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Impiego.

Maniera di utilizzare qualcosa in vista di un determinato fine. ║ Lavoro subordinato, retribuito, a carattere prevalentemente intellettuale. • Dir. - Giuridicamente si fa distinzione tra i. privato e i. pubblico. ║ I. privato: il prestatore pone al servizio dell'impresa o di un'altra azienda un'"attività professionale con funzione di collaborazione tanto di concetto che di ordine eccettuata pertanto ogni prestazione che sia di semplice mano d'opera". I. è l'attività continuativa e principale del prestatore durante il periodo in cui egli è al servizio altrui. Non sarebbe quindi ammessa la coesistenza di più i. in uno stesso prestatore. Difficile è stabilire quale sia propriamente il criterio caratteristico dell'i. e distintivo dello stesso dal lavoro operaio. La legge infatti si richiama tanto all'elemento della collaborazione, quanto a quello della natura dell'attività prestata, escludendo dall'ambito dell'i. la prestazione della semplice mano d'opera. Ad avviso di alcuni il criterio andrebbe ricercato nella natura delle energie occorrenti per il lavoro: il lavoro manuale sarebbe lavoro operaio; il lavoro intellettuale e tecnico costituirebbe i. Che di regola ciò sia vero è da ammettere, ma varie obiezioni impediscono l'accoglimento di un criterio di identificazione delle due specie di lavoro così stabilito. Sulla base dell'art. 1 della legge speciale, il criterio più largamente accolto dalla dottrina e seguito dalla giurisprudenza in Italia è, pertanto, quello della collaborazione, che sembra infatti il momento preponderante della nozione stabilita dalla legge. È impiegato chi collabora all'impresa; è operaio chi, lavorando nell'impresa, non collabora ad essa. Gli impiegati si distinguono, nell'ambito della categoria, per la qualifica loro attribuita. In concreto, essa indica la specifica posizione che al prestatore di lavoro viene attribuita in dipendenza delle mansioni alle quali risulta idoneo o che gli sono di fatto affidate e quindi la disciplina applicabile al prestatore in quanto collegata a quella posizione. Gli impiegati sono distinti in tre gruppi: a) gli institori, i procuratori, i rappresentanti a stipendio fisso o non esercenti esclusivamente in proprio, i commessi amministrativi e gli impiegati di grado e funzione equivalenti; b) i commessi viaggiatori, i direttori o capi di speciali servizi e, secondo quella che è la formula finale adottata dalla legge stessa, gli impiegati di concetto; c) i commessi di studio e di negozio, gli assistenti tecnici e gli altri impiegati di grado comune. Fra gli impiegati del primo gruppo assumono particolare rilievo quelli cui in massima spettano funzioni direttive e che la pratica e il Codice Civile chiamano dirigenti. L'art. 2.095 Cod. Civ., facendo dei dirigenti una categoria autonoma, distinta dagli impiegati, ha fatto sorgere numerosi dubbi circa l'applicabilità agli stessi delle norme in genere previste per gli impiegati. Malgrado la dizione del Codice, deve ritenersi che i dirigenti continuino ad appartenere alla categoria degli impiegati. Si tratta in effetti di lavoratori qualificati dalla loro posizione direttiva e cioè dalla speciale posizione gerarchica che occupano nell'impresa e per i quali è previsto a volte un trattamento diverso da quello usato per gli altri impiegati. Gli impiegati in senso stretto si distinguono in due gruppi. Il primo è costituito dagli impiegati di concetto, così qualificati per l'attività lavorativa che svolgono, prevalentemente di natura intellettuale originale, di grado però meno elevata di quella dei dirigenti. Di solito questi impiegati, sebbene subordinati all'imprenditore e gerarchicamente sottordinati ai dirigenti, godono di una certa iniziativa, per cui possono svolgere le loro mansioni secondo personali criteri e con la relativa responsabilità. Il secondo gruppo è costituito dagli impiegati d'ordine, la cui attività intellettuale è di mera applicazione. Essi sono privi di qualsiasi autonomia e discrezionalità di decisione rispetto alle mansioni loro affidate. Gli aumenti periodici di anzianità, introdotti dapprima nel rapporto di pubblico i., sono stati estesi, nell'ultimo dopoguerra, all'i. privato attraverso la contrattazione