unità aziendali, e la
borghesia industriale tende sempre più a indirizzarsi verso il
consolidamento delle posizioni raggiunte, così che anche il reddito
d'
i. tende sempre più ad assumere le caratteristiche della
rendita. L'economia moderna, caratterizzata da un continuo progresso tecnico, ha
favorito l'affermarsi di
i. di sempre maggiori dimensioni e il formarsi
di gruppi aziendali con notevoli partecipazioni azionarie. Si è
così sviluppata la concentrazione aziendale, sia mediante la fusione di
più società, sia attraverso la concentrazione di gruppo. Si
è andato inoltre sviluppando il cosiddetto "controllo minoritario", ossia
la possibilità di esercitare l'effettivo controllo di una società
mediante il possesso di un'aliquota minoritaria del suo capitale sociale. In
tale contesto si è sviluppata la holding. Altre forme di concentrazione
avvengono attraverso i cosiddetti
cartelli in cui le
i., pur
conservando la loro autonomia, si accordano su alcune questioni relative ai
prezzi, al volume della produzione e alle zone controllate dalle singole
i. Esistono poi altre forme di accordo tra le varie
i. per il
controllo del mercato e la cessazione della concorrenza tra loro. ║
I.
pubblica:
i. di varia natura, gestita dallo Stato o da altri enti
pubblici: comuni, province, regioni. In genere le
i. pubbliche forniscono
servizi dietro domanda individuale e in corrispettivo di un prezzo prestabilito,
tale da coprire i costi di produzione e di gestione e da consentire anche un
margine di guadagno. Il diffondersi e l'ampliarsi dell'intervento pubblico nella
gestione di attività imprenditoriali anche in regimi che non si
richiamano al socialismo, rappresenta uno dei fenomeni più caratteristici
della nostra epoca. Infatti è in atto, in molti paesi, uno sviluppo delle
i. pubbliche, sia gestite dallo Stato (ferrovie, telefoni, ecc.), sia da
enti locali (
i. elettriche, gas e acqua, trasporti urbani ed extraurbani,
ecc.). Crescente è inoltre l'intervento pubblico in settori
essenzialmente produttivi, così che per l'Italia come per vari altri
paesi occidentali la via dello sviluppo viene oggi ricercata in un sistema non
interamente privato, né interamente statale, ossia misto. Diverso da
questi paesi, in cui in genere le
i. pubbliche godono di larga autonomia,
è il caso dei paesi di recente indipendenza e in via di sviluppo. In
essi, infatti, l'esercizio del controllo sociale è più rigido,
tenuto anche conto che gran parte del capitale necessario allo sviluppo proviene
dall'estero, sotto forma di aiuti e prestiti controllati dallo Stato.
Così, in vari paesi africani e asiatici, le
i. di proprietà
pubblica non godono in genere di autonomia, ma sono sottoposte al diretto
controllo parlamentare. Lo sviluppo delle
i. pubbliche si è
particolarmente accentuato negli ultimi decenni in conseguenza di
nazionalizzazioni attuate in parte per volontà politica e in parte per
l'esigenza di operare salvataggi di industrie pericolanti. Per quanto sia molto
importante anche l'aspetto dell'attività finanziaria svolta mediante la
gestione di
i. pubbliche, dato che quando tali
i. hanno un avanzo
di esercizio esso va a far parte dell'entrata corrente degli enti pubblici,
assai più importante è il significato che assumono i criteri di
gestione delle
i. pubbliche rispetto a quelle del settore privato. Le
i. pubbliche mirano infatti soprattutto alla buona distribuzione e alla
diffusione di servizi di utilità generale, differenziandosi quindi
nettamente da quelle private che mirano al conseguimento dei margini più
larghi di utilità. Pertanto, mediante l'esercizio pubblico, si conseguono
politiche di produzione e di prezzi assai diverse da quelle che sarebbero
seguite dagli imprenditori privati, per cui si attua un'alterazione quantitativa
delle risorse impiegate nella produzione e nei criteri di ripartizione dei
risultati della produzione tra la collettività, quindi, nella
distribuzione del reddito nazionale. Inoltre in un'economia mista, lo Stato
può utilmente manovrare alcuni prezzi per indirizzare la domanda nel
senso più conforme allo sviluppo. Tradizionalmente, la circostanza
più frequente per giustificare l'esercizio di un'
i. pubblica era
quella in cui l'
i. veniva a trovarsi in una situazione di gestione
monopolistica, come nel caso delle ferrovie. In tali circostanze si riconosceva
che, per evitare lo sfruttamento monopolistico a danno dei consumatori, si
potesse richiedere il subentro dell'esercizio pubblico a quello privato, per
quanto i liberisti più tenaci sostenessero che risultati migliori si
sarebbero potuti ottenere sottoponendo a controllo pubblico l'esercizio privato.
