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Hodgskin, Thomas.

Economista e pensatore politico inglese. Economista antiricardiano, rappresentò una fase nuova nello sviluppo delle dottrine economiche anticapitaliste, non proponendo più soluzioni di tipo agrario, ma industriali. Espose le proprie idee, oltre che in numerosi saggi, nelle conferenze che tenne all'Istituto di Meccanica di Londra, di cui fu uno dei fondatori nel 1823. Convinto fautore dell'educazione operaia, si trovò presto impegnato nelle lotte che divisero coloro che consideravano gli istituti di meccanica come centri per educare gli operai alla lotta contro il capitalismo e coloro secondo i quali l'educazione operaia doveva avere essenzialmente lo scopo di migliorare la qualità tecnica del lavoro, considerando non divergenti, ma comuni, gli interessi del capitale e del lavoro. H. e i suoi amici uscirono dalla lotta sconfitti, non disponendo degli appoggi finanziari su cui potevano contare i seguaci dell'economia classica, e persero il controllo degli istituti di meccanica. Quello londinese, di cui aveva promosso la fondazione, si trasformò nel Bitkbeck College, entrando poi a far parte dell'università di Londra. Egli riuscì tuttavia a conservare un incarico come professore e la sua opera più famosa, Popular Political Economy (1827), si basò sui corsi da lui tenuti all'Istituto. In questa e in altre opere, egli espose con notevole efficacia una teoria del lavoro, in netta opposizione all'economia ricardiana. Si trattava di una dottrina della lotta di classe, secondo cui il lavoratore, pur essendo l'unico produttore di valore nel sistema capitalistico, deve subire il rigore di una ferrea legge che mantiene il suo salario al livello di sussistenza. I benefici dell'incremento della produzione vanno al proprietario fondiario e al capitalista. I lavoratori dovrebbero ricavare l'intero prodotto del loro lavoro e le loro quote individuali dovrebbero essere stabilite attraverso un libero mercato senza nessun monopolio capitalista che si appropri di tutto quanto eccede il loro fabbisogno di pura sussistenza. Assai più vicino a posizioni anarchiche che socialiste, egli si dichiarava favorevole al mantenimento della proprietà privata, purché basata su un regime di concorrenza totalmente libera. Dal punto di vista filosofico riconosceva l'esistenza di una "legge naturale di proprietà " e negava che la politica potesse dare una risposta valida ai problemi economici, essendo le condizioni economiche a determinare l'evoluzione politica e non viceversa. Inoltre confidava nella forza del movimento sindacale per organizzare la resistenza delle classi lavoratrici allo sfruttamento capitalista. Col passare degli anni, il suo fervore radicale andò diminuendo, tanto da diventare editorialista dell'"Economist", organo delle dottrine liberiste (1783-1869).