collettiva. Trattasi di aumenti periodici ed in percentuale della retribuzione, in funzione dell'aumento dell'anzianità di servizio, che consentono un costante adeguamento del trattamento economico al miglioramento qualitativo delle prestazioni lavorative dovuto alla maggiore esperienza acquisita dal dipendente. La disciplina contrattuale, sebbene varia da settore a settore di attività per quanto concerne sia il numero degli aumenti periodici (da un minimo di cinque a un massimo di dodici), sia la misura dell'aumento (di solito il 4% o il 5%) sia il periodo di anzianità utile per ogni scatto (normalmente due anni, più raramente tre), presenta una certa uniformità. La normativa vigente è stata profondamente riformata dalla Legge 20/5/70 detta "Statuto dei Lavoratori" (V.), che ha posto nuove regole specie in materia di collocamento e di interruzione del rapporto di lavoro nelle aziende private: per cui si può dire che oggi, diversamente che nel passato, il nostro ordinamento assicura in modo efficace la stabilità del posto di lavoro, grazie anche all'orientamento giurisprudenziale prevalente in questo campo, dopo la riforma processuale del 1973 che ha drasticamente abbreviato la durata delle cause di lavoro, con pronta ripresa in servizio. Connesso in un certo modo con il problema della stabilità, è quello relativo all'esistenza o meno di un diritto dell'impiegato allo sviluppo di una carriera. Il silenzio della legge sull'i. privato e del Codice Civile in tema di avanzamenti e promozioni impedisce di riconoscere in genere all'impiegato nulla di più che una mera aspettativa per quanto riguarda il miglioramento della propria posizione. La tutela previdenziale predisposta a favore degli impiegati era originariamente più limitata che non quella degli operai. Attualmente gli impiegati sono obbligatoriamente assicurati contro l'invalidità, la vecchiaia, la tubercolosi e la disoccupazione, indipendentemente dall'ammontare della loro retribuzione. ║ I. pubblico: "rapporto giuridico in forza del quale un privato pone volontariamente la propria attività, in modo professionale e con retribuzione, al servizio di un ente pubblico per l'attuazione dei suoi fini istituzionali, assumendo particolari diritti e doveri". Presupposto essenziale è in primo luogo la qualità di ente pubblico del datore di lavoro. La natura pubblica dell'ente (Stato o ente pubblico minore) si riflette sulla disciplina pubblicistica del rapporto, nel quale l'ente datore di lavoro non si trova in una posizione di parità col dipendente, ma in una posizione di supremazia. In contrapposto il soggetto passivo deve essere necessariamente una persona fisica per il carattere strettamente personale, non trasferibile, della prestazione; una società, una persona giuridica in genere potrà stabilire con l'ente pubblico altri rapporti (appalto, concessione, ecc.) ma non rapporto di i. Elementi essenziali del rapporto sono la prestazione di attività da parte del soggetto passivo e la retribuzione corrisposta dall'ente pubblico. La prestazione dell'attività deve essere in correlazione con i fini istituzionali dell'ente, essere prestata con vincolo di subordinazione, avere carattere professionale. Il contenuto e la natura di questa attività è irrilevante, purché essa sia rivolta direttamente o indirettamente al raggiungimento dei fini propri dell'ente: essa può consistere tanto in un'attività intellettuale, quanto in un'attività materiale o manuale, può concernere l'esercizio di una pubblica funzione o di un pubblico servizio o anche di diritti privati (ad esempio l'amministrazione di beni patrimoniali, la direzione di aziende industriali o agricole pertinenti all'ente, ecc.). La subordinazione gerarchica e disciplinare dall'ente costituisce l'elemento che contraddistingue il rapporto di i. dall'incarico professionale: non si può cooperare ai fini che l'ente stesso si propone se non stando di regola alle dipendenze dei rispettivi capi. Professionalità della prestazione significa che essa deve costituire la principale attività del soggetto passivo, l'attività che in concreto caratterizza economicamente e socialmente, anche nei casi in cui non ne è l'attività esclusiva. L'impiegato non viene assunto per una prestazione singola e determinata (nel qual caso