Quota parte della ricchezza privata che lo Stato preleva coattivamente per fare
fronte alle spese necessarie per il mantenimento dei pubblici servizi
indivisibili e per la soddisfazione di altri pubblici bisogni. • Encicl. -
Nel diritto romano era l'antico
tributum, che veniva imposto di volta in
volta, quando se ne fosse presentata la necessità. Tale imposizione
straordinaria tese a trasformarsi in ordinaria prima del 167 a.C. quando, in
seguito ai proventi della terza guerra macedonica, il tributo cessò di
essere esatto in Roma per più di un secolo, e continuò a gravare
di regola soltanto sui sudditi delle province. Per quanto riguarda l'imposizione
e la ripartizione tributaria, i cittadini venivano distribuiti nelle cinque
classi della costituzione serviana, in base alle risultanze del censimento della
popolazione. La pratica dell'imposizione del tributo, e di conseguenza delle
rilevazioni censuali, è continuata nelle province, dove si è
cominciato a distinguere tra un
tributum soli, gravante direttamente
sulla proprietà terriera, e un
tributum capitis, considerato come
un tributo gravante su altre forme di proprietà. A cominciare
dall'età di Augusto, si estesero per tutto l'Impero regolari rilevazioni
catastali, aventi lo scopo di accertare l'estensione delle proprietà
sulle quali gravava il tributo stesso. Per la ripartizione e l'esazione del
tributo venivano compiuti nelle province, a partire da Augusto, regolari
censimenti. Una parte sempre più considerevole delle entrate dello Stato
derivava da
i. indirette. ║ Ai giorni nostri gli sviluppi della
teoria dell'economia del benessere da un lato e della teoria generale del
reddito nazionale e dell'occupazione di Keynes dall'altro, hanno portato
notevoli mutamenti nella considerazione del problema economico dell'
i.
Gli sviluppi della teoria dell'economia del benessere ci consentono di dare una
definizione economica più ampia delle
i. Esse possono essere
definite generalmente come i prelievi coattivi in denaro o in natura che l'ente
pubblico (federale, statale, locale) raccoglie per realizzare i suoi scopi nel
campo della produzione e della distribuzione del reddito nazionale. Ogni
i., rispetto al proprio imponibile, può essere proporzionale,
progressiva o regressiva: ma questo andamento non ne comporta necessariamente
uno dello stesso genere (ossia, rispettivamente, del genere proporzionale o di
quello progressivo o di quello regressivo) rispetto al reddito netto.
Così l'
i. proporzionale sui patrimoni è probabilmente
progressiva rispetto al reddito netto di tutti i cittadini, poiché si
può presumere che, in media e salvo eccezioni, la quota di redditi di
capitale sul reddito totale del singolo cittadino cresca al crescere del suo
reddito complessivo. Un'
i. generale proporzionale sulle spese per consumi
invece è, con tutta probabilità, regressiva rispetto al reddito,
per il fatto che la quota del reddito spesa per i consumi generalmente
diminuisce all'aumentare del reddito globale del singolo (mentre, inversamente,
cresce la quota dei risparmi). Un'
i. proporzionale sui consumi secondari,
ossia su quelli che corrispondono ai bisogni diversi da quelli base,
probabilmente è meno regressiva (e forse è, per un certo tratto,
persino progressiva) rispetto ai redditi che non un'
i. sui consumi
primari delle classi popolari. Questi rilievi possono servire per inquadrare il
significato distributivo del problema
i. dirette -
i. indirette.
Alcuni economisti hanno distinto le
i. in dirette e indirette badando al
fenomeno della traslazione: dirette, da questo punto di vista, sono le
i.
il cui onere economico cade principalmente sul contribuente di diritto;
indirette quelle il cui onere cade, attraverso processi di traslazione, su
soggetti diversi dal contribuente di diritto e quindi raggiungono il vero
contribuente in senso economico indirettamente, dopo essere andate a colpirne
altri. Alcuni economisti poi hanno indicato come dirette le
i. sul
reddito e sul patrimonio, considerando questi come indici diretti di
capacità contributiva, e come indirette tutte le altre
i. (sui
consumi, sugli scambi) in quanto colpiscono fenomeni che appaiono solo indici
diretti di capacità contributiva. Altri economisti infine si limitano a
denominare come dirette le
i. sul reddito e sul patrimonio e come
indirette tutte le altre, senza la pretesa di volere collegare questa
nomenclatura a una spiegazione rigida, predeterminata. Le
i. dirette
risultano, nel complesso, maggiormente rispondenti a criteri di
progressività sul reddito delle altre: i tributi patrimoniali infatti,
anche se hanno aliquote proporzionali, sono generalmente progressivi sul
reddito; i tributi sul reddito negli Stati contemporanei non hanno mai aliquote
regressive, di solito sono proporzionali e, più spesso, progressivi
(fatte salve però le evasioni che possono deformare la ripartizione del
tributo per le vere classi di redditi, soprattutto quando per i dividendi ed i
guadagni di capitale la tassazione risulta più ardua che per i redditi
fissi). Considerazioni analoghe valgono anche per le
i. sui profitti
delle società. Infine va notato che fra le
i. sul patrimonio si
possono includere anche i tributi di successione che colpiscono i patrimoni al
momento della morte del loro titolare e del loro acquisto gratuito da parte dei
successori. Ora questi tributi hanno di solito aliquote progressive. La
distinzione tra
i. dirette e indirette può essere impiegata anche
per un giudizio globale sugli effetti del sistema tributario sulla domanda
globale, sul reddito nazionale, sulle fluttuazioni cicliche. Basti pensare al
fatto che le
i. progressive sui redditi incidono sui risparmi più
di quelle sui consumi e che le
i. sui consumi riducono la domanda di
consumi più delle
i. progressive sui redditi. Le
i.
indirette poi possono essere contrapposte a quelle dirette in relazione ai
diversi effetti di formulazione: le prime, salvo che siano completamente
generali ed uniformi, tendono a discriminare fra i vari consumi e le seconde nei
riguardi dell'incentivo a lavorare e, forse, a risparmiare.