Ma vari altri, oltre al caso del monopolio, sono gli elementi che hanno giocato
e giocano a favore dell'allargamento del campo d'azione dell'
i. pubblica
e, primo fra tutti, quello di intendere tali
i. come servizi di interesse
pubblico. Pertanto, gli argomenti a favore sono di carattere politico-sociale e
sono invocati in numerose circostanze, ossia ogniqualvolta si scoprono nuovi
esempi di divario tra il calcolo economico collettivo e il calcolo economico
privato. Tuttavia, nonostante l'estendersi e il diversificarsi
dell'attività imprenditoriale dello Stato, l'intervento pubblico,
anziché ascriversi in una coerente linea di pensiero, ha assunto nel
tempo un significato diverso a seconda del prevalere di particolari orientamenti
e interessi. Da un lato, l'assunzione di attività di produzione da parte
dello Stato ha reso evidente la necessità di creare speciali organismi
pubblici dotati di un'ampia autonomia, dato che l'
i. pubblica sta sempre
più dimostrando il proprio carattere di strumento fondamentale per lo
sviluppo tecnologico e sociale. Dall'altro lato, appare altrettanto necessario
rendere presente nelle attività di questi organismi pubblici autonomi i
fini che lo Stato persegue. Se ciò venisse a mancare, l'
i.
pubblica tenderebbe, in quanto
i. ossia per la sua stessa natura logica
interna, a non distinguersi da quella privata. In tal caso, il rapporto tra essa
e lo Stato sarebbe di tipo puramente proprietario, mentre il potere effettivo
sarebbe esercitato dai gruppi di manager dell'azienda, ossia da quella che il
Galbraith chiama la tecnostruttura, senza tener conto degli obiettivi
determinati dallo Stato, per assicurare uno sviluppo economico programmato e il
bene della collettività. Pertanto, da varie parti si insiste
affinché l'
i. pubblica sia posta nella condizione di perseguire
fini "pubblici", pur operando in un'economia di mercato. L'
i. pubblica ha
quindi una duplice funzione. Da un lato, una funzione antimonopolistica (nei
confronti del capitale privato); dall'altro una funzione di utilità
pubblica che fa di essa lo strumento per l'attuazione di riforme di struttura.
Di qui la necessità di dotarla di privilegi che la compensino degli oneri
economici che deve sostenere per attuare i fini pubblici, così da
consentirle, soprattutto quando si tratta di un'
i. che opera nel settore
produttivo, di agire efficacemente sul mercato, sia nazionale che
internazionale. L'
i. pubblica deve infatti operare con criteri di
economicità, ossia di massima efficienza anche finanziaria, per quanto la
valutazione della sua efficienza non si possa basare tanto sull'aspetto
contabile, quanto sulla corrispondenza tra
i. e obiettivi della politica
economica. Pertanto, al di là dell'accertato processo di intensificazione
dell'intervento pubblico nelle economie capitalistiche, tale intervento pubblico
può assumere direzioni diverse e opposte: verso situazioni che
favoriscono la distruzione del capitale stesso o verso situazioni che portano a
un rafforzamento del capitale.