Stats Tweet

Hobbes, Thomas.

Filosofo inglese. Costretto a lasciare gli studi accademici e a diventare precettore, al seguito del conte di Devonshire, viaggiò a lungo e soggiornò in Francia e in Italia. Il contatto con la cultura francese favorì il suo orientamento in senso razionalistico. Al suo pensiero, cui l'unità e il rigore dell'impostazione conferiscono le caratteristiche del sistema, sono maggiormente interessati gli studiosi delle dottrine politiche che non gli storici della filosofia. In esso l'empirismo di Bacone si risolve in un materialismo rigoroso, mentre l'interpretazione meccanicistica, circoscritta da Cartesio entro l'ambito del mondo fisico, si estende alle strutture di tutta la realtà. Per quanto si fosse dedicato tardi allo studio della matematica e della fisica e senza giungere mai ad acquistarne una perfetta padronanza, egli capì pienamente il fine al quale tendeva la nuova scienza della natura e ne fece il centro del suo sistema filosofico che egli distinse in tre parti: la prima, fisica, deve trattare del corpo (matematica e geometria); la seconda, occuparsi della fisiologia e della psicologia degli individui; la terza e ultima, occuparsi del complesso di tutti i corpi, ossia di quel corpo "artificiale" che è la società o Stato. La filosofia di H. intendeva quindi assimilare la psicologia e la politica alle scienze fisiche esatte. Primo problema di H. fu di enunciare la legge della condotta umana e di formulare le condizioni che permettono la costituzione di una società stabile. Secondo i suoi principi materialistici, una sostanza spirituale è impensabile: l'esistente si risolve nelle due nozioni fondamentali di estensione corporea e di movimento. Le scienze, dalla matematica alla morale e alla politica, producono tutti gli aspetti dell'essere, ossia la vita, la sensibilità, l'intelligenza, la moralità, le relazioni sociali, ecc., in rapporti quantitativi e in conflitti di forze. La ragione, che fissa in termini generali convenzionali (nominalismo) i risultati dell'esperienza, esaurisce il compito in questa sistemazione fisico-matematica, da cui è assente qualsiasi giudizio di valore. Il bene, come fine universale, è un puro nome: in realtà come non esiste se non il singolo quale complesso di bisogni particolari e concreti, così non esiste se non il piacere personale. Ogni individuo è naturalmente e amoralmente egoista: la sua attività è orientata esclusivamente verso il suo benessere; le cosiddette virtù sono soltanto forme di egoismo dissimulato, mezzi ipocriti per un fine inequivocabilmente utilitaristico. Nessuna unità può essere invocata a superare le gravi conseguenze di questo atomismo umano: nello stato di natura l'uomo è lupo per l'uomo; le sconfinate libertà dei singoli, non limitate da alcuna legge, il diritto naturale di tutti su tutto determinano un conflitto rovinoso (bellum omnium contra omnes). Ciascun essere umano è mosso soltanto da considerazioni che tocchino la sua sicurezza e il suo potere, e gli altri esseri umani valgono di conseguenza per lui soltanto in questo senso. Dato che gli individui pressappoco si equivalgono in potenza e astuzia, nessuno può essere mai sicuro, e la condizione degli uomini, finché non c'è potere civile che ne regoli la condotta, è quindi "guerra di tutti contro tutti". Tale condizione è incompatibile con ogni specie di civiltà. Per uscire da questa situazione, cioè per garantire ai singoli il loro benessere, è necessario che ciascuno rinunci, in forza di un contratto sociale, ai suoi naturali diritti. Dato che la società si fonda sulla fiducia reciproca, ma gli uomini sono tendenzialmente asociali, non si può sperare che essi si accordino spontaneamente per rispettare i diritti reciproci. Il rispetto dei patti si può ragionevolmente sperare soltanto quando esista un governo effettivo che punisce i trasgressori: "I patti senza la forza sono soltanto parole, e non possono dare a un uomo nessuna sicurezza. I vincoli delle parole sono troppo deboli per imbrigliare l'ambizione, l'avarizia, la collera e le altre passioni degli uomini, quando non ci sia il timore di un potere coercitivo". La sicurezza dipende quindi dall'esistenza di un governo che abbia il potere di mantenere la pace e applicare le sanzioni necessarie a limitare le tendenze istintivamente asociali dell'uomo. Il vero movente dell'associazione umana è il timore della punizione e l'autorità della legge s'intende soltanto fin dove può giungere la sua capacità di colpire. Così ha origine il Leviathan, lo Stato, necessariamente assolutista, che assomma in sé, per la rinuncia dei singoli, tutti