Stats Tweet

Heine, Heinrich.

Scrittore tedesco di origine ebrea. Giovanissimo, venne inviato ad Amburgo presso uno zio banchiere. H. s'innamorò della cugina, la quale, però, vide in lui soltanto un piccolo impiegato di meschino aspetto. H. ricevette così la sua prima ferita, la quale fu per lui il trauma che ne fece un poeta. Risentì tutte le nostalgie, tutte le disperazioni del romanticismo. Esordì con alcuni componimenti lirici d'un romanticismo puro. Nelle Impressioni di viaggio, descrisse i suoi soggiorni nelle montagne dello Harz e a Norderney, e fu il primo che sentì la poesia del vasto mare. In prosa e in versi (Libro dei canti, 1827), egli scoprì il nuovo stile, che consiste nel credere quanto mai a tutti i motivi e sentimenti romantici e nello stesso tempo, non crederci e schernirli. Canta i cavalieri, i castelli, i nani, le ondine, gli spettri, le streghe, i carnefici, le cappelle gotiche ed è, a un tempo, un borghese rivoluzionario e un miscredente volteriano. Adora i miti, ma vuol distruggerli tutti quanti. Diventò il grande seduttore di almeno tre generazioni, le quali mormorarono sottovoce i Lieder heiniani. Intorno a lui si formò la scuola che prese il nome di Giovane Germania antiprussiana. Dovette emigrare in seguito a contrasti con la censura. Diventò per la Francia l'ambasciatore d'una Germania ancora inesistente, ma che, nella lotta serrata tra l'Ovest di una vecchia Germania e l'Est prussianizzato, stava per avere la vittoria. Riguardo all'Inghilterra, nutriva l'ironia del romantico contro quel popolo di banchieri, i quali dovevano ricordargli la sua esperienza di Amburgo. Egli adorava due inglesi soltanto: Byron e Shakespeare. Scrisse Les femmes de Shakespeare in lingua francese e così fece per varie altre opere come La scuola romantica. Il suo saggio su Les génies des éléments e quello su Les dieux en exil furono anch'essi scritti in francese. Da buon romantico fece anche lui un viaggio in Italia. Una malattia della spina dorsale lo costrinse per parecchi anni a dover rimanere inchiodato sul letto, che egli chiamava la sua tomba di materassi. Si mantenne però intatta la causticità del suo spirito. Scrisse i Canti ebraici e il Lazarus aspirando all'annientamento (Düsseldorf 1797 - Parigi 1856).