Filosofo inglese. Costretto a lasciare gli studi accademici e a diventare
precettore, al seguito del conte di Devonshire, viaggiò a lungo e
soggiornò in Francia e in Italia. Il contatto con la cultura francese
favorì il suo orientamento in senso razionalistico. Al suo pensiero, cui
l'unità e il rigore dell'impostazione conferiscono le caratteristiche del
sistema, sono maggiormente interessati gli studiosi delle dottrine politiche che
non gli storici della filosofia. In esso l'empirismo di Bacone si risolve in un
materialismo rigoroso, mentre l'interpretazione meccanicistica, circoscritta da
Cartesio entro l'ambito del mondo fisico, si estende alle strutture di tutta la
realtà. Per quanto si fosse dedicato tardi allo studio della matematica e
della fisica e senza giungere mai ad acquistarne una perfetta padronanza, egli
capì pienamente il fine al quale tendeva la nuova scienza della natura e
ne fece il centro del suo sistema filosofico che egli distinse in tre parti: la
prima,
fisica, deve trattare del corpo (matematica e geometria); la
seconda, occuparsi della fisiologia e della psicologia degli individui; la terza
e ultima, occuparsi del complesso di tutti i corpi, ossia di quel corpo
"artificiale" che è la società o Stato. La filosofia di
H.
intendeva quindi assimilare la psicologia e la politica alle scienze fisiche
esatte. Primo problema di
H. fu di enunciare la legge della condotta
umana e di formulare le condizioni che permettono la costituzione di una
società stabile. Secondo i suoi principi materialistici, una sostanza
spirituale è impensabile: l'esistente si risolve nelle due nozioni
fondamentali di estensione corporea e di movimento. Le scienze, dalla matematica
alla morale e alla politica, producono tutti gli aspetti dell'essere, ossia la
vita, la sensibilità, l'intelligenza, la moralità, le relazioni
sociali, ecc., in rapporti quantitativi e in conflitti di forze. La ragione, che
fissa in termini generali convenzionali (nominalismo) i risultati
dell'esperienza, esaurisce il compito in questa sistemazione fisico-matematica,
da cui è assente qualsiasi giudizio di valore. Il bene, come fine
universale, è un puro nome: in realtà come non esiste se non il
singolo quale complesso di bisogni particolari e concreti, così non
esiste se non il piacere personale. Ogni individuo è naturalmente e
amoralmente egoista: la sua attività è orientata esclusivamente
verso il suo benessere; le cosiddette virtù sono soltanto forme di
egoismo dissimulato, mezzi ipocriti per un fine inequivocabilmente
utilitaristico. Nessuna unità può essere invocata a superare le
gravi conseguenze di questo atomismo umano: nello stato di natura l'uomo
è lupo per l'uomo; le sconfinate libertà dei singoli, non limitate
da alcuna legge, il diritto naturale di tutti su tutto determinano un conflitto
rovinoso (
bellum omnium contra omnes). Ciascun essere umano è
mosso soltanto da considerazioni che tocchino la sua sicurezza e il suo potere,
e gli altri esseri umani valgono di conseguenza per lui soltanto in questo
senso. Dato che gli individui pressappoco si equivalgono in potenza e astuzia,
nessuno può essere mai sicuro, e la condizione degli uomini,
finché non c'è potere civile che ne regoli la condotta, è
quindi "guerra di tutti contro tutti". Tale condizione è incompatibile
con ogni specie di civiltà. Per uscire da questa situazione, cioè
per garantire ai singoli il loro benessere, è necessario che ciascuno
rinunci, in forza di un contratto sociale, ai suoi naturali diritti. Dato che la
società si fonda sulla fiducia reciproca, ma gli uomini sono
tendenzialmente asociali, non si può sperare che essi si accordino
spontaneamente per rispettare i diritti reciproci. Il rispetto dei patti si
può ragionevolmente sperare soltanto quando esista un governo effettivo
che punisce i trasgressori: "I patti senza la forza sono soltanto parole, e non
possono dare a un uomo nessuna sicurezza. I vincoli delle parole sono troppo
deboli per imbrigliare l'ambizione, l'avarizia, la collera e le altre passioni
degli uomini, quando non ci sia il timore di un potere coercitivo". La sicurezza
dipende quindi dall'esistenza di un governo che abbia il potere di mantenere la
pace e applicare le sanzioni necessarie a limitare le tendenze istintivamente
asociali dell'uomo. Il vero movente dell'associazione umana è il timore
della punizione e l'autorità della legge s'intende soltanto fin dove
può giungere la sua capacità di colpire. Così ha origine il
Leviathan, lo Stato, necessariamente assolutista, che assomma in sé, per
la rinuncia dei singoli, tutti i poteri. La sua forza è il suo diritto.