i poteri. La sua forza è il suo diritto. Esso non è impegnato alle clausole contrattuali e perciò è l'unico grande individuo naturale che sussista dopo il contratto: la sua volontà è fonte assoluta di ogni legge morale, giuridica, religiosa. L'ordine e la pace, che esso così garantisce, valgono ben più della libertà, che esso non può non distruggere. Le opere politiche di H. furono scritte in occasione delle guerre civili ed erano destinate ad appoggiare la monarchia assoluta. Tuttavia il valore effettivo delle sue opere va molto al di là della loro influenza immediata in questo senso. Infatti, la difesa dell'assolutismo monarchico costituisce una parte molto superficiale della vera filosofia politica di H. Pur essendo i suoi scritti e il suo pensiero strettamente legati alle guerre civili, esse non giustificano che in minima parte quella che è l'assai più vasta dottrina politica di H. A lui si deve infatti la formulazione di una vera scienza della politica. H. è stato il primo tra i grandi filosofi moderni a cercare di mettere la dottrina politica in stretta relazione con un sistema di pensiero moderno, che egli si sforzò di rendere tanto vasto da includervi la spiegazione scientifica di tutti i fatti naturali. Comunque, indubbia è la sua influenza anche su quei pensatori che cercarono di confutarlo. Una vera moltitudine, osserva H., non può avere dei diritti e non può agire; solo gli individui possono farlo. Dire che un corpo di uomini agisce collettivamente significa dire che alcuni individui agiscono in nome di tutto il gruppo, come suoi rappresentanti accreditati. Se non esiste una rappresentanza di questo tipo, il corpo sociale non ha un'esistenza collettiva. H. ne deduce che non è il consenso, ma l'unione che fa una corporazione, e unione significa sottomissione della volontà di tutti alla volontà di uno. Ne consegue che la società è una mera finzione, dato che, se non esiste sovrano, non esiste società. Da questa idea derivano alcune delle conclusioni più importanti di H. Ogni distinzione tra società e Stato non è che confusione e lo stesso si può dire della distinzione tra lo Stato e il suo governo. A meno che non esista un governo tangibile (individui col potere di far valere la loro volontà), non esiste Stato né società, ma soltanto una folla "senza capo". Ne deriva anche che ogni distinzione tra legge e morale è una confusione. Su questa dottrina si fonda l'assolutismo di H. per il quale non c'è scelta se non tra il potere assoluto e la completa anarchia: un corpo sociale esiste solo attraverso le sue autorità costituite e i suoi membri non hanno diritti che attraverso la delega. Tutta l'autorità sociale dev'essere concentrata nel sovrano e legge e morale sono soltanto la sua volontà e la sua autorità illimitate. Dato che il governo si fonda essenzialmente sull'esistenza del potere sovrano, ne consegue, per H., che la differenza di forma di governo consiste soltanto nel collocamento della sovranità. In ogni governo, che esso eserciti un potere denominato tirannide od oligarchia, monarchia o democrazia, ci dev'essere un potere sovrano. In ultima analisi il giudizio di H. sul governo è essenzialmente utilitario: il valore del governo consiste soltanto in ciò che esso attua. I vantaggi del governo sono tangibili ed essi debbono tornare a beneficio tangibile degli individui, in forma di pace, benessere, sicurezza della persona e degli averi. Questa è la sola ragione perché il governo può essere giustificato o esistere. Egli considera come pure finzioni, nozioni quali quelle di bene generale e volontà pubblica: sono soltanto gli individui che desiderano vivere e godere protezione per vivere. Con questa sua impostazione individualistica, H. fu un precursore delle dottrine che avrebbero dominato i due secoli successivi, in cui l'interesse personale sembrò alla grande maggioranza dei pensatori, in particolare agli utilitaristi inglesi, un movente più ovvio del disinteresse e l'egoismo illuminato un rimedio più adatto ai mali sociali di qualsiasi forma di azione collettiva. Pertanto la dottrina del potere assoluto cui si associa il nome di H. non era, per questi, altro che il completamento necessario del suo individualismo di fondo: se non esistesse un'autorità superiore alla quale è necessario prestare obbedienza, non vi sarebbe società, ma soltanto esseri umani singoli, mossi ciascuno dai propri interessi privati. Tra le opere principali citiamo: Elementi di legislazione morale e politica (1640); De cive (1642); Leviathan (1651); De corpore (1655); De homine (1658) (Malmesbury 1588 - Hardwick Hall, Derbyshire 1679).