ad esempio si avrà una prestazione d'opera o un incarico professionale), ma per una prestazione di attività in modo continuativo a tempo indeterminato, o quanto meno di apprezzabile durata; così da entrare a far parte dell'organizzazione amministrativa dell'ente. La corresponsione rappresenta il corrispettivo principale che l'ente pubblico dà all'impiegato in rimunerazione dell'opera prestata. Essa assume normalmente la forma di stipendio e cioè di una somma predeterminata in denaro, computata ad anno e corrisposta periodicamente a rate posticipate e in misura invariabile. In conclusione, i caratteri principali del rapporto di i. pubblico possono essere così schematizzati e riassunti: è un rapporto a carattere pubblicistico disciplinato dal diritto pubblico; i diritti e i doveri che ne costituiscono il contenuto sono sottratti a pattuizione e risultano quasi esclusivamente fissati da norme di diritto obiettivo che, facendo parte del diritto pubblico, sono inderogabili; è un rapporto volontario in quanto è per sua volontà e di sua iniziativa che l'impiegato pone la propria attività a disposizione della pubblica amministrazione; è un rapporto strettamente personale perché creato intuitu personae; è un rapporto bilaterale in quanto crea diritti ed obblighi sia a carico dell'ente pubblico sia dell'impiegato. Il rapporto di pubblico i. è disciplinato in parte da disposizioni legislative, in parte da norme regolamentari, generali o speciali e per gli enti pubblici economici anche da contratti collettivi di lavoro. I requisiti richiesti per poter accedere ad un pubblico i. sogliono essere distinti in generali e speciali o particolari. I requisiti generali riguardano la stessa capacità giuridica degli aspiranti e sono richiesti per qualunque tipo di i.; i requisiti particolari riflettono invece le particolari condizioni fisiche, specificamente menzionate per l'assunzione in un pubblico i. Il sesso è di regola indifferente per gli i. civili. In seguito alla L. 17-VII-1919, n. 1176, le donne, come regola generale, furono ammesse a pari titolo degli uomini a coprire tutti gli i. ed uffici pubblici, esclusi, soltanto se non vi fossero ammesse espressamente dalla legge, quelli che implicavano poteri pubblici giurisdizionali o l'esercizio di diritti e di potestà politiche o che attenevano alla difesa militare dello Stato (art. 7). L'art. 51 della Costituzione è stato ritenuto di carattere programmatico e non avente come tale efficacia di abrogare le disposizioni di legge e di regolamento, che limitano l'assunzione delle donne. È quindi tuttora in vigore il Regolamento 4-1-1920, n. 39, emanato per l'attuazione dell'art. 7 citato: si e però ritenuto che l'art. 51 della Costituzione abbia fatto cadere quelle disposizioni precedenti che lasciavano ai ministri la facoltà discrezionale di ammettere o di escludere le donne dai pubblici concorsi o di limitarne il numero. La regola per gli i. pubblici è che l'assunzione venga fatta attraverso un particolare procedimento di selezione, detto pubblico concorso, che permette la scelta dei più idonei e conseguentemente, almeno si presume, dei più utili all'Amministrazione. A tale risultato si perviene mediante un esame comparativo della cultura e delle attitudini dei vari aspiranti all'i., esame che viene compiuto con particolari garanzie allo scopo di assicurarne l'obiettività. La nomina in servizio richiede l'emanazione di un atto formale che per gli impiegati governativi promana di regola dal ministro. L'atto di nomina, come qualsiasi provvedimento amministrativo, è suscettibile di annullamento di ufficio, quando sia inficiato da un vizio di legittimità. Occorre avvertire che la nomina così disposta non è, di regola, definitiva, ma in prova. Al termine del periodo di prova l'impiegato consegue la nomina in ruolo con decreto del ministro, previo giudizio favorevole del consiglio di amministrazione. Il contenuto giuridico del rapporto, come si è detto sopra, si manifesta con una serie di diritti e di doveri reciproci e sottratti alla libera pattuizione delle parti. Possono elencarsi i seguenti doveri: di fedeltà, di diligenza, di esclusività delle prestazioni, del segreto di ufficio, di buona condotta, di obbedienza. Il dovere fondamentale è quello della fedeltà e impone