Esso non è impegnato alle clausole contrattuali e perciò è
l'unico grande individuo naturale che sussista dopo il
contratto: la sua
volontà è fonte assoluta di ogni legge morale, giuridica,
religiosa. L'ordine e la pace, che esso così garantisce, valgono ben
più della libertà, che esso non può non distruggere. Le
opere politiche di
H. furono scritte in occasione delle guerre civili ed
erano destinate ad appoggiare la monarchia assoluta. Tuttavia il valore
effettivo delle sue opere va molto al di là della loro influenza
immediata in questo senso. Infatti, la difesa dell'assolutismo monarchico
costituisce una parte molto superficiale della vera filosofia politica di
H. Pur essendo i suoi scritti e il suo pensiero strettamente legati alle
guerre civili, esse non giustificano che in minima parte quella che è
l'assai più vasta dottrina politica di
H. A lui si deve infatti la
formulazione di una vera scienza della politica.
H. è stato il
primo tra i grandi filosofi moderni a cercare di mettere la dottrina politica in
stretta relazione con un sistema di pensiero moderno, che egli si sforzò
di rendere tanto vasto da includervi la spiegazione scientifica di tutti i fatti
naturali. Comunque, indubbia è la sua influenza anche su quei pensatori
che cercarono di confutarlo. Una vera moltitudine, osserva
H., non
può avere dei diritti e non può agire; solo gli individui possono
farlo. Dire che un corpo di uomini agisce collettivamente significa dire che
alcuni individui agiscono in nome di tutto il gruppo, come suoi rappresentanti
accreditati. Se non esiste una rappresentanza di questo tipo, il corpo sociale
non ha un'esistenza collettiva.
H. ne deduce che non è il
consenso, ma l'unione che fa una corporazione, e unione significa sottomissione
della volontà di tutti alla volontà di uno. Ne consegue che la
società è una mera finzione, dato che, se non esiste sovrano, non
esiste società. Da questa idea derivano alcune delle conclusioni
più importanti di
H. Ogni distinzione tra società e Stato
non è che confusione e lo stesso si può dire della distinzione tra
lo
Stato e il suo
governo. A meno che non esista un governo
tangibile (individui col potere di far valere la loro volontà), non
esiste Stato né società, ma soltanto una folla "senza capo". Ne
deriva anche che ogni distinzione tra
legge e
morale è una
confusione. Su questa dottrina si fonda l'assolutismo di
H. per il quale
non c'è scelta se non tra il potere assoluto e la completa anarchia: un
corpo sociale esiste solo attraverso le sue autorità costituite e i suoi
membri non hanno diritti che attraverso la delega. Tutta l'autorità
sociale dev'essere concentrata nel sovrano e legge e morale sono soltanto la sua
volontà e la sua autorità illimitate. Dato che il governo si fonda
essenzialmente sull'esistenza del potere sovrano, ne consegue, per
H.,
che la differenza di forma di governo consiste soltanto nel collocamento della
sovranità. In ogni governo, che esso eserciti un potere denominato
tirannide od oligarchia, monarchia o democrazia, ci dev'essere un potere
sovrano. In ultima analisi il giudizio di
H. sul governo è
essenzialmente utilitario: il valore del governo consiste soltanto in ciò
che esso attua. I vantaggi del governo sono tangibili ed essi debbono tornare a
beneficio tangibile degli individui, in forma di pace, benessere, sicurezza
della persona e degli averi. Questa è la sola ragione perché il
governo può essere giustificato o esistere. Egli considera come pure
finzioni, nozioni quali quelle di bene generale e volontà pubblica: sono
soltanto gli individui che desiderano vivere e godere protezione per vivere. Con
questa sua impostazione individualistica,
H. fu un precursore delle
dottrine che avrebbero dominato i due secoli successivi, in cui l'interesse
personale sembrò alla grande maggioranza dei pensatori, in particolare
agli utilitaristi inglesi, un movente più ovvio del disinteresse e
l'egoismo illuminato un rimedio più adatto ai mali sociali di qualsiasi
forma di azione collettiva. Pertanto la dottrina del potere assoluto cui si
associa il nome di
H. non era, per questi, altro che il completamento
necessario del suo individualismo di fondo: se non esistesse un'autorità
superiore alla quale è necessario prestare obbedienza, non vi sarebbe
società, ma soltanto esseri umani singoli, mossi ciascuno dai propri
interessi privati. Tra le opere principali citiamo:
Elementi di legislazione
morale e politica (1640);
De cive (1642);
Leviathan (1651);
De corpore (1655);
De homine (1658) (Malmesbury 1588 - Hardwick
Hall, Derbyshire 1679).