all'impiegato di svolgere la propria attività esclusivamente nell'interesse dell'amministrazione cui appartiene, per il migliore conseguimento dei suoi fini evitando ad essa ogni danno o pericolo, mentre gli fa in pari tempo implicito divieto di curare presso l'amministrazione stessa interessi propri o di terzi. Secondo dovere è quello della diligenza. Indubbiamente non è facile definirne il concetto, in quanto tale dovere praticamente include tutta una serie di obblighi minori che nel concetto fondamentale sono inclusi. Si può dire però che esso richiede all'impiegato scrupolosità nell'adempimento di ogni dovere e attenzione nell'esercizio delle proprie funzioni, in grado pari, se non maggiore, a quello che la dottrina privatistica richiede per il buon padre di famiglia. L'obbligo della diligenza implica quello della residenza nel luogo ove ha sede l'ufficio, salvo per gli impiegati i quali siano autorizzati, per rilevanti ragioni, a risiedere in luogo prossimo. Per gli impiegati che hanno un orario d'ufficio il dovere della diligenza richiede l'osservanza dell'orario; per gli altri di fare tutto ciò che è necessario per l'espletamento delle proprie mansioni, indipendentemente da limiti di tempo; per tutti non basta la materiale presenza, ma occorre l'interessamento fattivo nello svolgimento delle proprie incombenze. Il dovere di mantenere il segreto di ufficio implica l'obbligo di non divulgare notizie o informazioni di cui l'impiegato è venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio. Tale obbligo acquista particolare rilievo per talune categorie di impiegati civili o militari che trattano i più delicati affari interessanti la difesa e la sicurezza dello Stato, ma si estende in genere ad ogni categoria di dipendenti da enti pubblici dato che talora l'obbligo del segreto è posto dal legislatore per salvaguardare legittimi interessi di terzi, come nel servizio postale, telegrafico e telefonico. Altro dovere è quello della buona condotta e cioè di mantenere un comportamento conforme alla dignità delle proprie funzioni, in modo che il requisito della buona condotta richiesto all'atto della nomina permanga durante tutto il periodo del rapporto di i. L'obbligo di tenere buona condotta riguarda non solo il comportamento in ufficio e durante il servizio, ma anche quello fuori servizio, nella vita privata, e la condotta morale deve essere tanto più perfetta e rigorosa, evitando ogni motivo che possa essere origine di scandalo e di maldicenza, che non può non portare discredito anche all'amministrazione quanto più elevata è la qualifica dell'impiegato. Il dovere di obbedienza, infine, si fonda sul vincolo di subordinazione che lega l'inferiore al superiore e si estrinseca nell'obbligo di eseguire gli ordini che siano impartiti dal superiore gerarchico, sia con istruzioni generali, sia con ordini particolari relativamente alle proprie mansioni o funzioni. In dottrina si è ampiamente discusso sul contenuto e sui limiti di questo dovere. Fra le varie opinioni espresse in proposito, lo statuto degli impiegati civili dello Stato ha accolto la teoria detta della "rimostranza": l'impiegato a cui sia impartito un ordine che egli ritenga palesemente illegittimo, deve farne rimostranza allo stesso superiore indicandone le ragioni; se l'ordine è rinnovato per iscritto deve darvi esecuzione. L'illegittimità deve però essere palese: la rimostranza non è quindi ammessa per quegli ordini la cui legalità appare dubbia. La pubblica amministrazione, ancor di più di come avviene nell'i. privato, non può risolvere il rapporto di i. relativo al personale di ruolo ogniqualvolta lo ritenga opportuno o conveniente, ma può farlo cessare solo per le cause previste dalla legge. Tra i provvedimenti più recenti riguardanti l'i. pubblico, l'istituzione della carriera dirigenziale e l'eliminazione della classificazione secondo carriere sostituita da "qualifiche funzionali" corrispondenti a livelli retributivi. È stata varata una legge-quadro (n° 93 del 29 marzo 1983) cui debbono attenersi le amministrazioni pubbliche e, fatto importantissimo, la determinazione del trattamento economico viene contrattata tra amministrazione e rappresentanti sindacali dei dipendenti dei vari "comparti" della pubblica amministrazione.